Prigionieri di Guerra USA: Europa vs Pacifico, i numeri della sopravvivenza

Introduzione

Tra i prigionieri di guerra (POW) statunitensi della Seconda guerra mondiale il “tasso di sopravvivenza” (survival rate) fu radicalmente diverso a seconda del fronte e del carceriere. In Europa, nelle mani tedesche (e, fino al 1943, anche italiane), morì circa l’1–1,2% degli americani catturati; nel Pacifico, sotto custodia giapponese, la mortalità fu decine di volte più altaIl confronto non è una gara macabra: è una lente per capire norme, logistiche, culture militari, ideologie, geografie e decisioni amministrative che, sommate, hanno deciso la vita o la morte di decine di migliaia di persone.

Parto da alcune cifre “dure”. Lo storico della Veterans Administration Charles A. Stenger riportò che 93.941 militari USA furono catturati e internati in Germania (e nei territori sotto controllo tedesco): 1.121 morirono in prigionia, cioè poco più dell’1%, quindi un survival rate del 98,8%. Dall’altra parte del mondo, nelle prigioni giapponesi, gli americani militarmente catturati furono 27.465; 11.107 non tornarono: circa il 40,4% di mortalità, dunque un survival rate attorno al 59,6%. Altri dataset ufficiali, che includono teatri e periodizzazioni leggermente diversi, confermano l’ordine di grandezza: 95.532 americani catturati nel teatro europeo con 1.124 morti (~1,18%), contro 34.648 presi dai giapponesi con 12.935 morti (~37,3%). Se allarghiamo lo sguardo agli Alleati nel loro complesso, la mortalità nei campi nipponici fu ~27%, ma per gli americani risultò più elevata (34–40% a seconda dei criteri di conteggio).

Perché queste forbici? Conta il diritto (ratificato e/o applicato), contano la cultura militare e il disprezzo per la resa, contano logistica e carestie, contano i flussi di pacchi della Croce Rossa, contano i trasferimenti in mare (le famigerate hell ships). E contano persino le stagioni: l’inverno del 1944–45 in Europa, con le “marce della morte” dei POW trasferiti a piedi, uccise “solo” qualche centinaio o poche migliaia di prigionieri occidentali (tra cui molti americani), ma non scardinò il dato strutturale di una mortalità intorno all’1%.

POW in Germania

Quante persone e quante morti. Per il fronte europeo possiamo lavorare su basi piuttosto solide. Le cifre VA/Stenger: 93.941 militari USA catturati da tedeschi (e, in parte, da italiani) con 1.121 morti (~1,19%). Il che equivale a >98,8% di sopravvivenza. Serie alternative (US DoD/compendi statistici) parlano di 95.532 catturati e 1.124 morti (stesso ordine di grandezza).

Cornice giuridica. La Germania nazista aveva ratificato la Convenzione di Ginevra del 1929 sui prigionieri, che—pur violata gravemente contro i sovietici—fu in generale applicata ai POW dei Paesi occidentali: visite (imperfette) della Croce Rossa, invio di pacchi, diritto alla corrispondenza, lavoro per i sottufficiali/soldati ma non per gli ufficiali, ecc. Questo regime non eliminò fame e malattie, ma fissò standard minimi e, soprattutto, aprì canali logistici (Croce Rossa) che salvarono vite.

Cosa si mangiava (e quanto). Le razioni tedesche nei campi potevano scendere a ~850 kcal giornaliere “emesse”, pari a ~650 kcal “consumate” al netto di scarti/inedibili—un livello da debilitazione cronica. Le integrazioni dei pacchi della Croce Rossa (quando arrivavano) erano vitali; un rapporto americano calcolò che durante una lunga marcia la colonna ricevette ~1.235 kcal/giorno dai tedeschi più ~1.500 kcal/giorno dai pacchi, superando così la soglia di mera sopravvivenza. A livello aggregato, la sola American Red Cross produsse oltre 27 milioni di pacchi alimentari per i POW nella WWII.

Le marce d’evacuazione del 1945. Tra gennaio e aprile 1945, mentre l’Armata Rossa avanzava, oltre 80.000 POW occidentali furono evacuati a piedi verso ovest (“The March”), in pieno inverno. Le stime delle vittime variano: da “centinaia” a “alcune migliaia” complessive per americani e Commonwealth; per la sola colonna di Stalag Luft IV (86 giorni e ~600 miglia) circola la cifra fino a 1.300 morti americani, anche se non esiste un conteggio ufficiale consolidato. Queste cifre, comunque tragiche, non spostano la mortalità complessiva sopra l’1–1,2%.

Ebrei americani e vulnerabilità. Circa 9.000 militari ebrei statunitensi finirono in campi tedeschi. In linea generale furono trattati come gli altri POW occidentali, pur con momenti di rischio e discriminazione. Il punto non è marginale: ci ricorda come anche dentro un sistema genocidario potesse valere, per i POW occidentali, la logica “di scambio” del diritto internazionale.

Bilancio europeo (USA).

  • Catturati: ~94–96 mila
  • Morti in prigionia: ~1.1–1.2 mila
  • Mortalità: ~1–1,2%sopravvivenza ~98,8–99%

POW in Giappone

Quante persone e quante morti. Per i soli militari USA, una serie largamente citata conta 27.465 catturati e 11.107 morti (~40,4% mortalità → survival ~59,6%). Un’altra serie ufficiale indica 34.648 catturati e 12.935 morti (~37,3%). In ogni caso, tra un terzo e due quinti: un ordine di grandezza 30–40 volte peggiore dell’Europa. A livello alleato (tutti i nazionali), la mortalità media nei campi giapponesi fu ~27%, ma gli americani sembrano aver sofferto di più.

Cornice giuridica (e culturale). Il Giappone non ratificò la Convenzione di Ginevra del 1929 sui POW (pur dichiarando nel 1942 l’intenzione di applicarne mutatis mutandis molte disposizioni): ciò, insieme a una cultura militare che stigmatizzava la resa, rese fradice le garanzie. La Croce Rossa ebbe accessi limitati e irregolari; i pacchi spesso intercettati o trattenuti; il lavoro coatto in miniere, porti, acciaierie e cantieri navali divenne norma.

Fame, malattie, lavoro forzato. Testimonianze e studi medici stimano razioni effettive anche intorno a 700–1.200 kcal/giorno, sistematicamente insufficienti per chi lavorava duro (miniere, binari, banchine). La malnutrizione, unita a dissenteria, beriberi, malaria e tifo, fu la principale causa di morte.

Le hell ships. La mortalità esplode durante i trasferimenti via mare: stive stipate, senza acqua né aria, navi non marcate col simbolo dei prigionieri (e quindi attaccate legittimamente da aerei/sub dei Paesi Alleati). Il caso più noto: Ōryoku Maru (dicembre 1944) e i successivi trasferimenti su Enoura Maru e Brazil Maru. Dei 1.619 POW che salirono su Ōryoku Maru a Manila il 14 dicembre 1944, solo 497 arrivarono vivi a Moji (Kyūshū) il 29 gennaio 1945: lungo il percorso centinaia morirono per bombardamenti, asfissia, sete, tifo e piaghe, con stime di ~500 decessi solo sulla tratta finale di Brazil Maru. A livello aggregato alleato, oltre 22.000 prigionieri morirono sui convogli nipponici nel tentativo di spostarli verso il lavoro nell’Home Islands o in Manciuria: un dato che illustra la letalità sistemica del sistema di trasporto.

Bataan e l’“effetto imbuto”. La resa a Bataan (9 aprile 1942) generò il più grande “imbuto” di catture americane nel Pacifico: la Bataan Death March, 65 miglia in condizioni disumane, con 500–650 morti americani (e molte migliaia di filippini) solo durante la marcia, cui si aggiunse l’inferno di Camp O’Donnell. Nel settembre 1942, al campo di Cabanatuan, 799 POW USA morirono nel solo mese di luglio; fu il picco di una curva di mortalità che scese solo quando—mesi dopo—arrivarono alcuni farmaci e scatole della Croce Rossa.

POW americani marciano da Bataan a Cabanatuan nel 1942

Dopo la liberazione: la coda lunga della sofferenza. Non è “solo” che in prigionia morì il 34–40%: anche tra i sopravvissuti i danni furono persistenti. Nei primi sei anni dopoguerra, i POW USA del Giappone ebbero tassi di morte più che doppi rispetto a coetanei bianchi negli USA, con eccessi di tubercolosi, suicidi, incidenti e cirrosi; al contrario, i reduci dei campi nazisti ebbero mortalità circa un terzo di quella dei reduci del Giappone nello stesso periodo, coerente con la bassissima mortalità in cattività.

Bilancio Pacifico (USA).

  • Catturati: ~27–35 mila (a seconda dei criteri)
  • Morti in prigionia: ~11–13 mila
  • Mortalità: ~34–40%sopravvivenza ~60–66%

La discussione di oggi

Perché tanta differenza? Le spiegazioni, per come le leggo nei documenti e negli archivi digitali, si sommano senza escludersi:

  1. Diritto e prassi. In Europa la Convenzione 1929 era ratificata e operativa; in Giappone no. A parole Tokyo promise di applicarla “per umanità”, ma de facto logistica, ideologia e disciplina militare ne fecero carta straccia. Il risultato più concreto, e meno ideologico, fu il flusso di pacchi: in Europa esso garantì calorie, grassi, proteine e vitamine in quantità non eccelsa ma decisiva; in Asia, i pacchi spesso non arrivavano ai destinatari. (Per inciso: dove arrivarono, la curva dei decessi crollò in poche settimane—vedi Cabanatuan dal dicembre 1942).
  2. Trasporto e geografia. Le hell ships furono uno snodo letale che non ha equivalenti europei su scala comparabile. Il Giappone doveva spostare manodopera forzata via mare, tra arcipelaghi e coste bombardate; non marcò le navi; i POW morirono a migliaia sotto attacchi alleati o per le condizioni di stiva. In Europa i trasferimenti avvenivano per ferrovia o a piedi; brutalissimi (vedi The March, inverno 1945), ma con mortalità complessiva nettamente inferiore.
  3. Cultura militare e lavoro coatto. La resa, per molti quadri nipponici, era uno stigma. Ciò favorì violenza gratuita e punizioni, ma soprattutto un uso industriale del lavoro schiavistico sotto-razzionato. La Germania usò il lavoro dei POW, ma entro regole (non sempre rispettate) negoziate e osservate nel complesso per i prigionieri occidentali. (Per i sovietici, la storia è tragicamente diversa: la mortalità sovietica in mani tedesche fu catastrofica, ma qui parliamo specificamente di americani).
  4. Carestie e collasso alimentare. Il Giappone tra 1944 e 1946 visse un crollo calorico generale (civili inclusi), con razioni urbane che scesero anche sotto le 1.000 kcal/die nel 1946. In un’economia di penuria, i primi a saltare furono i diritti dei nemici.

Cosa ci dicono le cifre sulla memoria e sulla giustizia? A me colpisce sempre un fatto: i numeri non “assolvono” nessuno, ma costringono a distinguere. È facile parlare genericamente di “prigionieri nella WWII”; è più onesto dire che per gli americani la prigionia in Europa fu molto spesso una guerra di calorie, freddo, noia e umiliazioni—terribile, ma statisticamente sopravvivibile—mentre nel Pacifico fu una scommessa esistenziale contro la fame e il mare.

In anni recenti sono arrivati gesti importanti. Nel 2009 il governo giapponese ha presentato scuse ufficiali ai POW americani; nel 2015 la Mitsubishi Materials è stata la prima grande azienda a scusarsi per l’uso di lavoro schiavistico dei prigionieri americani, e a sostenere iniziative di memoria. Persistono però richieste di riconoscimento (e verità piena) sui siti industriali e sui viaggi della memoria. Le famiglie ricordano che circa il 40% dei loro cari non tornò, e che molti sopravvissuti pagarono un prezzo fisico e psichico per decenni.

Uno sguardo “da storico” (personale).
Non ho mai creduto che la statistica “spieghi” la sofferenza. Ma, dopo vent’anni passati fra faldoni, diari e perizie mediche, ho capito che la statistica svela le occasioni mancate di umanità. Per i POW USA in Europa bastava che i pacchi della Croce Rossa passassero e che i comandanti locali chiudessero un occhio sui baratti: migliaia di vite restarono appese a quel filo—e in gran parte si salvarono. Nel Pacifico, le stesse condizioni (poco cibo, malattie endemiche, bombardamenti) non avrebbero dovuto condannare un americano su tre o due su cinque. Quello è un esito prodotto da scelte: niente marcature sulle navi; punizioni legate all’ideologia della resa; lavoro a calorie negative; ostilità verso la Croce Rossa. Non sono “fatalità culturali”; sono politiche.

Le controversie su presunte “morti di massa” di prigionieri tedeschi in mano occidentale nel dopoguerra (il caso Other Losses) hanno attirato molta attenzione; ma la miglior storiografia ridimensiona drasticamente quelle cifre, indicando tassi di mortalità ~1% o meno, in linea col quadro che abbiamo descritto per gli americani in mano tedesca. È un promemoria metodologico: i numeri vanno controllati, e le serie più solide—per i POW USA—dicono da 80 anni la stessa cosa: in Europa si sopravviveva (quasi sempre), in Asia spesso no.

Se guardo a queste tabelle come a “cartografie morali”, vedo due mappe: in una, l’Europa, il filo della legalità internazionale—logoro, ma presente—ha tenuto in vita il 99% dei POW USA; nell’altra, il Pacifico, quel filo si è spezzato troppo spesso, e un americano su tre (o peggio) ha pagato con la vita. La storiografia non chiede vendette: chiede precisione. E la precisione, qui, è l’unica forma di giustizia che possiamo ancora garantire ai prigionieri.


Dati chiave riassunti (USA)

  • Germania/Teatro europeo: ~94–96 mila catturati; ~1.1–1.2 mila morti; mortalità ~1–1,2% (survival ~99%). stalagluft4.org
  • Giappone/Teatro asiatico: 27–35 mila catturati; 11–13 mila morti; mortalità ~34–40% (survival ~60–66%). Museo Seconda Guerra Mondiale
  • Bataan Death March: 500–650 americani morti durante la marcia; poi picchi mensili (es. 799 morti USA a Cabanatuan in luglio 1942). Wikipediadpaa.mil
  • Hell ships: caso Ōryoku/Enoura/Brazil Maru—da 1.619 imbarcati (14 dic 1944) a 497 arrivati (29 gen 1945); a livello alleato, >22.000 morti sui trasporti nipponici. National Archivesdpaa.mil
  • Dopo la guerra: tra i reduci, mortalità 2× nei primi 6 anni per i POW del Giappone vs coetanei USA; i reduci dei campi nazisti mostrano esiti postbellici sensibilmente migliori. Congresso.gov

Bibliografia essenziale

  1. Gavan Daws, Prisoners of the Japanese: POWs of World War II in the Pacific, New York, William Morrow, 1994.
  2. Sarah Kovner, Prisoners of the Empire: Inside Japanese POW Camps, New York, Columbia University Press, 2020.
  3. Linda Goetz Holmes, Unjust Enrichment: How Japan’s Companies Built Postwar Fortunes Using American POWs, Mechanicsburg (PA), Stackpole Books, 2001.
  4. Neville Wylie, Barbed Wire Diplomacy: Britain, Germany, and the Politics of Prisoner of War, 1939–1945, Oxford, Oxford University Press, 2010.
  5. Office of The Surgeon General, U.S. Army, Internal Medicine in World War II, vol. III, Washington D.C., Government Printing Office, 1967 (cap. “The German Prisoner of War” e studi nutrizionali pertinenti).

Fonti web citate (selezione)

  • VA/Stenger su POW USA in Germania (93.941 catturati; 1.121 morti). stalagluft4.org
  • National WWII Museum: mortalità USA in mano giapponese (11.107/27.46540,4%). Museo Seconda Guerra Mondiale
  • Compendio ufficiale (serie alternative): 95.532/1.124 (Europa) e 34.648/12.935 (Giappone). Wikipedia
  • Stima alleata Pacifico (27%); americani ~34%. niod.nl
  • Convenzioni di Ginevra (ratifica Germania; status Giappone).
  • Calorie/razioni e ruolo Croce Rossa (Europa e Asia).Esercito degli Stati Uniti
  • “The March” in Europa (inverno 1945) e Stalag Luft IV. WikipediaThe 392nd Bomb Group
  • Cabanatuan: 799 morti USA in luglio 1942; dinamica della mortalità. dpaa.mil
  • Ōryoku/Enoura/Brazil Maru (itinerario e perdite); morti alleati su hell ships >22.000. National Archives
  • Scuse e memoria (2009 governo giapponese; 2015 Mitsubishi Materials). TIMECongresso.gov

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