Il Genocidio Armeno: un Rapporto del 1916 e il Ruolo dei Curdi

Genocidio Armeno. Volevo sottolineare che, nei miei articoli, ho sempre usato il termine Genocidio con grandissima parsimonia, ma, per quanto riguarda l’Armenia, non ho mai avuto dubbi.

Quello degli Armeni, che si commemora il 24 Aprile, è stato il calvario più vicino a quello subito dagli Ebrei venticinque anni dopo.

Non ci furono veri e propri campi di sterminio o forni crematori, ma lunghe marce senza cibo e acqua, volte unicamente a sterminare un popolo dopo avergli inflitto mille sofferenze. Gli Armeni erano costretti a passare fra file ininterrotte di donne stuprate e cadaveri mutilati.

Ai lati delle strade che penetravano nel deserto siriano si ammassarono centinaia di migliaia di cadaveri, tanti da rendere l’aria irrespirabile per chilometri. Un Genocidio Itinerante in cui persero la vita oltre un milione di persone, in massima parte donne e bambini.

I colleghi turchi che hanno portato avanti studi sulla questione sono stati completamente “epurati” dal governo negli ultimi anni.

In relazione al Genocidio Armeno, pochi conoscono il ruolo di rilievo avuto da un buon numero di tribù curde (molte altre non si interessarono alla questione o, al contrario, cercarono di salvare gli Armeni). Le “Hamidiye Alaylari” (traducibile con “Brigate Hamidiye”) erano unità ausiliare dell’esercito ottomano formate da cavalieri curdi e avevano già avuto un ruolo importante nei massacri di Armeni del 1894-96.

Venti anni dopo, gli ex appartenenti alle Hamidiye (sciolte nel 1908) furono ancora più violenti nel perseguitare gli Armeni, supportati da altre tribù curde. Lo storico Richar G. Hovannisian ha riportato, tra gli episodi accertati, diversi squartamenti di membri del clero armeno, l’uccisione di bambini spaccando loro il cranio sulle rocce e mutilazioni gravissime a donne, ragazze e ragazzi che resistevano allo stupro.

Ad oggi, moltissimi enti e istituzioni curde si sono scusate ufficialmente e hanno chiesto il riconoscimento del Genocidio Armeno.

In un atto senza precedenti il curdo Berzan Boti ha restituito, nel 2009, tutte le proprietà ereditate dal padre, dopo aver saputo che questi le aveva sottratte a una famiglia armena dopo averla massacrata. Le sue parole sono state

“il senso di colpa, quando ho saputo da dove venivano quelle terre, è stato indescrivibile. L’unica cosa giusta da fare è scusarmi e riconsegnare queste proprietà ai legittimi proprietari.”

Qui sotto, le pagine di un documento dell’epoca che racconta la genesi del Genocidio. Buona lettura.


Nell’autunno del 1914, i turchi cominciarono a mobilitare i cristiani e i musulmani per servire nell’esercito. Per sei mesi, in ogni parte della Turchia, fecero affidamento sugli armeni per il servizio militare e accettarono i soldi dell’esenzione che potevano pagare.

Poche settimane dopo, i certificati di esenzione furono disconosciuti e i loro titolari arruolati. Gli armeni più giovani e residenti vicino a Costantinopoli furono dislocati, come nelle guerre balcaniche, nell’esercito attivo. I più anziani, e tutti gli armeni arruolati nelle regioni più lontane, furono impiegati per la costruzione di strade, ferrovie e fortificazioni.

Ovunque fossero stati chiamati, e a qualsiasi compito fossero destinati, gli armeni fecero il loro dovere e lavorarono per la difesa della Turchia. Si dimostrarono soldati coraggiosi e lavoratori intelligenti e laboriosi.

Nell’aprile del 1915, Costantinopoli inviò alle autorità locali dell’Asia Minore l’ordine di prendere le misure più adatte per paralizzare in anticipo un tentativo di ribellione da parte degli Armeni. L’ordine imponeva alle autorità locali di considerare gli Armeni come un gravissimo pericolo per la sicurezza dell’impero e suggeriva che la difesa nazionale richiedesse imperativamente una severità preventiva per rendere innocui gli Armeni.

In alcuni luoghi, le autorità locali risposero di non aver osservato alcuna attività sospetta da parte degli Armeni e ricordarono al governo che gli Armeni erano innocui perché non possedevano armi e perché gli uomini in età da guerra erano già stati presi dall’esercito.

Ci sono alcuni Turchi che ebbero senso di pietà e senso di vergogna! Ma la maggior parte dei funzionari turchi risposero con alacrità all’ordine di Costantinopoli, e quelli che non lo fecero furono ben presto sostituiti.

Così iniziò una nuova era di massacri del popolo armeno.
All’inizio, affinché il compito fosse portato a termine con il minor rischio possibile, gli uomini armeni rimasti nelle città e nei villaggi furono convocati e riuniti in luoghi prestabiliti, di solito fuori dalla città. I gendarmi e la polizia lavorarono per far rispettare la convocazione senza trascurare nessuno. Una volta radunati gli Armeni, li macellarono. Questo metodo di procedura era generalmente attuabile nei centri abitati più piccoli.

Nelle città più grandi, non fu sempre possibile eseguire gli ordini da Costantinopoli in modo così semplice e rapido. I notabili armeni venivano assassinati per strada o nelle loro case. Se si trattava di una città dell’entroterra, gli uomini venivano scortati dalla polizia “in un’altra città”. In poche ore le guardie tornavano senza i prigionieri. Se si trattava di una città costiera, gli Armeni venivano portati via in barche fuori dal porto verso “un altro porto”. Le barche tornavano sorprendentemente presto senza i passeggeri.

Poi, per prevenire la possibilità di guai da parte degli Armeni mobilitati per la costruzione di ferrovie e strade, essi furono divisi in compagnie da trecento a cinquecento uomini e messi al lavoro a intervalli di diverse miglia.

Reggimenti dell’esercito regolare turco furono inviati “per abbattere la rivoluzione armena”, e piombarono improvvisamente sui piccoli gruppi di lavoratori che lavoravano con il piccone, il piede di porco e la pala. I “ribelli” furono crivellati di colpi prima di potersi rendere conto di quello che stava succedendo. I pochi che riuscirono a fuggire furono inseguiti da uomini a cavallo, e fucilati o passati a fil di spada.

I telegrammi cominciarono ad arrivare a Talaat bey a Costantinopoli, annunciando che qui, là e ovunque le rivolte armene erano state sedate, e lui rispondeva, congratulandosi con i funzionari locali per il successo avuto delle loro misure immediate. Ai giornalisti neutrali di Costantinopoli, ai diplomatici neutrali, che avevano sentito vagamente parlare di una recrudescenza dei massacri armeni, questa corrispondenza telegrafica fu mostrata come prova che era stato scongiurato un pericolo imminente:

“Non siamo stati crudeli, ma ammettiamo di essere stati severi” ha dichiarato Talaat bey. “Siamo in tempo di guerra.”

Dopo essersi sbarazzato di tutti gli uomini armeni in grado di tenere le armi, il governo turco si sentiva ancora a disagio. I vecchi e i ragazzi, le donne e i bambini, erano un elemento di pericolo per l’impero ottomano. Gli Armeni devono essere sradicati dalla Turchia. Ma come realizzare questo in modo tale che l’ambasciatore turco a Washington e i giornali tedeschi potessero dire, come hanno detto e continuano a dire:

“Tutti coloro che sono stati uccisi erano ribelli colti in flagrante o mentre commettevano tradimento contro il governo turco, e non donne e bambini come alcuni di questi rapporti inventati vorrebbero far credere agli americani”

Talaat bey andava avanti con il suo piano. La deportazione – una misura deplorevole, una necessità militare – ma perfettamente umana. Da maggio a ottobre il governo ottomano perseguì metodicamente un piano di sterminio molto più infernale del peggior massacro possibile. Furono inviati a tutte le province dell’Asia Minore ordini per la deportazione dell’intera popolazione armena in Mesopotamia. Questi ordini erano espliciti e dettagliati. Nessun villaggio era troppo insignificante per essere trascurato.

La notizia fu data dai banditori locali: ogni armeno doveva essere pronto a partire ad una certa ora per una destinazione sconosciuta. Non c’erano eccezioni per gli anziani, i malati, le donne incinte. Solo i ricchi mercanti e i banchieri e le donne e le ragazze di bell’aspetto erano autorizzati a sottrarsi convertendosi all’Islam.

Non c’erano eccezioni per gli anziani, i malati, le donne incinte. Solo i ricchi mercanti e i banchieri e le donne e le ragazze di bell’aspetto erano autorizzati a fuggire professando l’Islam, e si dica, a loro onore, che pochi si avvalsero di questo mezzo di fuga.

Il tempo concesso variava da due giorni a sei ore. Non si poteva portare con sé nessun oggetto domestico, nessun animale, nessun vestito extra. Le scorte di cibo e di indumenti erano limitate a ciò che una persona poteva portare. E dovevano andare a piedi sotto il sole cocente attraverso valli aride e su passi di montagna coperti di neve: un viaggio da tre a otto settimane.
Quando passavano attraverso villaggi cristiani dove l’ordine di deportazione non era ancora stato ricevuto, ai viaggiatori non era permesso ricevere cibo o cure di alcun tipo. I malati, gli anziani e i bambini piccoli cadevano sul ciglio della strada e non si rialzavano più.

Le donne in procinto di partorire erano spinte dalle baionette e dalle fruste fino al momento della morte, e venivano lasciate a morire dissanguate. Le belle ragazze venivano sequestrate per gli harem, o violentate giorno dopo giorno dalle guardie finché la morte non arrivava come una misericordiosa liberazione. Quelle che potevano si suicidavano.

Le madri impazzirono e gettarono i loro figli nel fiume per porre fine alle loro sofferenze. Centinaia di migliaia di donne e bambini morirono di fame, di sete, di esposizione agli elementi, di vergogna.

Le pietose carovane si assottigliarono, prima ogni giorno e poi ogni ora. La morte era l’unica cosa da desiderare: come può vivere la speranza, come può rimanere la forza, anche ai più forti, in un viaggio che non ha fine? E se provavano ad allontanarsi da quella strada per l’inferno, li fucilano o infilazano. Curdi e contadini a cavallo davano la caccia a quelli che riuscivano a sfuggire al controllo delle guardie lungo la strada.

Stanno ancora colpendo la rivoluzione armena in Asia Minore. Avevo appena scritto il paragrafo precedente quando una donna inglese che conosco da molti anni è venuta a casa mia. Ha lasciato Adana, in Cilicia, solo un mese fa. La sua storia è la stessa di cento altri. Mi hanno raccontato gli stessi fatti, con una testimonianza oculare che conferma l’altra, da fonti americane, inglesi, tedesche e svizzere.

Questa donna inglese mi ha detto:

“La deportazione continua. Dall’interno, lungo la ferrovia di Bagdad, vengono ancora mandati attraverso Adana nel viaggio della morte. La ferrovia, fino a dove arriva, porta avanti l’opera di sterminio più velocemente rispetto alle carovane utilizzate dove non ci sono ferrovie.

Oh, se solo li massacrassero e la facessero finita, come ai tempi degli Hamidiani! Ero lì alla stazione di Adana, e dai vagoni le donne tenevano in mano i loro bambini e piangevano per l’acqua. Avevano superato il desiderio di pane. Solo acqua! C’era una pompa. Sono scesa in ginocchio per supplicare la guardia turca di lasciarmi dare da bere. Ma il treno andò avanti, e l’ultima cosa che sentii fu il grido di quelle anime perse. Non è successo solo una volta. Era quasi ogni giorno la stessa cosa. Lord Bryce ha detto ottocentomila? Beh, ora devono essere un milione. Si può concepire che gli esseri umani permettano agli anche solo a un animale selvativo di morire in quel modo?

Ma l’ambasciatore turco a Washington dichiara che queste storie sono “invenzioni” e che “nessuna donna o bambino è stato ucciso”.

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Un pensiero riguardo “Il Genocidio Armeno: un Rapporto del 1916 e il Ruolo dei Curdi

  1. Quando leggiamo di fatti così terribili della storia recente l’unico piccolo sollievo al senso di nausea sono gli uomini del presente che hanno avuto il coraggio di schierarsi. Mentre quando intere nazioni in modo più o meno palese, sistematico o brutale continuano con le barbarie ingiustificabile anche per le epoche più buie ricordo perché do tanto valore alla storia come chiave per leggere il presente e che chi giustifica la propria (finta) neutralità con i decenni o in secoli ormai trascorsi è bruto della stessa categoria dei carnefici stessi, solo con le modalità consone alla società contemporanea. Grazie xhistorica

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