Il Massacro di Simele avviene nell’agosto 1933. In pochi giorni, l’esercito del Regno Iracheno massacra più di 3.000 assiri. L’evento segna tragicamente la storia della popolazione assira, una delle comunità cristiane più antiche del Medio Oriente. Si tratta di uno dei primi episodi di violenza su larga scala contro una minoranza etnica e religiosa in Iraq e viene spesso considerato come un atto di genocidio. Il Massacro di Simele ha luogo in un periodo in cui il neonato stato iracheno è alle prese con difficili equilibri interni e con l’eredità di tensioni etniche e religiose che risalgono all’Impero Ottomano.
Introduzione
Il massacro di Simele dell’agosto 1933 fu uno dei primi episodi di violenza su larga scala contro una minoranza etnico-religiosa nel nuovo stato iracheno, ed è spesso considerato un atto di genocidio. Esso segnò tragicamente la storia della popolazione assira, una delle comunità cristiane più antiche del Medio Oriente, evidenziando le tensioni interne dell’Iraq post-ottomano. Gli Assiri, discendenti di antiche popolazioni mesopotamiche, avevano mantenuto per secoli una propria identità culturale, linguistica e religiosa. Durante il dominio ottomano subirono persecuzioni, culminate nelle stragi della Prima Guerra Mondiale, quando centinaia di migliaia di Assiri (insieme ad altri cristiani come Armeni e Greci) furono uccisi o costretti a fuggire. Dopo il crollo dell’Impero Ottomano nel 1918, molte comunità cristiane rimasero prive di protezioni: nel Mandato britannico della Mesopotamia istituito nel 1920, gli Assiri si trovarono in posizione precaria, divisi tra la lealtà verso le autorità coloniali britanniche (che li avevano armati come truppe ausiliarie, le Assyrian Levies) e il crescente nazionalismo arabo e curdo nella regione.
Nel 1932 l’Iraq ottenne l’indipendenza dal Regno Unito ed entrò nella Società delle Nazioni, impegnandosi formalmente a tutelare i diritti delle minoranze. In pratica, però, le tensioni etniche esplosero. La leadership assira, guidata dal patriarca Mar Eshai Shimun XXIII, chiedeva autonomia amministrativa o il trasferimento della comunità in un territorio più sicuro, temendo per la propria sopravvivenza culturale e fisica. Tali richieste vennero percepite dal governo di Baghdad come una minaccia alla sovranità nazionale. Nella stampa e nell’opinione pubblica irachena si diffuse presto il sospetto che gli Assiri fossero una “quinta colonna” al servizio degli inglesi, non pienamente leali allo Stato iracheno. La crisi raggiunse il culmine nell’estate del 1933. In luglio circa 600 assiri armati guidati da un capo tribale (Malik Yaqo) oltrepassarono il confine con la Siria francese in cerca di asilo, temendo ritorsioni in patria.
Quando le truppe irachene tentarono di intercettarli nei pressi del villaggio frontaliero di Dirabun, ne seguì uno scontro a fuoco in cui, nonostante l’uso di artiglieria pesante, i reparti governativi furono respinti dagli Assiri, subendo perdite. L’episodio incendiò gli animi: la stampa nazionalista diffuse voci (poi smentite ) secondo cui gli assiri avrebbero mutilato i corpi dei soldati iracheni uccisi a Dirabun
. Circolarono inoltre dicerie allarmistiche che dipingevano gli Assiri come traditori pronti ad “avvelenare i pozzi” e a far saltare ponti nelle città irachene. Questo clima isterico, intriso di sentimento anti-cristiano, preparò il terreno al massacro che sarebbe seguito.
Il Massacro
Nel luglio del 1933, la situazione degli Assiri in Iraq precipita. Il generale Bakr Sidqi, incaricato dal governo iracheno di contenere le tensioni con la minoranza assira, avvia una campagna militare che si trasforma presto in un’operazione di repressione brutale. Dopo scontri iniziali con gruppi di assiri armati nei pressi del confine siriano, Sidqi decide di intervenire con durezza, utilizzando i disordini come pretesto per attuare una vera e propria azione punitiva contro l’intera comunità.
Il 7 agosto 1933, le truppe irachene raggiungono il villaggio di Simele, una piccola comunità situata nella provincia di Dohuk, nel nord dell’Iraq, dove vive una popolazione prevalentemente assira. Gli abitanti vengono radunati senza spiegazioni, e il villaggio viene circondato dai soldati, creando una situazione di terrore. Negli stessi giorni, tribù armate arabe (Shammar, Jubur) si unirono alla spedizione: attraversarono il fiume Tigri saccheggiando oltre sessanta villaggi assiri nelle pianure a sud di Dohuk. In molti casi le donne e i bambini riuscirono a mettersi in salvo fuggendo nei villaggi vicini, ma gli uomini che vennero catturati furono consegnati all’esercito, che li giustiziò sommariamente. Numerosi villaggi furono incendiati e rasi al suolo; in seguito molte di quelle località devastate vennero occupate da coloni curdi.
Questa violenza diffusa spinse migliaia di Assiri in fuga a cercare rifugio nel centro abitato di Simele, sede di una caserma di polizia governativa. Simele, cittadina a maggioranza assira nel nord dell’Iraq (provincia di Dohuk), divenne così il principale rifugio per i profughi provenienti dai villaggi circostanti.
Il 9 agosto il sindaco di Zakho arrivò a Simele con un reparto militare per disarmare la popolazione locale, rassicurando gli Assiri che sarebbero stati protetti “sotto la bandiera irachena” se fossero rimasti pacifici. Nei giorni seguenti, tuttavia, la situazione precipitò: bande di saccheggiatori curdi e arabi affluirono nell’area, razziando i raccolti di grano e orzo degli assiri sotto gli occhi impotenti dei legittimi proprietari.
Durante la notte del 10 agosto anche molti abitanti arabi di Simele si unirono ai saccheggi, depredando bestiame e averi dei vicini assiri. All’alba dell’11 agosto, i funzionari locali ordinarono agli Assiri radunati presso la stazione di polizia di disperdersi e tornare alle proprie case. Sebbene riluttanti, gli assiri obbedirono — solo per ritrovarsi di fronte alle truppe di Sidqi che proprio in quel momento facevano irruzione in forze nel villaggio. I soldati, giunti a bordo di autoblindo, ammainarono la bandiera irachena che sventolava sul posto di polizia e aprirono il fuoco senza preavviso contro la folla di civili disarmati.
Ciò che seguì fu un massacro pianificato di estrema ferocia. Un ufficiale, il capitano Ismail Abbawi, avrebbe impartito ordine ai suoi uomini di risparmiare le donne, ma sul terreno il massacro colpì indiscriminatamente soprattutto gli uomini assiri presenti a Simele.

Il tenente colonnello R. S. Stafford – un funzionario britannico in servizio in Iraq in quegli anni – descrisse così la scena nella sua opera The Tragedy of the Assyrians (1935):
“Un freddo e metodico massacro di tutti gli uomini del villaggio seguì, un massacro che, per la nera perfidia con cui fu concepito e la spietatezza con cui fu eseguito, fu un crimine infame come pochi negli annali insanguinati del Medio Oriente. Gli Assiri non opposero resistenza, in parte per lo shock degli eventi della settimana precedente, in gran parte perché erano stati disarmati. […] I mitraglieri piazzarono le loro armi fuori dalle finestre delle case in cui gli Assiri avevano cercato rifugio e, puntatele sui disgraziati terrorizzati ammassati nelle stanze, aprivano il fuoco finché non rimaneva in piedi nemmeno un uomo. In altri casi la sete di sangue delle truppe assunse forme ancora più brutali: gli uomini venivano trascinati fuori e fucilati o massacrati a colpi di randello, e i loro corpi gettati sopra un cumulo di morti.
Secondo le testimonianze raccolte dal patriarca Mar Shimun, anche donne e bambini subirono atrocità indicibili: “ragazze furono violentate e costrette a marciare nude davanti ai comandanti iracheni; bambini travolti dalle automobili militari; donne incinte trafitte a colpi di baionetta; perfino i neonati vennero scagliati in aria e infilzati sulle punte delle baionette”
I soldati profanarono anche i simboli religiosi – “i libri sacri vennero usati per appiccare il fuoco ai corpi dei massacrati”, riferì il patriarca – a sottolineare l’odio settario anti-cristiano che permeò l’azione punitiva.
Il massacro non si limitò al solo centro di Simele. Nei giorni seguenti (fino al 16 agosto) le truppe di Sidqi continuarono a rastrellare la provincia di Mosul colpendo decine di altri villaggi a popolazione assira. Violenze e saccheggi contro gli Assiri vennero segnalati sporadicamente fino alla fine del mese
Complessivamente, secondo fonti dell’epoca circa un terzo dell’intera popolazione assira dell’Iraq abbandonò il paese nel timore di nuove stragi, cercando rifugio oltreconfine (soprattutto nella vicina Siria sotto mandato francese).
Il bilancio di Simele e dei villaggi circostanti restò a lungo oggetto di dibattito: le stime ufficiali britanniche indicarono 300–600 assiri uccisi, mentre fonti assire denunciarono 3.000–6.000 vittime.
In ogni caso si trattò di un massacro di civili inermi, non di uno scontro bellico. La versione fornita dal governo iracheno cercò inizialmente di minimizzare l’accaduto sostenendo che le morti assire fossero avvenute durante combattimenti con tribù curde e arabe locali; tale ricostruzione è stata in seguito smentita da tutti gli storici e riconosciuta come mera copertura propagandistica
Le Conseguenze
Il massacro di Simele ebbe conseguenze profonde sia per la comunità assira sia per l’Iraq nel suo insieme. Per gli Assiri, l’evento costituì un trauma epocale: interi clan familiari erano stati sterminati e decine di villaggi tradizionali risultavano distrutti. Si generò un clima di terrore e sfiducia che spinse molti superstiti ad abbandonare per sempre la terra natia. Già entro il 1933–34, migliaia di Assiri si erano rifugiati in Siria (dove le autorità francesi concessero loro insediamento nella valle del Khabur) o in altri paesi del Levante. Fu l’inizio di una diaspora che nei decenni seguenti avrebbe portato comunità assire anche in Europa e nelle Americhe. Coloro che rimasero in Iraq vissero a lungo ai margini, sotto stretta sorveglianza, e molti scelsero col tempo di integrarsi nella maggioranza arabo-curda per sopravvivere
Il patriarca Mar Shimun XXIII, accusato di istigazione alla rivolta, venne arrestato ed esiliato dalle autorità irachene (trasferendosi poi negli Stati Uniti), lasciando gli Assiri d’Iraq privi della propria tradizionale guida spirituale e politica. La comunità assira provò inoltre un acuto senso di tradimento verso gli inglesi, un tempo considerati protettori: il governo britannico, pur avendo sollevato il caso presso la Società delle Nazioni, evitò di prendere provvedimenti concreti, di fatto accettando l’insabbiamento della tragedia.
Londra si limitò a raccomandare al governo iracheno moderazione e rispetto dei diritti delle minoranze, ma senza esercitare pressioni effettive. La Società delle Nazioni, da parte sua, condannò a parole le violenze ma non intraprese alcuna azione sostanziale per sanzionare l’Iraq o proteggere la comunità assira.
In un periodo in cui le potenze europee privilegiavano la stabilità dei nuovi stati mediorientali ai principi umanitari, l’eccidio di Simele rimase impunito e mostrò i limiti degli accordi internazionali di tutela delle minoranze.
Dal punto di vista del giovane Stato iracheno, paradossalmente, gli eventi di Simele ebbero l’effetto di rafforzare il nazionalismo e consolidare il potere dei militari. Nei circoli governativi e tra larga parte dell’opinione pubblica araba, l’azione di Bakr Sidqi fu celebrata come una netta vittoria contro un elemento considerato sleale allo Stato. Al ritorno delle truppe a Mosul, subito dopo il massacro, i soldati sfilarono in una parata trionfale acclamati dalla popolazione locale.
Sidqi stesso venne osannato come eroe nazionale. Gli storici rilevano che Simele divenne un pericoloso “modello” per le future politiche verso le minoranze in Iraq: dimostrò come la violenza poteva essere utilizzata per risolvere le tensioni etniche, senza conseguenze per i responsabili
Negli anni seguenti l’esercito assunse un ruolo centrale nella vita politica irachena: tra il 1933 e il 1940 vi furono vari colpi di stato militari, il primo dei quali guidato proprio da Bakr Sidqi nel 1936. Questo trend proseguì nei decenni successivi, alimentando un nazionalismo iracheno di impronta sempre più militarista, nel quale le Forze Armate godevano di grande prestigio in quanto “artefici” dell’unità nazionale contro le presunte minacce interne. Il tragico destino degli Assiri servì dunque da monito implicito ad altre minoranze sull’esito drammatico di eventuali rivendicazioni autonomiste.
Il massacro di Simele viene anche ricordato come uno dei primi episodi moderni di violenza organizzata contro una minoranza etnica in Medio Oriente. Nel 1934, l’intellettuale polacco Raphael Lemkin studia questo evento e altri simili (soprattutto quello Armeno) come esempi di crimini contro l’umanità, concetti che lo porteranno in seguito a coniare il termine genocidio durante la Seconda Guerra Mondiale.
Nella comunità assira di tutto il mondo, il 7 agosto è diventato ufficialmente il Giorno dei Martiri Assiri, noto anche come Giornata nazionale del lutto, in memoria del massacro di Simele, dichiarato tale dall’Alleanza universale assira nel 1970.
Fonti
- Stafford, R. The Tragedy of the Assyrians. 1935. Reprint, Piscataway, NJ: Gorgias Press LLC, 2006. ISBN 978-1-59333-413-0.
- Simon, Reeva S. Iraq Between the Two World Wars: The Militarist Origins of Tyranny. 1986. Reprint, New York: Columbia University Press, 2004. ISBN 978-0-231-13215-2.
- Husry, K. “The Assyrian Affair of 1933 (I).” International Journal of Middle East Studies 5, no. 3 (April 1974): 161–176. https://doi.org/10.1017/S002074380002780X.
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