Sono moltissimi i dadi romani giunti fino ai giorni nostri, da quelli ordinari a sei facce fino agli icosaedri che vedete qui sotto (icosaedri). Insomma, delle piccole opere d’arte che farebbero la felicità di ogni appassionato di D&D.
Un dado a venti facce (icosaedro) del III secolo. Su ogni faccia è iscritta una lettera dell’alfabeto greco. Secondo gli studiosi del @metmuseum, dove è conservato, potrebbe essere stato utilizzato in combinazione con un oracolo iscritto su un pilastro posto in un luogo pubblico. Il poliedro veniva lanciato per scegliere una lettera a caso. Si consultava l’iscrizione per trovare la lettera corrispondente e leggere la risposta dell’oracolo. Ci sarebbero stati venti messaggi oracolari, ognuno dei quali iniziava con una lettera dell’alfabeto che corrispondeva ad una faccia del dado.
P.s. sono giunti fino a noi moltissimi di questi dadi di epoca romana ma no, non giocavano a D&D
Un dado romano in quarzo a venti facce (icosaedro) del II-III secolo. Conservato al Louvre, ha una struttura particolare.
Ogni faccia riporta una lettera latina e il corrispondente numero romano. Le dieci facce laterali riportano le lettere da A a K e i numeri da 1 a 10. I cinque triangoli superiori recano le lettere da L a P e i numeri da 11 a 15. I cinque triangoli inferiori recano le lettere da Q a V e le cifre da 16 a 20.
Qui sotto, la descrizione che troviamo in F. N. David, Games, Gods, and Gambling: A History of Probability and Statistical Ideas, (1998) p.12. Google Books Preview.
Il gioco dei dadi era molto popolare presso i Romani, tanto che risulta essere menzionato in diversi testi dell’epoca. Una delle fonti più importanti sull’argomento è l’opera di Seneca, intitolata “Apokolokyntosis”, nella quale si fa riferimento all’Imperatore Claudio e al suo particolare interesse per questo gioco.
Secondo Seneca, Claudio era un appassionato di dadi e trascorreva ore intere giocando con essi. In particolare, si dice che fosse solito giocare in modo molto intenso, tanto da perdere la cognizione del tempo e dello spazio, e che spesso si lasciava trasportare dalla passione fino a scommettere somme ingenti di denaro. Tale era la sua passione, che aveva scritto anche un trattato su questo gioco.
Tuttavia, nonostante il suo amore per il gioco, Claudio non era particolarmente bravo e, secondo Seneca, perdeva spesso, tanto da essere soprannominato “il re dei perdenti”. Nonostante ciò, l’Imperatore non si lasciava demoralizzare e continuava a giocare con determinazione, sperando di riuscire a vincere almeno una volta. Per questo, nell’Apokolokyntosis, Claudio viene condannato a tirare i dadi per l’eternità da un bossolo forato.
Inoltre, i dadi erano anche utilizzati per scopi divinatori, tanto che esistevano numerose tecniche per interpretare i risultati dei loro lanci. In questo modo, i dadi diventavano uno strumento per prevedere il futuro e avevano un ruolo importante nella vita quotidiana dei Romani.
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