Quello dei Sacrifici Aztechi è uno degli argomenti più interessanti che si possano affrontare relativamente alla storia del Sud America. Ancora una volta è Riccardo Mardegan, autore di altri articoli su Inca e conquista del Sud America a guidarci in questo approfondimento.
Contrariamente a quanto spesso viene fatto intendere, il sacrificio umano è, nella civiltà azteca, non il macabro vezzo di una cultura ancora troppo arretrata per confrontarsi con quella europea cinquecentesca, ma il cuore pulsante dell’universo mentale delle popolazioni mesoamericane.
Questo il francescano Bernardino de Sahagún l’aveva compreso benissimo, e non è infatti un caso che nella sua monumentale opera, Historia general de las cosas de Nueva España, i primi sei libri trattino delle credenze e dei rituali religiosi, mentre il settimo sia interamente incentrato sull’astrologia praticata dalle popolazioni mexica dell’area mesoamericana.
L’opera inoltre è, al tempo stesso, un monumento di stile e di ingegno; composta tra il 1540 e il 1585, con il suo autore che aveva assistito alle imprese di Cortés e alla caduta dell’impero di Motecuzoma II (Sahagún lo chiama così mentre le trascrizioni di Cortés lo chiamano, come viene usualmente fatto oggi, Montezuma), è scritta su tre registri diversi: a sinistra in spagnolo castigliano, a destra in nahuatl trascritto con caratteri latini, e in alcune parti il testo è corredato da disegni in stile mexica che, presumibilmente, sono stati insegnati al frate dagli intellettuali aztechi ancora presenti nel territorio.
Benché sia davvero complesso entrare nella religiosità azteca con i pochi elementi cui abbiamo accesso oggi, godiamo della fortuna di aver avuto intellettuali (come il già citato frate francescano) che hanno avuto la sensibilità di immortalare la realtà mesoamericana, che già loro stessi avvertivano come irrimediabilmente compromessa dall’arrivo degli europei, in opere che consegnarono ai posteri una realtà molto vivida. A questa, compresa quella relativa ai sacrifici aztechi, gli storici moderni possono cercare (sperando di aver successo) di dare, anche solo per poco tempo, nuovamente vita.
Per affrontare questo arduo compito, ho scelto di trattare uno tra i riti più singolari che scandivano il calendario azteco, il Tlacaxipehualiztli. Questo rito, che si svolgeva durante il secondo mese dell’anno azteco (e corrispondeva con l’equinozio di primavera), era effettuato in onore del dio Xipe Totec, divinità che incarnava la rinascita e il passaggio (dalla vita alla morte e viceversa), il quale nella notte dei tempi si era tolto la pelle per darla come nutrimento al genere umano (come similmente fa il seme del mais che, per germogliare, deve perdere la scorza esterna).
La rappresentazione che fa il frate francescano del dio Xipe Totec è quella canonica per tutta l’area mesoamericana: sandali, copricapo sontuoso, orecchino biforcuto in oro e scettro che rappresenta il potere. Se però si presta più attenzione all’immagine, si possono notare due particolari quantomeno perturbanti: la divinità ha un braccio e gli arti inferiori di un colore diverso rispetto alla pelle nelle altre parti del corpo e, inoltre, ha una mano in più che penzola lungo il fianco sinistro.
Recuperiamo dunque la nostra fonte: il capitolo XVIII del primo tomo della Historia general de las cosas de Nueva España che, per l’appunto “Parla del dio chiamato XIPETOTEC, che viene detto “lo scorticato”.
CAPITOLO XVIII.
Che tratta del dio chiamato XIPETOTEC, che viene detto “lo scorticato”.
Questo dio viene adorato da quelli che vivono lungo la costa del mare, e la sua origine è a Zapotlán, villaggio di Xalisco. Attribuivano al dio le seguenti malattie (nel senso che il dio era patrono dei malati). Innanzitutto il vaiolo, gli ascessi che compaiono sul corpo, e la scabbia: inoltre anche le malattie degli occhi, come quella malattia che ti fa bere molto, e tutte quelle che si verificano sugli occhi: tutti coloro che sono affetti dalle malattie sopracitate, fanno il voto di indossare la sua pelle quando si sarebbe celebrata la sua festa, la quale si chiama Tlacaxipealiztli, ovvero scuoiamento di uomini. In quella festa si fa un juego de cañas [simulazione di un’azione bellica a scopo ludico, molto popolare in Spagna dal XVI al XVIII sec.] in modo che una squadra fosse dalla parte del dio Totec o somigliante a lui, e tutti questi andavano in giro vestiti con pelli di uomini, che avevano ucciso e scuoiato durante la festa (le pelli erano fresche e ancora rigate di sangue): quelli della squadra avversaria rappresentavano soldati coraggiosi e audaci, persone bellicose e temprate , che non temevano in alcun modo la morte, audaci e intrepidi a tal punto che uscivano di loro volontà per combattere con gli altri: così gli uni con gli altri si addestravano nell’esercizio della guerra, si inseguivano fino al loro posto, e da lì tornavano al loro fuggendo; finito questo gioco [il testo dice letteralmente terminato questo fuoco, ma in spagnolo juego (gioco) e fuego (fuoco) sono molto simili, quindi sospetto un errore da parte dell’editore.], coloro che indossavano le pelli degli uomini, e che quindi erano nella squadra del dio Totec, vagavano per tutto il villaggio ed entravano nelle case, domandando che si desse l’elemosina per amore di quel dio.
Nelle case nelle quali entravano, li facevano sedere sopra alcune sedie di foglie di tzapotes, e gli ponevano al collo una corona di pannocchie di mais, e altre corone di fiori che tenevano dal collo fino alle ascelle, e mettevano ghirlande e gli davano da bere pulque, che è il loro vino. Se alcune donne erano affette dalle malattie sopracitate, allora durante la festa offrivano i loro sacrifici secondo quanto avevano votato.
La rappresentazione di questa divinità è quella di un uomo nudo che ha una parte del corpo colorata di giallo e l’altra di scuro: ha in entrambi i lati del viso una striscia stretta che scende dalla fonte alla mascella: sulla testa, ha un cappello di diversi colori, con alcune nappe che scendono fino alle spalle. Come vestito indossa la pelle di un uomo: i capelli raccolti in due trecce e degli orecchini d’oro: è cinto da delle vesti verdi, che gli arrivano alle ginocchia, con delle conchiglie che pendono: indossa dei sandali, e uno scudo di color giallo colorato a tinta unita: e tiene uno scettro con entrambe le mani, come un calice di papavero, dove tiene il suo seme, con in cima un tappo a freccia appuntita.
Il testo di Sahagún è ricchissimo di informazioni: Xipe Totec è già un dio “specializzato” in alcune malattie (come le divinità dei pantheon greco e latino, oppure come i santi del monoteismo cristiano), ha un rituale ben precisato, almeno limitatamente all’area descritta dal frate francescano, e degli attributi fissi: in particolare, oltre alla pelle umana, la corona di pannocchie di mais, attributo di un dio generoso verso gli uomini ma anche cangiante per sua natura (così come lui si spoglia della sua pelle, così il mais si libera della sua scorza). Ma non ci dà l’informazione forse fondamentale, quella sui sacrifici umani, o meglio, su cosa significasse indossare le pelli “fresche e ancora rigate di sangue”.
Per questo, a supplemento del testo di Sahagún utilizziamo quindi un altro codice, quello di Juan de Tovar:
Il testo, coevo a quello di Bernardino de Sahagún, da alcune informazioni interessanti: prima fra tutte la collocazione temporale del rito che, appunto, avveniva in coincidenza con l’equinozio di primavera; inoltre il disegno della divinità Xipe Totec (o forse di un suo devoto) è decisamente più “realistica”: la differenza tra la pelle morta indossata e la pelle del personaggio sono sensibilmente separabili con tanto di “guanti” umani che penzolano dai polsi del protagonista. Questa raffigurazione è inoltre corredata da quella corona di mais che era distribuita alle donne delle case che ospitavano i tanti Xipe Totec durante il rito dello Tlacaxipehualiztli e che il dio tiene nella mano destra.
Ma di fatto, come si svolgeva e cosa rappresentava il sacrificio a Xipe Totec?
Purtroppo non c’è unanimità tra gli storici sulle modalità di svolgimento del rituale, principalmente per due ordini di motivi: il primo è che le informazioni sono “di seconda mano” (per lo più di religiosi spagnoli che possono aver travisato o manipolato le informazioni), mentre il secondo è la comprovata differenziazione, anche in rituali di popoli di cui si hanno più informazioni (come quelli del mediterraneo), su base geografica, si pensi, ad esempio, a come cambiano i Baccanali da Atene alla Tracia o alla Beozia.
Ancient History Encyclopedia, infatti, racconta di un sacrificio che, pur mantenendo i cardini fondamentali, è abbastanza diverso da quello raccontatoci da Bernardino de Sahagún: preliminarmente alla festa, un uomo, scelto per impersonare il dio Xipe Totec, indossava per 40 giorni vestiti sontuosi e gioielli d’oro (secondo le rappresentazioni che anche il francescano ne fa nella sua opera). Successivamente, all’alba del giorno del rituale, questi veniva sacrificato e scuoiato assieme ad altri otto uomini che impersonavano altre divinità, compreso il famoso Quetzalcóatl (manca così tutta la dinamica della simulazione bellica e della visita delle case che in Sahagún aveva ampio spazio). Le pelli delle vittime erano successivamente tinte di giallo e chiamate teocuitlaquemitl (vesti d’oro, di cui si ha riscontro sia presso il disegno di Sahagún che in quello di Tovar) e indossata dai sacerdoti che eseguivano danze rituali durante una cerimonia conosciuta come Tozoztontl, tenuta il mese successivo.
Riguardo il significato di questo genere di riti, John M. Ingham dell’Università del Minnesota sostiene che “The sacrificing of slaves and war captives and the offering of their hearts and blood to the sun thus encoded the essential character of social hierarchy and imperial order and provided a suitable instrument for intimidating and punishing insubordination.” Trad. “Il sacrificio di schiavi e di prigionieri di Guerra e l’offerta dei loro cuori e del loro sangue al sole codificava il carattere essenziale della gerarchia sociale e dell’ordine imperiale, mentre forniva un valido strumento di intimidazione e di punizione per l’insubordinazione” (Human Sacrifice at Tenochtitlan, p. 379).
In particolare la superiorità nobiliare sembra essere strettamente collegata all’esercizio della guerra e, non a caso, presso i Tenocha-Mexica il dio protettore era Huitzilopochtli, un dio guerriero. La sovrapposizione della nobiltà con la nobiltà celeste degli dei doveva essere molto forte: proprio come i secondi, i primi indossavano ricchi mantelli, sandali in cuoio e gioielli d’oro e non disdegnavano nemmeno di consumare la carne umana durante i riti. Si unisca a ciò il fatto che lo status nobiliare, a differenza che in Europa, era un tratto acquisibile solo dall’individuo, attraverso atti di eroismo in battaglia, e non da un individuo per la sua stirpe.
I nobili non acquistavano i loro beni nel mercato, li acquisivano sul campo di battaglia dai nemici uccisi (Diego Durán, Historia de las indias de Nueva Espata e Islas de la Tierra Firme, Angel Ma. Garibay K. ed. 2 vols. Mexico City: Editorial Porrua, 1967).
Ma la questione riguardo il forte militarismo azteco non è (ovviamente) soltanto una questione culturale (benché i suoi risvolti in questo senso fossero davvero importanti nel raggiungimento del fine di stabilità politica), è anche una questione economica: Edward Calnek stima infatti che gli orti di Tenochtitlan non avrebbero potuto che soddisfare il 15% della richiesta di cibo dell’intera città, un calcolo che implica necessariamente una forte dipendenza da parte della città a fonti di approvvigionamento esterno da un lato (ottenibile con tributi imposti a seguito di una vittoria militare), e una forte specializzazione occupazionale da parte della popolazione cittadina dall’altro (Calnek, Settlement Pattern and Chinampa Agriculture at Tenochtitlan).
Come si relazionano dunque i violenti riti di sacrifici aztechi con l’importanza ricoperta dal militarismo nella società azteca?
Una possibile risposta, che sembra alquanto persuasiva, è quella di un continuo ricordo alla popolazione “comune” di chi sia al comando e del perché lo sia: i nobili si consideravano tali per meriti personali ed erano inoltre i garanti della sicurezza della popolazione lavoratrice (e a questo titolo dunque esentati dal pagamento delle imposte).
Il sacrificio umano di altri valorosi quindi (perché le vittime sacrificali spesso erano prigionieri di guerra) è volto a ricordare da un lato la superiorità del proprio popolo sui nemici sconfitti, e dall’altro è uno strumento formidabile di propaganda volta alla stabilità sociale: il sacrificio di prigionieri che impersonano divinità che “si donano” generosamente al popolo (divinità che sono rappresentate in terra dalla nobiltà) è l’atto che, ripetuto nel tempo, cementifica la gerarchia sociale.
I nobili quindi che in questo intricato sistema di significati vanno a sovrapporsi agli dei celesti, sono generosi nei confronti del loro popolo, lo proteggono e offrono sacrifici per assicurare la fecondità del suolo ma, dall’altro lato, sempre per questo insieme di motivi, meritano di essere al comando, per la loro effettiva funziona sociale ma, soprattutto per la loro innegabile somiglianza con gli dei ultraterreni.
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Scusate … nell’articolo si parla di cannibalismo, ma esistono documentazioni certe?
Il Messico precolombiano era una zona sovrappopolata e facile a crisi ecologiche, e questo spiegherebbe lo stato di conflittualità permanente (la guerra continua, riducendo gli utenti, diminuirebbe il fabbisogno alimentare generale) , ma l’antropofagia continuata provoca delle malattie infettive non contagiose (es. kuru) di cui non esiste traccia nella storiografia … oppure i Mexica erano riusciti a sviluppare una immunità genetica?
@Maurizio
Innanzitutto Non mi sembra che si parli di cannibalismo alimentare ma piuttosto del tipico cannibalismo rituale.
Detto questo ci sono un paio di variabili di cui tener conto:
a) Come specificato dall’articolo, non si tratta di cannibalismo alimentare ma di cannibalismo rituale. Inoltre a consumare carne umana era solo una piccola porzione e cioè il ceto nobiliare. La gran parte della popolazione era risparmiata dal fenomeno.
b) Ceto nobiliare che nella realtà pre-colombiana doveva avere una vita piuttosto…turbolenta. Di certo si godevano i privilegi della loro condizione ma erano anche i primi a scendere in campo durante le battaglie. Con tutte le conseguenze del caso.
c) La malattie da prioni si trasmettono solo con consumo della carne infetta. La trasmissione inter-umana è assai più difficile cosa che limita la diffusione e la formazione di epidemie.
d) Non tutti i tessuti sono adatti alla trasmissione di prioni. Quindi occorre che il tessuto sia specifico e adeguatamente deteriorato per facilitare la trasmissione. E’ possibile che i Mexica anziché mangiare un bel cervello putrefatto nella terra per una settimana, preferissero un bel cuore fumante appena estratto dalla vittima. Due condizioni tessutali enormemente diverse.
e) Le malattie da prioni hanno lunghi periodi di incubazione (in media quasi due decenni) e si sviluppano altrettanto lentamente.
Sommando tutte queste variabili è logico pensare che i Mexica non abbiano sviluppato alcuna immunità. Molto più probabile che il fenomeno fosse così statisticamente irrilevante da essere ignorato o inquadrato sotto cause di altra natura.
Un saluto.
grazie !
Quindi nessuna prova che sacrificavano “migliaia” di persone!
La carne dei sacrificati era in vendita al mercato. Certo, il consumo “rituale” nelle società antiche ha connotazioni diverse da quello che si può pensare comunemente. Le cronache riferiscono della ripartizione dei corpi secondo le spettanze ed anche che chi aveva (anche comprato, come fu permesso ai mercanti) uno schiavo da sacrificare organizzasse banchetti a cui erano ammessi tutti gli abitanti del suo calpulli. Sempre al sacrificio è correlata la distribuzione
il kuru dipende dalla decomposizione, gli aztechi se li mangiavano freschi freschi e soprattutto ben cucinati. Esiste la documentazione, esistono cronache, raffigurazioni, esistono anche ricette di come cucinare carne umana. Per una efficace isione generale ti consiglio il testo di Christian Verger, “La fleur létale” edito in Italia come “Il fiore letale” ed anche la lettura di “Buono da mangiare” (Good to eat) di Marvin Harris che dedica al cannibalismo degli aztechi un interessante capitolo
Il Messico attuale non era sovrappopolato all’epoca preispanica. Vi erano circa 80 milioni di persone su un territorio di circa (escludendo la parte desertica del nord e la bassa California) 1 milione di kmq (tre volte l’Italia).
I Mexica e, in genere, tutte le popolazioni locali (Totonaca, Mixteca, Maya ecc ad esclusione degli Olmeca) facevano largo uso del cannibalismo rituale.
Ad esempio, in molte cerimonie mexica, i condannati rituali erano privati del cuore tramite un taglio operato con un coltello di ossidiana, il loro corpo gettato dalle scalinate del tempio ed in basso, vi erano già macellai (eh sì, macellai), che smembravano il corpo.
Le gambe erano date al guerriero che aveva catturato la vittima (si pensava donassero forza), il resto era per tutto il popolo, non solo aristocratici. Ogni parte del corpo aveva un’importanza diversa, come la società mexica, era altamente gerarchizzato (quindi, alcuni ‘pezzi’ erano per i nobili, detti pipiltin, altri per il popolo comune, detto macehuatl).
Il sacrificio umano era utile ad alimentare il sole e gli dèi, perché si pensava che il cuore fosse vitale per mandare avanti il ciclo vitale dell’universo.
80 milioni di persone nel Messico pre colombiano? Queste cifre mi sembrano un po alte, comporterebbero inoltre una densità abitativa di circa 80 abitanti per chilometro quadrato, includendo in questi chilometri le giungle del sud e le montagne, una densità superiore a quella che l’agricoltura del tempo poteva sostenere, inoltre nei libri che ho letto la popolazione del impero azteco è stimata in circa 10/20 milioni di persone, https://books.google.it/books?id=g2tTCwAAQBAJ&pg=PT31&lpg=PT31&dq=popolazione+impero+azteco&source=bl&ots=PkRX56CNor&sig=AZvnLDEKazlJZd9S04ZnehxoNyU&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjW9tHcueHXAhXLWRQKHcxrAiU4ChDoAQhAMAc#v=onepage&q=popolazione%20impero%20azteco&f=false anche se tale impero non includeva tutte le aree fertili della mesa america trovo difficile pensare che dai tre quarti ai 7 ottavi della popolazione meso americana non fossero sottoposti all’impero e che questo non comportasse l’esistenza di altri imperi ancora più grandi.
Concordo Antony. Anche a me sono sempre sembrate cifre sovrabbondanti.
Ma esistono prove di sacrifici? Sto cercando ma non trovo prove.
Piccola correzione, un po’ pedante: il Messico non appartiene al Sud America, ma al Nord America. E’ una nazione latinoamericana di lingua spagnola, ma per geografia e cultura appartiene totalmente al Nord America.
Il Messico non appartiene geograficamente al Sud America, ma appartiene all’America Latina, per cui è un paese del Nord America solo dal punto di vista geografico, ma non culturale. Mi pare manifesto infatti che siamo molto più simili tra di loro Messico e Argentina per storia, lingua e cultura che non Messico e USA.
Concordo con voi che l’antropofagia degli indios fosse solamente rituale.
Bernal Dìaz del Castillo, fante di Cortés e cronista della spedizione, ci riferisce il primo colloquio tra Cortés e Moctezuma, dove lo Spagnolo ripetette all’imperatore gli inviti, che aveva già fatto a tutti i cacicchi fino a quel momento incontrati, di abbandonare la loro religione e i sacrifici umani. Cortés spiegò poi in cosa consisteva la religione Cristiana.
Moctezuma non si scompose, probabilmente i suoi ambasciatori gli avevano già riferito di questa attività proselitista, e rispose a Cortés che la loro pratica gli sembrava meno rivoltante che mangiare la carne di un dio. Da qui si capisce come i due stessero parlando del rito Cristiano cioè del sacrificio del corpo e del sangue di Gesù Cristo che, sotto le apparenze del pane e del vino, viene rinnovato dal sacerdote sull’altare, e del rito degli indios di mangiare pezzettini delle carni delle vittime per simulare il pasto degli dèi.
Gli dèi indios mangiano, infatti, i cuori delle vittime a loro offerte, e bevono il loro sangue. In questo modo si soddisfano e lasciano tranquilli gli umani; dato che gli Aztechi in poco tempo avevano messo su un impero, da poveri straccioni che erano, i sacrifici di ringraziamento erano cresciuti esponenzialmente.
Non ho mai trovato però scritto di attività di macelleria addirittura anche se rituale.
Alla conquista di Tenochtitlan, la leggenda vuole che gli alleati degli Spagnoli, Tlaxcalani, fossero sorpresi a strappare carni ai cadaveri, mentre naturalmente i conquistadores rovistavano gli stessi cadaveri per strappare gli ultimi pezzettini d’oro. Però questi resoconti non sicuri potrebbero essere aggiunte nel post conquista quando gli Spagnoli vollero prendere le distanze dalla immane carneficina, che fu la conquista e dalla ingiustizia che ne seguì scaricando le responsabilità su altri. Difatti, in un Europa travagliata dalle guerre e dall’inquisizione i sacrifici rituali non generarono molto scalpore, ma le notizie di cannibalismo invece ebbero un forte impatto tanto da “ingentilire” la conquista.
TLACAXIPEHUALIZTLI significa “cambio delle persone”. Era un rituale che permetteva la purificazione di coloro che avevano commesso gravi mancanze. In questo rituale i colpevoli avevano la possibilità di difendersi e di correggere i propri errori