Schiavitù in America prima di Colombo

Introduzione

La storia della schiavitù in America prima dell’arrivo di Colombo, ossia tra i popoli nativi americani prima della colonizzazione europea, è un tema complesso e spesso trascurato. Mentre l’immagine più diffusa collega la schiavitù allo sfruttamento delle popolazioni africane da parte delle potenze coloniali europee, è importante fare una panoramica sulle tipologie di servitù, cattività, prigionia e lavoro forzato praticate prima del contatto con gli europei.

Naturalmente, tali istituzioni differivano sensibilmente a seconda del periodo e del luogo geografico.

Le tracce più antiche di un sistema di cattività organizzata risalgono probabilmente a comunità stanziate in quelle che oggi sono le regioni dell’America centrale e meridionale, come le culture Maya, Azteca e Inca. Anche molte popolazioni dell’America del Nord (ad esempio lungo la costa nord-occidentale del Pacifico, ma anche nelle Grandi Pianure e nel Sud-Est nordamericano) praticavano la schiavitù. In molti casi, si trattava di prigionieri di guerra costretti a svolgere lavori o mansioni umili, oppure di individui “acquistati” o barattati fra le tribù, specialmente nei periodi di carestia o di tensione intertribale.

Schiavitù tra Nativi Americani

America Centrale: Maya e Aztechi (ca. 250 d.C. – 1519 d.C.)

Maya: La civiltà Maya fiorì in Mesoamerica grossomodo tra il III e il X secolo d.C. (Periodo Classico), lasciando monumenti e codici che forniscono importanti testimonianze su vari aspetti sociali. Sebbene il termine “schiavitù” non si applichi sempre in maniera univoca, sappiamo che i Maya facevano ricorso a prigionieri di guerra, in particolare dopo i conflitti fra città-stato rivali: questi venivano impiegati in attività di costruzione di grandi opere (templi, piramidi) e in attività agricole. I prigionieri potevano essere anche oggetto di sacrifici rituali, soprattutto nelle cerimonie dedicate alle divinità più cruente. Alcune evidenze epigrafiche suggeriscono che tra il 600 e il 900 d.C. in aree come Tikal, Calakmul e Palenque, i prigionieri venivano esibiti durante i cortei religiosi e costretti a servire la classe nobile.

Aztechi: La società azteca (XIV – inizio XVI secolo) era fortemente stratificata e il fenomeno della schiavitù (in lingua nahuatl “tlacotin”) era ben definito: un individuo diventava schiavo come prigioniero di guerra, per debiti, oppure per punizione di reati gravi. A Tenochtitlán – fondata secondo la tradizione nel 1325 – la schiavitù non era ereditabile: il figlio di uno schiavo non era considerato schiavo per nascita. Molti schiavi finivano poi sacrificati in rituali religiosi, come il celebre “Festa del Toxcatl”, e alcuni potevano persino riscattarsi se riuscivano a pagare il proprio “debito di vita” o se dimostravano valore in guerra. Nel XV secolo, la pratica di catturare prigionieri per i sacrifici divenne intensissima sotto i regni di Itzcōātl (1427–1440) e Montezuma I (1440–1469), contribuendo all’espansione militare e politica dell’impero azteco in tutta la regione.

America Meridionale: l’Impero Inca (ca. 1438 – 1533)

L’impero Inca, con capitale a Cuzco, si estese tra il XV e l’inizio del XVI secolo nelle regioni andine corrispondenti agli attuali Perù, Bolivia, Ecuador, Cile settentrionale e parte dell’Argentina. Alcuni studiosi ritengano che la vera “schiavitù” fosse meno diffusa rispetto ad altre forme di obbligo lavorativo (ad esempio il sistema della “mit’a”, un lavoro a rotazione imposto a tutte le comunità sottomesse). Tuttavia, è noto che i prigionieri di guerra e alcune minoranze etniche soggiogate venissero utilizzati come forza lavoro coatta nelle grandi opere pubbliche (strade, terrazzamenti agricoli, depositi imperiali). Documenti successivi al 1532, anno della conquista spagnola guidata da Francisco Pizarro, indicano che i popoli sottomessi potevano subire forme di deportazione e riassegnazione dei villaggi, col fine di “frammentare” identità e resistenze. Tali pratiche di controllo ricordano da vicino una sorta di “schiavitù statale”, seppur regolata da meccanismi complessi e inserita in un sistema di reciproci doveri con lo Stato inca.

Nord America: Costa Nord-Occidentale (prima del 1492)

Tra le popolazioni Tlingit, Haida, Tsimshian e Kwakwaka’wakw (stanziate nel tratto costiero che oggi corrisponde a parti dell’Alaska sud-orientale, della Columbia Britannica e di alcune zone dell’Isola di Vancouver), la schiavitù era una componente radicata nella gerarchia sociale, spesso legata alle rivalità marittime e agli scontri fra clan. Le prime testimonianze orali, e poi i resoconti scritti di esploratori russi e inglesi del XVIII secolo, suggeriscono che già prima del contatto con gli europei esisteva una tradizione di rapimento di individui appartenenti ad altri gruppi. Questi “schiavi” potevano essere venduti, dati in dono durante cerimonie potlatch o obbligati a lavorare nella pesca e nella raccolta di risorse marine. La datazione precisa delle prime usanze schiaviste è ardua, ma le evidenze archeologiche attestano insediamenti con stratificazioni sociali ben definite sin almeno dal VI-VIII secolo d.C.

La schiavitù tra nativi durò almeno fino al 1886, anno a cui risalte l’ultimo documento ufficiale realtivo a questo tema: un uomo ridotto in schiavitù, Sah Quah, si presenta in un tribunale di Sitka chiedendo documenti per la sua libertà al suo schiavista, Nah-Ki-Klan, un uomo Tlingit di Sitka.

Nella descrizione della vita dello schiavo presso queste tribù del documento dell’epoca, leggiamo:

“La vita dello schiavo è interamente a disposizione del suo padrone o della sua padrona, ed è consuetudine tra loro uccidere uno o più schiavi alla morte del padrone o al verificarsi di qualche altro evento, come il completamento di una nuova casa. Forare le orecchie o cavare un occhio a uno schiavo, o qualche altro modo di marcare la carne, è stata ed è tuttora un’usanza di alcune famiglie di questo popolo. Le prove dimostrano che l’obiettivo di tali mutilazioni è quello di impressionare gli schiavi sulla loro inferiorità e rendere completa la loro umiliazione; che sono credenti nella stregoneria e che, quando uno spirito di insubordinazione si manifesta da parte degli schiavi, viene chiamato il giocoliere che, con esorcismi e incantesimi magici, finge di scacciare gli spiriti ribelli e gli schiavi sono costretti a sottomettersi.”

Nord America: Grandi Pianure e Sud-Est

Grandi Pianure: Popolazioni come i Pawnee, i Comanche e i Crow praticavano la cattura di prigionieri durante conflitti tribali. Sebbene i ruoli di questi prigionieri fossero vari (a volte divenivano membri adottivi del clan vincitore), non mancavano casi di trattamenti più vicini alla schiavitù. Gli studiosi ipotizzano che, nel corso del XIV e XV secolo, l’intensificarsi delle rivalità per l’accesso alle risorse (in particolare i bisonti) abbia portato a un aumento delle catture di individui, poi costretti a compiti servili.

Secondo lo storico Pekka Hämäläinen, i Comanche imponevano ai prigionieri un rigoroso processo di “iniziazione” volto a spezzarne l’identità originaria attraverso l’assegnazione di un nuovo nome, tatuaggi, percosse, frustate, mutilazioni e privazioni di cibo. Nonostante l’avvio traumatico, gli ex prigionieri potevano dunque raggiungere uno status quasi libero, integrandosi nella vita della tribù e vedendo i propri figli crescere come comanche a tutti gli effetti.

Sud-Est: Alcune tribù come i Chickasaw, i Choctaw, i Creek (Muskogee) e i Cherokee, prima del contatto con gli europei, conoscevano forme di prigionia di guerra e adozione forzata. Ci sono resoconti, anche se tardi, che menzionano il 1400 circa come epoca di grandi conflitti interni. Non si trattava sempre di “schiavitù” in senso stretto: a volte gli individui catturati potevano integrarsi nella nuova tribù, ma in altri casi rimanevano in una condizione servile per generazioni.

Tuttavia, i Cherokee furono anche i principali utilizzatori di schiavi africani. Un corto circuito storico che conoscono in pochi, di cui ha parlato in modo approfondito Ryan P. Smith in un articolo per lo Smithsonian:

“Quando pensi al Sentiero delle Lacrime, probabilmente immagini una lunga processione di sofferenza dei Cherokee costretti a spostarsi verso ovest da un infame Andrew Jackson. Forse immagini proprietari terrieri bianchi senza scrupoli, il cui interesse nella crescita dell’economia delle piantagioni giustificava l’espulsione dei Cherokee, che poi occupavano i loro territori a est del Mississippi.

Ciò che probabilmente non immagini sono i Cherokee stessi come proprietari di schiavi, con il capo Cherokee John Ross in testa. Non immagini numerosi schiavi afroamericani, posseduti dai Cherokee, che facevano la marcia brutale o venivano spediti in massa in quella che oggi è l’Oklahoma su barche sovraffollate dai loro ricchi padroni indiani. John Ross, il capo Cherokee celebrato per i suoi sforzi contro la ricollocazione forzata, era anche un sostenitore e praticante della schiavitù.”

Il numeri degli schiavi neri posseduti dai nativi americani era tutt’altro che insignificante. Secondo Alaina E .Roberts, Assistant Professor of History alla University of Pittsburgh:

Nel 1860… i cittadini della Nazione Cherokee possedevano 2.511 schiavi (il 15% della loro popolazione totale), i cittadini Choctaw possedevano 2.349 schiavi (il 14% della loro popolazione totale) e i cittadini Creek possedevano 1.532 schiavi (il 10% della loro popolazione totale). I cittadini Chickasaw possedevano 975 schiavi, pari al 18% della loro popolazione totale, una proporzione equivalente a quella dei proprietari di schiavi bianchi nel Tennessee, un ex vicino della Nazione Chickasaw e un grande Stato schiavista.

Conclusione

La schiavitù tra i popoli nativi americani prima dell’arrivo degli europei era un fenomeno variegato, legato a pratiche militari, rituali, economiche e persino simboliche. Ci sono molti punti di contatto con la schiavitù praticata in altre parti del mondo e altrettante caratteristiche differenzianti. Tuttavia, alcune società indigene, come quelle del Messico precolombiano o della costa nord-occidentale, svilupparono strutture di controllo e sottomissione piuttosto rigide, con schiavi integrati nelle fasce più basse delle gerarchie sociali.

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