Nel settembre del 1857, la città di Piedimonte Matese (Caserta) è teatro di una catastrofe naturale di proporzioni devastanti. Un’inondazione senza precedenti colpisc ela cittadina, lasciando dietro di sé una scia di distruzione e dolore che ancora oggi risuona nelle pagine della storia.
Attraverso i resoconti di coloro che vissero quei momenti drammatici, riportati nella memoria del dott. Vincenzo Coppola “Inondazione di Piedimonte nel settembre 1857” e nella relazione del Sottintendente Conte Francesco Viti – possiamo ricostruire la tragedia.
La Notte Premonitrice: Presagi di una Catastrofe
La sera che precede la catastrofe di Piedimonte si presenta come un oscuro presagio. Il cielo è cupo e mugugna. Nuvole imponenti e minacciose si ammassano nel firmamento, promettendo una notte di tempesta e terrore. “Verso sera il cielo proseguiva a rabbruscarsi pe’nuvoloni che più e più si addensavano; e tutto era indizio di un’annottar tempestoso, e di una sicura e non lontana burrasca,” racconta un testimone.
Con l’avanzare delle ore, la quiete serale viene spezzata da un vero e proprio assedio di fulmini. I tuoni arrivano subito dopo. Prima un mormorio in lontananza, poi un coro potente.
Immagino gli abitanti che assistono all’oscillare delle candele e al tremolare delle ombre. La loro memoria va all’alluvione del 1841. I più anziani ricordano anche quella del 1803 e del 1814. In effetti, Piedimonte Matese, ricca di corsi d’acqua, ha una lunga storia di devastazioni provocate dall’acqua, ma la più drammatica sta per arrivare. Anche il vento iniziava a farsi sentire, un sibilo tra le fessure che è, in realtà, il preludio del caos. Insomma, tutti gli elementi naturali si allineano per mettere in scena un dramma.
L’Arrivo della Tempesta: Il Giorno in cui il Cielo Cadde su Piedimonte
All’alba del giorno seguente, la natura si sveglia con un grido di battaglia. Il cielo, che ha minacciato con la sua oscura presenza la sera prima, esplode in una furia di vento e acqua. “Verso il mezzodì, fattosi il cielo più orribilmente fosco, rovesciossi a secchia la pioggia,” narra un testimone.
In meno di due ore, la pioggia ha già gonfiato i corsi d’acqua che attraversano il centro abitato. Straripa il Torano (incanalato nell’acquedotto campano nel 1963), poi il Maretto. “La sopraffatta piena, straripando fin dal principio da’murilaterali, e poco dopo abbattendo il sinistro, perciò allagando i campi e le ville alle estreme falde del Cila, non tardò a far breccia anche in più punti del muro destro, posto a baluardo della città.” Anche i corsi d’acqua fuori dalla cittadina invadono i campi, ma è all’interno delle mura che la situazione diventa ben presto terrificante.
La Disperazione e la Lotta per la Sopravvivenza
Quando l’inondazione di Piedimonte raggiunge il suo apice devastante, la città si trova avvolta in un abbraccio mortale. Tutti i corsi d’acqua, i pozzi e le poche fognature hanno creato un vero e proprio mare in tempesta. In alcuni punti, l’acqua arriva quasi a cinque metri d’altezza (18 palmi, che nel regno di Napoli erano pari a 26,45 cm). “Immagini chi può la desolante scena che avea luogo in questo sito, il più basso della città, fatto centro dell’allagamento, dove col mugghio di una marea si ricongiungevano , rigurgitavano e variamente agitavansi tutti i rami che poc’ anzi eransi qui e là sperperati, ciascuno a devastamenti e spogli.”
I più fortunati riescono a salire sui tetti e inziaino a spostarsi di di casa in casa quando sentono che quella su cui si trovano sta per crollare. I gemiti dei morenti e le grida disperate di chi chiede aiuto sono il suono più straziante. La morte, in quelle ore buie, assume molte forme: annegamento, ferite, freddo.
“I superstiti vagavano di tetto in tetto, malsicuri delio scampo, incerti dei genere di morte che incontrerebbero di momento in momento, o di essere sfracellati fra i rottami delle case già sommerse e barcollanti sotto i piedi all’urto dei macigni che percuotevanle senza posa, o di affogare nelle limacciose acque per esser poi trascinati dalle correnti.”
In mezzo a questo scenario apocalittico, si verificano anche atti di eroismo e di solidarietà. Vicini e sconosciuti si tendono la mano, condividendo il poco che hanno o rischiando la vita per aiutare chi è in difficoltà. Tra gli eroi c’è il giovane Alfonso Iannelli, che mette in salvo diverse persone prima di essere travolto.
I soccorsi arrivano nel corso della giornata, quando buona parte della zona sembra ormai un lago calmo, ma sono poco organizzati. Sono gli abitanti a fare il grosso del lavoro. Si cercano figli e genitori, mariti e mogli dispersi, ma anche provviste, altri beni e, ove possibile, oro e gioielli. All’opera ci sono anche diversi sciacalli. I cadaveri sono ovunque, anche sugli alberi e sotto tonnellate di fango (alcuni riemergeranno nel Volturno giorni dopo) ma la scena più raccapricciante è nella Cappella di S. Antonio Abate:
“E l’ animo, già rattristato e stupefatto dalle cose udite e viste, cadeva nella più profonda amaritudine allo spettacolo che gli si offriva nella Cappella di S. Antonio Abate, sul cui spazzo giacevano rimescolati 12 cadaveri di uomini e donne, fio allora raccolti dalle vicinanze , vittime del flagello ; denudati, cosi come eransi rinvenuti, d’ ogni maniera di vestimento; col volto tumido, gli occhi stralunati, atteggiati a terrore, sparsi il corpo di contusioni e ferite, le membra lacere o infrante.“
Ma non c’è solo morte. Il rapporto parla, ad esempio, dell’incredibile ritrovamento di un superstite:
“Il vecchio Alessandro Caracciolo, rimasto solo nella sua bottega del caffè, sita nell’estremo raggio del centro dell’allagamento, restò spogliato de’ vestimenti , contuso nelle membra , e, al ritirarsi delle acque , tutto sepolto nel limo all’infuori della testa. Trovato gelido ed asfittico, fu richiamato in vita: e superata una cancrena, sopragiuntagli per le incontrate contusioni, ritornò sano.”
Altro fortunato è Michele Maiello. Trascinato via dall’acqua, riesce a prendere il figlioletto di sei mesi e stringerlo a sé. Galleggia per ore sul torrente appoggiato a una trave, raccomandando ad alta voce sé stesso ed il figlio alla Vergine Maria per fino a quando il legno viene fermato da un ostacolo sulla sponda ed in tal guisa riesce a salvarsi.
Dopo giorni di lavori per far defluire le acque e ricerche dei corpi, si arrivano a contare 42 morti nella sola Piedemonte e altrettante nelle campagne e nei paesini limitrofi. Le case distrutte sono centinaia.
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