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28 Marzo 1943: l’Esplosione della Caterina Costa

28 marzo 1943, una data impressa nella memoria dei napoletani. L’esplosione della motonave Caterina Costa, ormeggiata al porto di Napoli, provoca la morte di 1.600 persone e la distruzione di interi isolati.

Nella primavera del 1943 era già chiaro che lo sforzo bellico italiano non sarebbe stato sufficiente ad evitare la sconfitta in Nord Africa e a condurre il Paese alla vittoria nella Seconda Guerra Mondiale.

In quei giorni, la motonave Caterina Costa, carica di munizioni, carburante e materiale bellico per l’Africa, è ormeggiata al porto di Napoli. A bordo ci sono 790 tonnellate di carburante; 900 tonnellate di esplosivi; 1.700 tonnellate di munizioni; carri armati ed autocingolati; 43 cannoni a lunga gittata; fucili; circa 600 militari italiani e tedeschi. La prima parte della mattinata scorre tranquilla, con le operazioni di carico che vanno avanti senza alcun problema, ma successivamente i marinai segnalano la presenza di piccoli incendi a bordo. Alle 17, si sono ormai propaganti ad ampie sezioni della poppa. Scrive la Prof.ssa Gabriella Gribaudi nel suo Guerra totale. Tra bombe alleate e violenze naziste. Napoli e il fronte meridionale 1940-1944 (2005):

Nella stiva di poppa, già dalle prime ore della mattina, iniziò a sprigionarsi un incendio. All’inizio si trattò di piccole esplosioni. Dai documenti rinvenuti e dalla corrispondenza tra le Autorità, come Prefettura, Marina Militare, Autorità del porto, si evince chiaramente che su tutti prevalse l’indecisione, l’incapacità di assumere delle decisioni e che, per una studiosa di storia, è un’ulteriore dimostrazione della mentalità delle “élite dirigenti” del fascismo: avventurismo, incapacità di decidere e di operare in sintonia con i vari centri del potere, scarsa sensibilità verso la gente comune furono i caratteri distintivi del regime. Devo aggiungere che le sirene non suonarono, come avveniva in caso di “bombardamenti”, per cui i cittadini ignari non corsero nei rifugi.

Alle 17, l’incendio infuria su buona parte della poppa.

Tra ordini e contrordini, iniziano le operazioni di spegnimento, che suscitano la curiosità dei napoletani. In molti si recano al porto per dare un’occhiata e capire cosa stia accadendo. Le autorità non fanno suonare le sirene per gli attacchi aerei, né segnalano in altro modo alla popolazione che c’è il grave rischio di una grande esplosione. Il porto è letteralmente pieno di persone.

Sono le 17.39. La deflagrazione è apocalittica. Si sente e si vede a decine di chilometri di distanza. Disintegra il molo, affonda le navi più vicine, rade al suolo interi isoltati e polverizza all’istante centinaia di persone. Secondo una fonte dell’epoca:

Il molo sprofonda letteralmente trascinando un gruppo di caseggiati vicini, due palazzi vengono letteralmente schiacciati dalla prua della nave, un carro armato fu rinvenuto sulla terrazza di un palazzo. Furono sollevati molti dubbi, si pensò anche ad un attentato, ma nulla emerse dalle serrate indagini che seguirà il drammatico evento.

L’esplosione della Caterina Costa non solo devasta il porto di Napoli, ma investe l’intera città con la sua onda d’urto e i detriti della nave. Pezzi di metallo e rovine piovono su quartieri come Piazza Garibaldi, Borgo Loreto, Sanità, causando numerosi feriti. La Stazione Centrale viene colpite e vanno a fuoco i vagoni in sosta. I Magazzini Generali prendono fuoco e i detriti arrivano fino al Vomero, Soccavo e Pianura.

Una torretta di carro armato si conficca nel Teatro San Carlo, un pezzo di nave abbatte due edifici al Ponte della Maddalena e un altro si conficca nel tetto di un palazzo in via Atri. Il Maschio Angioino subisce diversi danni.

L’esplosione causa circa 3000 feriti e 600 morti, tra cui molte donne e bambini che, curiosi, assistevano alle operazioni di spegnimento. L’onda d’urto è così potente che i sismografi del Vesuvio la registrano come fosse un terremoto di media intensità.

Una lamiera centra l’orologio della Chiesa di Sant’Eligio nel centro storico. Si ferma al momento dell’esplosione e ricomincia a funzionare solo nel 1991 dopo un restauro.

Le cause dell’incendio non sono mai state completamente accertate. Le ipotesi più accreditate includono un sabotaggio, un incidente accidentale o un corto circuito. In realtà, secondo le ultime ricostruzioni, la pista del sabotaggio sembra riscuotere sempre minori consensi.

La memoria di questa tragedia viene commemorata ogni anno con una cerimonia al molo Beverello, luogo in cui è stata eretta una lapide in ricordo delle vittime.

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