Anche se poco conosciuto, l’Assedio di Gvozdansko ha rappresentato un momento di incredibile resistenza dei Croati all’imperialismo ottomano.
Della lunga lotta di difesa (e, alla fine, di offesa) dei popoli balcanici e dell’Europa Orientale contro i conquistatori ottomani abbiamo scritto spesso – dalle imprese di Giorgio Castriota Scanderbeg a quelle di Dioniso il Filosofo – poiché si tratta di un argomento che suscita solo di rado l’interesse della divulgazione mainstream.
Nel 1577 il Regno di Croazia, in unione personale con quello di Ungheria sotto gli Asburgo, è ridotto a un sottile lembo di terra martoriato dalle incursioni turche ed economicamente allo stremo. Tra il 1526 e il 1577 è passato da 50.000 km quadrati a 16.000 circa. Il Castello di Gvozdansko, importante anche dal punto di vista economico, visto che è dotato di una propria zecca, è posizionato proprio sulla linea dell’avanzata turca (frontiera militare – Vojna krajina).
Nel volume The Croatian-Slavonian Kingdom: 1526–1792 (1970), il Prof. Stanko Guldescu rende bene l’idea della situazione croata successiva alla vittoria turca nella Battaglia di Mohacs (1526):
Nel XVI secolo, dopo Mohacs, ogni anno la Croazia ha pagato la sua quota di sangue a causa delle scorrerie ottomane. La Croazia-Slavonia era diventata un enorme campo sempre in armi a prescindere dal fatto che vi fosse una guerra dichiarata. I contadini andavano a lavorare i campi armati fino ai denti, come se ci fosse una battaglia da combattere.
D’altronde, proprio perché rappresentano la prima linea di difesa contro gli Ottomani, i Croati godono di importanti privilegi fiscali fin dal regno di Valdislao II (1490-1516). In breve, sono obbligati a pagare solo la metà delle imposte che gravano sui territori ungheresi e, tra l’altro, riescono a mantenere questo privilegio fino al 1847!
Tornando a Gvozdansko, costruito dalla famiglia Zrinski (nobili croati, il più famoso fu Nikola Subic, difensore della fortezza di Szigetvár), è necessario sottolineare che ha resistito a quattro assedi tra il 1561 e il 1576. A difenderlo, l’anno successivo, sono rimasti 50 soldati degli Zrinski e 250 tra contadini, minatori, donne e bambini. Un numero di difensori esiguo, carente sia dal punto di vista degli armamenti che delle provviste.

L’assedio inizia il 3 Ottobre 1577. Sotto le mura del castello ci sono Ferhat Pasha Sokolovic (convertito bosniaco) e il suo esercito. 10.000 uomini in tutto.
La vita di Ferhat Pasha Sokolovic meriterebbe un articolo a parte. Sottratto alla famiglia in base al sistema del devşirme, viene convertito all’islam ed entra nei Giannizzeri poco più che bambino. Poco dopo, un intero ramo della sua famiglia si converte alla religione dei conquistatori, mentre l’altro rimane fedele alla fede greco-ortodossa.
La differenza di uomini e mezzi convince Ferhat a un inusuale assedio autunnale e invernale. E l’inverno del 1577 è tremendamente freddo. I difensori, con le scorte sempre più razionate (sono costretti a mangiare cani e gatti, e chissà cos’altro), resistono ai cannoni e agli assalti turchi per due mesi e mezzo. Alla vigilia di Natale, Ferhat chiede la resa del castello, giurando che non sarà fatto alcun male ai sopravvissuti. I Croati rifiutano. Sono rimasti in 30. Senza più munizioni e legna da ardere, il 9 Gennaio 1578 i difensori rimangono anche senza nulla da mangiare. Gli ultimi due cani sono morti per i bocconi avvelenati tirati con le frecce dagli Ottomani.
Il 12 Gennaio, il freddo è talmente forte che neanche Ferhat riesce a dormire, e chiede ai suoi di accendere altri fuochi. All’indomani ordina un nuovo cannoneggiamento delle porte. Dagli spalti non arriva nessuna risposta.
Quando i Turchi fanno irruzione, trovano solo cadaveri. Ferite durante i combattimenti, freddo, fame e malattie hanno ucciso tutti i Croati. I comandanti Damjan Doktorović, George Gvozdanović, Nikola Ozegovic e Andrew Stepšić sono morti con le armi in mano.
Ferhat si guarda intorno esterrefatto. Sono tutti andati incontro alla morte nonostante le ottime condizioni di resa che ha proposto due settimane prima. Ordina quindi ai suoi ufficiali di andare a cercare un prete e fa seppellire i 300 cadaveri con rito cristiano e con gli onori militari.
Alla fine, Ferhat rende un ultimo onore ai soldati nemici eliminando tutte le tasse e le imposte sugli abitanti dei dintorni. Come premio per il successo, Ferhat diventa il primo beylerbey (governatore) di Bosnia. L’anno successivo, fa ristrutturare la fortezza, che diventa un importante tassello della linea di confine ottomana fino al 1685, quando torna in mano cristiana.
Ferhat si dimostra, tra l’altro, un governatore lungimirante. Dal 1576 alla fine del 1578 fa costruire più di duecento edifici, dalla famosa moschea Ferkhadiy alle numerose terme e strutture per l’approvvigionamento idrico. La moschea di cui sopra, in particolare, viene edificata grazie ai 30.000 ducati di riscatto pagati dalla famiglia di Herbard Auerschberg, generale degli Asburgo sconfitto da Ferhat nel 1575. Durante la battaglia, gli uomini di Ferhat riescono a uccidere Herbard e a catturare il figlio Wolf, per il quale viene pagato riscatto.
Bibliografia: |
- GULDESCU, Stanko. The Croatian-Slavonian Kingdom: 1526–1792, 1970;
- GOLDSTEIN, Ivo. Croatia: A History, 1999
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