donne nel diritto romano

Donne e diritto romano d’Oriente nel periodo giustinianeo

Status delle donne e diritto romano orientale

La condizione giuridica delle donne nella società romana rivela una situazione asimmetrica e variegata in quanto legata all’estrazione sociale (libera o schiava, patrizia o plebea) e alle caratteristiche della singola Provincia (in particolare, del sostrato sociale e giuridico preromano provinciale) in una data fase del diritto e della storia romana. Non sarà possibile soffermarsi su tutti gli aspetti di diritto privato, pubblico e penale, ma se ne tratterà soltanto attraverso una sintesi non specialistica. Di alcuni aspetti del diritto romano d’Oriente si è poi discusso in un precedente articolo di Zhistorica.

Spieghiamo anzitutto cosa si intende per status e per diritto romano d’Oriente.

Parliamo di status quando ci riferiamo alla posizione di un soggetto rispetto ad un gruppo sociale di riferimento[1]: osservando la condizione della donna di per sé oltre che nella dimensione privata familiare e in quella pubblica, cercheremo brevemente di descrivere la posizione giuridica femminile e le disuguaglianze che erano determinate dall’appartenenza ad un certo gruppo. Quanto al ceto sociale, ricordiamo alcuni famosi passi delle Institutiones del giurista classico Gaio[2] in cui si distinguevano anzitutto le persone in uomini liberi e schiavi[3] [4] [5].

Scrivevano Ulpiano e Gaio che, per diritto naturale (cioè «quello che la natura ha insegnato a tutti gli animali»)[6], tutti gli uomini nascono inizialmente liberi («iure enim naturali ab initio omnes homines liberi nascebantur)[7]».

Nonostante l’influenza del Cristianesimo, come rappresentato dal passo delle Institutiones che codificava il principio secondo il quale la schiavitù era contraria al diritto naturale («[…] servitutues, quae sunt iuri naturali contrariae»)[8], non si giunge ad una sua abolizione nemmeno con la codificazione di Giustiniano.

Oltre alla tradizionale distinzione tra donne libere (ingenuae) e schiave (servae), tra libere e liberate dalla servitù (libertinae), tra patrizie e plebee, tra donne honoratae e donne non honoratae (ad es. prostitute e attrici), chi voglia accertare lo status giuridico della donna nel diritto romano deve poi tenere in considerazione i casi concreti: non solo la lettera della legge ma anche le testimonianze archeologiche, epigrafiche e papiracee che possono offrirci uno spaccato più o meno dettagliato della vita e della condizione femminile in un dato momento storico.

È frequente nel diritto romano d’Oriente, ad esempio, imbattersi in una divergenza tra lettera della legge e casistica, cioè tra teoria e pratica, imputabile a vari fattori tra i quali (come ricorda ad esempio il maestro Spyros Troianos)[9]: il livello di preparazione dei magistrati; la corruttibilità degli stessi; le esigenze di opportunità politica e il personale convincimento del magistrato.

Fig. 1a. Ricostruzione semplificata della piramide sociale nel periodo tardo-romano e giustinianeo[10]

Donne della famiglia imperiale

Augustae

Donne libere (ingenuae) e di famiglie nobili (honestiores, nobiles, principes, possessores)[11] che si comportano secondo i Mores (honestae)

Matrona (donna sposata) e materfamilias (sposata con figli), virgines, viduae (vedove), clarissimae (famiglia senatoriale)

Donne consacrate

Virgines Dei e Viduae Dei, Diaconissae

Donne inhonestae perché non rispettano i Mores o i precetti evangelici[12]

Mulierculae

Donne non onorate

Libertae (schiave liberate), e libertae filia

Donne non onorate (humiles abiectaeque personae, uxores volgares)

attrici (mulieres scaenicae, mimae), mezzane (lenae)[13], prostitute (pornai, meretrices) e relativa prole (scaenica e scaenicae filia) [ereditarietà per motivi di pubblica utilità]

ex tabernaria e ex tabernarii filia;

adulterae damnatae?

Domina tabernae (proprietaria di taverna in cui vi sono prostitute)

Donne in schiavitù

Serva; ancilla (serva della matrona) e relativa prole (ancillae filia);

Fig. 1b. Sintesi delle caratteristiche delle unioni coniugali in età tardoantica e giustinianea.

Status

Tipologia

Requisiti

Effetti

Donne ingenuae e honoratae (*vd. poi Codex, V.4.23)

Iustum matrimonium

  1. Convivenza
  2. Pubertà
  3. Consenso iniziale (affectio maritalis)*
  4. Conubium (status sociale, cittadinanza romana, assenza di vincoli di parentela)
  5. Monogamico (non ammette altre unioni)
  1. Filiazione legittima
  2. Successione ereditaria
  3. Esclusività dei rapporti sessuali[14]*

Donne non honoratae in quas stuprum non committitur[15] (***in periodo giustinianeo il concubinato sarà giuridicamente lecito anche con donne ingenuae[16])

Concubinatus

  1. Convivenza
  2. Pubertà
  3. Monogamico*
  4. Consenso specifico al concubinato
  5. Assenza di conubium o affectio maritalis[17]* (richiesta assenza di parentela e affinità)
  6. Essere celibi e non sposati
  1. Libertà nei rapporti sessuali[18]
  2. Filiazione di liberi naturali[19]
  3. Possibilità limitata di donazioni e disposizioni mortis causa* (abolita con Giustiniano, Novella 89 c. 15)[20]

Parlando di donne nel diritto romano d’Oriente, è necessario spiegare che cosa si intenda per diritto romano orientale e quale sia il suo rapporto con il diritto romano dei secoli precedenti. Secondo alcuni studiosi, lo studio del diritto romano orientale dovrebbe prendere avvio dalla fondazione di Costantinopoli nel 330 d.C.; per altri, si dovrebbe invece cominciare dall’ascesa di Costantino nel 306 d.C[21].

Qualunque sia l’opinione che intendiamo adottare, possiamo constatare alcuni punti fermi che ci descrivono l’essenza del diritto romano d’Oriente. La trasformazione dell’ordinamento giuridico romano incomincia con la suddivisione dell’Impero in due Partes sostanzialmente già ad opera di Diocleziano con la Tetrarchia (due Augusti: 293-303 d.C.); si rafforza con la divisione tra Arcadio e Onorio (395 d.C.) e con la morte di Valentiniano III (455 d.C.: periodo medio-postclassico) e cioè con la cessazione dello scambio delle costituzioni imperiali tra parte orientale e parte occidentale e con la formazione dei regni romano-barbarici in Occidente; infine, si completa con la grande codificazione di Giustiniano (periodo giustinianeo: 527-565 d.C.)[22].

La legislazione romana orientale, per quanto ancora emanata in lingua latina nella codificazione di Giustiniano, si ellenizza, e il latino deve necessariamente essere tradotto in greco per gli studenti grecofoni durante le lezioni universitarie dei professori (antecessores). Delle leggi e delle lezioni si realizzarono riassunti unicamente in greco, ed essi tanta fortuna avranno negli anni immediatamente successivi alla morte di Giustiniano[23].

Ai vecchi testi di legge e a quelli contenenti le interpretationes dei giuristi classici vengono apportate modificazioni per adattarli alle nuove esigenze. Quindi, benché nella teoria politica orientale si parlasse di perfetta continuità (Costantinopoli come nuova capitale del medesimo antico Impero), di continuità si può parlare nel senso che vengono proseguiti, modificati ed integrati alcuni degli antichi istituti e leggi secondo la nuova lingua, le nuove fonti del diritto e la nuova interpretazione di quel momento storico successivo.

Fig. 2. Impero Romano d’Oriente alla morte di Giustiniano. Immagine tratta da wikipedia: https://en.wikipedia.org/wiki/Byzantine_Empire_under_the_Justinian_dynasty#/media/File:4KJUSTINIAN.png

Le donne nella legislazione di ispirazione cristiana tardoantica e giustinianea

Fig. 3. Cartagine, mosaico detto “Dama di Cartagine”, Museo Nazionale di Cartagine (foto di Diego Serra, dicembre 2010-6 gennaio 2011).

La condizione della donna rifletteva i caratteri patriarcali della familia e della società romana: essere donna era, di per sé, causa di inferiorità giuridica[24]. In sintesi e semplificando al massimo, possiamo dire che nel periodo preclassico e classico (242 a.C.-240 d.C.) le donne pubere e le donne sui iuris (non sottoposte cioè alla patria potestas[25] di un pater familias) erano sottoposte alla tutela del tutor, affinché potessero compiere atti giuridici validi e produttivi di effetti[26]. Il tutore era sempre necessario in mancanza di padre o marito: le donne non potevano infatti essere capi-famiglia[27].

Si ritiene che le donne avessero una limitata capacità di disporre dei propri beni (capacità di agire) di cui però erano limitatamente proprietarie (o proprietarie «quiescenti»; almeno secondo un’interpretazione di alcuni studiosi)[28]. Le funzioni penetranti del tutor andarono via via attenuandosi, potendo la donna compiere direttamente gli atti che poi venivano ratificati dal tutor (auctoritatis interpositio)[29]. Gli atti che producevano un acquisto di beni o diritti personalmente non avevano bisogno dell’auctoritas.

La familia romana del periodo preclassico e classico si personificava giuridicamente nel pater familias, la cui patria potestas era assoluta e di durata vitalizia, ed alla quale erano permanentemente sottoposti i filii familias, che non vantavano diritti verso il pater[30]. Rispetto al precedente periodo arcaico, si ritiene che la donna del periodo preclassico e classico rimanesse libera dal potere familiare del marito ed estranea alla familia di questi. Nel periodo postclassico e giustinianeo (284 d.C.-565 d.C.), l’influenza ellenistica e cristiana determinò radicali trasformazioni della familia classica, dalla mitigazione della patria potestas alla nuova concezione del matrimonio.

La divergenza tra teoria e pratica in un dato momento della storia romana aveva comportato, ad esempio, che l’applicazione delle severe leggi (leges Iulia de maritandis ordinibus, de adulteriis coercendis et Papia Poppaea)[31] in tema di matrimonio e adulterio conoscesse fasi di sostanziale attenuazione o disapplicazione (come dimostrato dal tentativo di Massenzio [306-312 d.C.] di rilanciare severamente la legislazione augustea “dormiente” per restaurare gli antichi costumi [Mores], offesi dalla generale mancanza di rispetto della «Aidòs-Pudicitia-Pudor del Santissimo Cielo»)[32]. Permaneva nella società romana la consapevolezza che non era concepibile che una donna fosse totalmente svincolata dai poteri familiari del capofamiglia e dal potere maschile, e che tantomeno potesse esercitare poteri e funzioni tipicamente spettanti agli uomini, come dimostrato dal conflitto tra lo stesso Massenzio e Lucilla di Cartagine[33].

Fig. 4. Anello romano-bizantino dall’Egitto (V sec. d.C.). Immagine da: https://www.britishmuseum.org/collection/object/H_AF-304

La condanna morale per i comportamenti contrari ai costumi e al ruolo femminile all’interno della società produceva uno stigma sociale (mulierculae) tutt’altro che privo di conseguenze, e che sarà in seguito ripreso dai Padri della Chiesa per orientare i comportamenti e il ruolo della donna all’interno della società romana cristiana. Il consolidarsi del Cristianesimo, da un lato, offrì alle donne alcune possibilità in più di ottenere il riscatto sociale. Dall’altro, tuttavia, le caratteristiche tendenzialmente patriarcali della società dell’epoca e alcune convinzioni particolarmente radicate nella stessa società romana precludevano ad alcune categorie di donne la possibilità effettiva di attuare questo riscatto.

Le attrici teatrali (rientranti nella classe delle donne non onorate insieme alle prostitute, alle mezzane e alle libertine), per esempio, continuavano ad essere afflitte dallo stigma socio-giuridico dell’infamia al pari delle prostitute (humiles abiectaeque personae)[34] in quanto si riteneva che entrambe le categorie guadagnassero dalla vendita del proprio corpo tramite arti seduttive (per gli impedimenti matrimoniali, vd. Codex, V.27.1)[35]. La lex Iulia de maritandis ordinibus, sopra citata, vietava ad esempio ai nati liberi (c.d. ingenui) e ad altre categorie appartenenti ai ceti sociali più elevati (es. senatori), il matrimonio con donne non onorate, quindi: prostitute, mezzane, adultere, attrici, liberte di mezzano o mezzana.

Fig. 5-6. Roma: Musei Vaticani. Mosaico di danzatrice con veste trasparente dall’Aventino (III sec. d.C.)[36].

Fig. 7. Mosaico con raffigurazione erotica dalla villa romana del Casale, Piazza Armerina (Sicilia), IV sec. d.C. Immagine da https://sarahemilybond.files.wordpress.com/2014/06/roman-art-sicily-villa-casale-erotic-scene.jpg

Fig. 8. Personificazione di Ktisis o Fondazione della domus come donna di virtù (Met Museum, VI sec. d.C.). Immagine da https://www.metmuseum.org/art/collection/search/469960

Nonostante non vi fosse una totale equiparazione con le prostitute, le attrici rimanevano in un perdurante stato di degrado sociale e giuridico. Non potevano contrarre valido matrimonio con un uomo di ceto superiore (Digesta XXIII.2.44)[37] e la maggioranza di esse continuava –anche nel primo periodo bizantino– a soffrire lo stesso pregiudizio giuridico e sociale che le colpiva sin dall’epoca di Augusto.

Sull’attività delle attrici nel primo periodo bizantino ci informa Procopio, sebbene la sua testimonianza in rapporto a Teodora sia da valutare con estrema cautela, stante il suo fine diffamatorio nei confronti della coppia imperiale. Sugli spettacoli di teatro, ci racconta come segue (Storie Segrete, IX. 20, 23)[38]: «sovente anche a teatro, sotto gli occhi del popolo tutto, si spogliò e rimase nuda sulla scena (…). Spesso si spogliava insieme ai mimi e teneva il centro della scena (…)».

La rinuncia alla professione non era inizialmente produttiva di effetti sostanziali, in quanto lo status di permanente degrado perdurava per questa classe di persone[39]. Tuttavia, vi era una possibilità di “redenzione”, grazie all’emanazione di alcune costituzioni degli imperatori Valente, Graziano, Valentiniano I e Teodosio I[40] nel Codex Theodosianus XV.7.1 (371 d.C.)[41]; XV.7.4 (380 d.C.)[42], XV.7.9 (381 d.C.)[43].

Fig. 9-12. Solido di Valente (364-378 d.C.). Immagine da Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Valente_%28imperatore_romano%29#/media/File:Solidus_Valens_-_transparent_background.png

Solidi di Graziano (367-383 d.C.), Valentiniano I (364-375 d.C.) e Teodosio I (379-395 d.C.). Immagini da: https://www.numisbids.com/n.php?p=lot&sid=3130&lot=233 https://it.wikipedia.org/wiki/Valentiniano_I#/media/File:Solidus_de_Valentinien_MAN.jpg, https://it.wikipedia.org/wiki/Teodosio_I#/media/File:Theod1.jpg

Le successive leggi di ispirazione cristiana non avrebbero più considerato il mestiere come permanente, grazie al battesimo e alla rinuncia alla professione, se resa in punto di morte dal momento che si erano ottenuti i sacramenti e ciò avrebbe impedito di poter essere richiamati sul palcoscenico (Codex Theodosianus XV.7.1) laddove le attrici fossero sopravvissute al pericolo di morte; o se, in generale, la rinuncia era stata effettuata a causa dell’amore per la fede cristiana (Codex Theodosianus XV.7.4):

«Le donne, nate in una condizione di estrema miseria e vincolate dalla loro condizione ai doveri dell’intrattenimento, debbono, se dovessero abbandonare il palcoscenico, essere assegnate ai servizi del teatro, a meno che, tuttavia, la considerazione della santissima religione e legge cristiana, non le abbia affrancate da tale servizio per amore della loro fede. Infatti Noi proibiamo di ricondurre alla loro precedente condizione coloro che un modo migliore di vivere ha liberato dai vincoli della loro condizione di nascita. Ordiniamo quindi che queste donne rimangano libere dai pregiudizi della vita teatrale, poiché esse hanno meritato la benedizione da parte della nostra misericordia, di essere libere dalla vergogna di tale onere[44]».

Vi erano infatti classi di donne appartenenti ad un ceto inferiore come quelle ex viliori sorte progenitae che, unitamente alle schiave, erano obbligate a prendere parte alle rappresentazioni teatrali (Codex Theodosianus XV.7.1; Codex Theodosianus XV.7.4), ma potevano essere garantite delle esenzioni per volontà dell’Imperatore (Codex Theodosianus XV.7.4; Codex Theodosianus XV.7.8[45]), facendo appello alla religione cristiana (si vacationem religionis nomine postularit) a patto che non vi fosse alcun dubbio sulla condotta tenuta in seguito all’ottenimento dell’esenzione, avuto riguardo sia alla correttezza degli atteggiamenti manifesti che a quelli interiori (turpibus volutata complexibus, animo tamen scenica); in caso contrario avrebbero perso il diritto di esenzione concesso in precedenza (verum si post turpibus volutata complexibus et religionem quam expetierit prodidisse et gerere quod officio desierat animo tamen scaenica detegetur, retracta in pulpitum sine spe absolutionis ullius ibi eo usque permaneat). La conversione al Cristianesimo per la filia scaenica, che avesse condotto una vita esemplare e irreprensibile, avrebbe poi offerto una tutela contro colui che con frode o violenza avesse cercato di costringerla ad esibirsi sulle scene (Codex Theodosianus, XV.7.2, 371 d.C.)[46].

Il processo culminerà nella totale rimozione degli impedimenti matrimoniali e dello stigma socio-giuridico dell’infamia per le ex-attrici e le loro figlie (Codex, V.4.23)[47], grazie al rescritto emanato dall’imperatore Giustino, padre adottivo di Giustiniano, datato al 520-523 d.C.

Fig. 13. Solido di Giustino I. Immagine da Wikipedia: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Justin_I_obverse.jpg

Delle circostanze del rescritto, ci offre notizia Procopio (Storie Segrete, IX.51)[48]: «si mise allora a preparare le nozze con Teodora, pur essendo impossibile per chi avesse rango senatorio sposare una cortigiana; lo vietavano leggi antichissime. Ma lui costrinse l’imperatore a una nuova legge che abrogasse le precedenti e da allora visse con Teodora come moglie, consentendo così a chiunque di sposar cortigiane (in greco: etairai)».

Il testo del rescritto è molto lungo ma possiamo richiamare uno dei passaggi più significativi, che testimonia l’affrancamento delle figlie delle ex-attrici (post expurgationem prioris vitae matris suae natae sint) dallo stigma sociale (non videantur scaenicarum esse filiae) e giuridico (nec subiacere legibus) che precludeva loro di sposarsi:

His illud adiungimus, ut et filiae huiuscemodi mulierum, si quidem post expurgationem prioris vitae matris suae natae sint, non videantur scaenicarum esse filiae nec subiacere legibus, quae prohibuerunt filiam scaenicae certos homines in matrimonium ducere.

E, più in generale, ecco la possibilità di una effettiva redenzione per le ex-attrici, con la rimozione degli impedimenti matrimoniali (sine dubio mereantur ad matrimonium eas venire permittentes legitimum) per coloro che hanno abbandonato le scene al fine di abbracciare il valore della honestas:

si derelicta mala et inhonesta conversatione commodiorem vitam amplexae fuerint et honestati sese dederint, liceat eis nostro supplicare numini, ut divinos adfatus sine dubio mereantur ad matrimonium eas venire permittentes legitimum.

Il tono sembra più quello di un’abrogazione parziale (piuttosto che di una deroga o eccezione, nonostante la vecchia legislazione resti in piedi per le attrici non pentite e per quelle pagane): nessuno dovrà ora temere le precedenti leggi che impedivano tali unioni con queste categorie di donne, se sono soddisfatti i requisiti sopra indicati (his, qui eis coniungendi sunt, nullo timore tenendis, ne scitis praeteritarum legum infirmum esse videatur tale coniugium).

A queste donne sono soprattutto restituiti i natali (natalibus redditis), come una seconda vita o rinascita rispetto alla vita precedente, che viene così purgata dallo stigma e dai peccati del passato (Nam omni macula penitus direpta et quasi suis natalibus huiusmodi mulieribus redditis neque vocabulum inhonestum eis inhaerere de cetero volumus neque differentiam aliquam eas habere cum his, quae nihil simile peccaverunt).

Abbiamo altre disposizioni civilistiche del periodo giustinianeo degne di essere menzionate, come quella di Codex VII.15.3 (531 d.C.)[49], in base alla quale i figli nati dall’unione in concubinato tra padrone e serva si considerano liberi salvo diversa disposizione del dominus defunto[50].

Nonostante le ingiuriose diffamazioni che Procopio rivolge alla coppia imperiale, in particolar modo a Teodora, egli attesta tuttavia la totale fedeltà della donna al marito a partire dalla celebrazione del matrimonio e dell’assunzione della carica di Augusta (Storie Segrete, XII. 28)[51]: «taluni, che furono amanti di Teodora quand’ella faceva l’attrice, dicono che di notte s’abbatteva su di loro una creatura demoniaca, per scacciarli dalla camera dove essi vegliavano con lei».

In una società antica di tipo patriarcale e retta da logiche spesso spietate come quella romana e tardoromana, che si fondava sulla disparità tra liberi e schiavi e tra ricchi aristocratici e masse plebee marcatamente più povere, la scalata sociale era assai difficile, soprattutto per le donne. Ma ciò non era del tutto impossibile, come testimoniato dall’ascesa di Teodora che da attrice e ballerina, colpita da infamia e stigma sociale, diventerà la prima donna dell’Impero, fedelissima moglie dell’imperatore Giustiniano[52].

Nel passaggio da donna di infima classe a Domina, Teodora sfoggia un vistoso diadema e il paludamentum purpureo (mantello regale connesso alla sfera militare, come peraltro testimoniato anche dalla tunica del mosaico di S. Vitale) che segna in maniera tangibile l’assunzione di un ruolo preminente in ambito politico e giuridico, oltre che sacrale, in quanto legato alla figura dei membri della casa regnante (divinamente legittimati), in cui viene così introdotta l’Augusta (divina domus).

Scrive Procopio (Storie Segrete, XXX.22-23)[53]: «per l’imperatrice non era invece prevista genuflessione alcuna. Ma ora, quando accedevano al cospetto di Giustiniano e Teodora, tutti – patrizi compresi – erano lesti a gettarsi a bocconi, con mani e piedi ben tesi: potevano alzarsi solo dopo aver sfiorato con le labbra il piede di entrambi».

Fig. 14. Imperatrice Teodora (al centro). Particolare del celebre mosaico di S. Vitale di Ravenna (VI sec. d.C.). Immagine: https://www.turismo.ra.it/corteo-teodora-giustiniano-basilica-san-vitale/

Il ruolo della Augusta (cognomen cui è sotteso un titulus con la relativa posizione giuridica), già rappresentato da illustri esempi nel periodo severiano (III sec. d.C.) e tetrarchico (primo decennio del IV sec. d.C.) si qualifica come “prima donna dell’Impero”, nell’accezione romana di Domina, sacratissima e piissima, garante della continuità istituzionale statale grazie alla discendenza che avrebbe assicurato mediante la generazione di figli di sangue imperiale. Il “matronaggio” ideologico e politico è attestato dal titolo di mater castrorum (già attribuito a Faustina Minore) che crea così una connessione tra la Augusta e l’esercito in quanto coniuge dell’Imperatore Pater Patriae.

Conseguentemente, la posizione giuridica dell’Augusta tende a parificarsi (con i dovuti adattamenti) non soltanto sul piano ideologico a quella dell’Augustus, ma anche su certi aspetti di tipo giuridico concreto, attribuendole grande influenza politica nei processi istituzionali della dinastia imperiale, con partecipazione indiretta alla gestione statale e la possibilità di esercitare poteri in tema, ad es., di patrimonium privatum del Princeps (come nel caso di Faustina Minore), stabilendo rapporti clientelari con la classe dirigente imperiale che poteva influenzare e conformare secondo le proprie direttive, in accordo con quanto rancorosamente attestato da Procopio in relazione a Teodora[54]. In maniera analoga a quanto accadeva per il periodo classico, la Augusta doveva mostrare le più eccellenti virtù della donna romana, dedita al rispetto della morale romana (pudicitia, pudor) come integrata ora dalla spiritualità cristiana.

Le parole velenose di Procopio non sempre dicono il vero perché sono affermazioni esagerate, fortemente di parte e dettate da rancori personali accumulati nel tempo, tese proprio a dimostrare l’inadeguatezza della Augusta sul piano morale, colpendo le falle che non necessariamente si riferivano al suo triste passato, ma che (ad opinione di Procopio) erano ancora in atto e la rendevano pertanto inidonea a ricoprire la carica.

Di Teodora, con la consueta esagerazione diffamatoria, al fine di metterne in luce l’inadeguatezza come governante, ci dice che «al corpo dedicava cure superiori al necessario, ma inferiori a quelle che avrebbe voluto. Prestissimo entrava in bagno e tardissimo ne usciva, dopo i lavacri, per andare a colazione; dopo si riposava. Poi a pranzo e a cena s’accostava a ogni sorta di cibo e bevanda. I sonni che si concedeva erano sempre lunghissimi: di giorno sino a sera, di notte sino all’alba (Storie Segrete, XV.6-8)»[55].

Interessanti sono poi le esperienze provinciali, come ad es. la Sardegna del primo periodo romano orientale (VI-VII sec. d.C.), che rimase sotto influenza bizantina per alcuni secoli, con effetti che investirono non soltanto la lingua e l’arte, ma anche le tradizioni culturali e religiose. Alcuni di questi elementi di matrice bizantina sono tutt’oggi vitali, come dimostrato da recentissimi studi sulla venerazione dei candelieri e sull’offerta dei ceri in occasione dell’Assunzione della Vergine, secondo un rituale attestato nel De Cerimoniis di Costantino VII Porfirogenito[56]. Le fonti tramandano i nomi di clarissimae, honestae feminae, viduae e ancillae Dei, evidenziando realtà legate al consolidamento dell’aristocrazia terriera, delle sue attività produttive (praedia, figlinae, officinae) e delle cariche pubbliche ricoperte.

Si realizza il binomio tra figure femminili di potere, che concentrano ingenti patrimoni nelle proprie mani, raggiungendo notevole peso economico e politico, e le istituzioni civili e specialmente religiose con le quali si stabiliscono rapporti sempre più stretti.

L’emergere di queste figure femminili si correla al consolidamento dell’egemonia personale di gruppi parentali dell’aristocrazia provinciale, in comunità rurali militarizzate, i cui beni di prestigio sfoggiati in vita e in morte (orecchini, collane, solidi, fibbie) testimoniano lo status raggiunto dai limitanei possessores e dalle loro famiglie[57]. Fenomeni non dissimili da quello sardo, come ad. nella Sicilia bizantina, ci offrono uno spaccato di vita provinciale tutt’altro che marginale e culturalmente povero, e ci impongono di incrementare gli studi su un periodo così affascinante della Storia comune euro-mediterranea.

Non è possibile trattare in maniera compiuta e dettagliata gli aspetti legati al diritto penale. Tuttavia, per meglio rappresentare il clima dell’epoca, in conclusione, è possibile richiamare la normativa in tema di violenza sessuale contro le donne votate a Dio (Raptores virginum vel viduarum vel diaconissarum) da cui emergerebbe una più generale tutela delle donne[58], a prescindere dalla condizione sociale.

Fig. 15. Solido di Giustiniano. Immagine da https://www.deamoneta.com/auctions/view/211/884

Secondo Giustiniano in Codex, IX.13 (del 533 d.C.)[59], è comminata la pena di morte e la confisca dei beni con equiparazione all’omicidio (cum nec ab homicidii crimine huiusmodi raptores sint vacui) per coloro che, offendendo la verginità e la purezza femminile e anche Dio Onnipotente (quod non solum ad iniuriam hominum, sed ad ipsius omnipotentis dei inreverentiam committitur) commettono un danno irreparabile (maxime cum virginitas vel castitas corrupta restitui non potest), macchiandosi del crimine di raptus nei confronti delle donne dedicate a Dio ma anche nei confronti delle altre (libertinae vel servae alienae):

Raptores virginum honestarum vel ingenuarum, sive iam desponsatae fuerint sive non, vel quarumlibet viduarum feminarum, licet libertinae vel servae alienae sint, pessima criminum peccantes capitis supplicio plectendos decernimus, et maxime si deo fuerint virgines vel viduae dedicatae (quod non solum ad iniuriam hominum, sed ad ipsius omnipotentis dei inreverentiam committitur, maxime cum virginitas vel castitas corrupta restitui non potest): et merito mortis damnantur supplicio, cum nec ab homicidii crimine huiusmodi raptores sint vacui.(…) IUST. A. HERMOGENI MAG. OFF. *<A 533 D.XV K.DEC.CONSTANTINOPOLI DN.IUSTINIANO PP.A.III CONS.>.

Fig. 16. Immagine degli orecchini da: British Museum https://www.britishmuseum.org/collection/object/H_AF-324-325. Immagine della collana di Palermo da: “Del Museo Salinas e del suo avvenire (1914-2014). Il Salinas ricorda Salinas”, a cura di F. Spatafora e L. Gandolfo, Regione Siciliana, pagina 33.

Fig. 17. Orecchini bizantini da Dolianova. Immagine da: Museo Archeologico di Cagliari https://museoarcheocagliari.beniculturali.it/museo/esplora-la-collezione/luogo/dolianova/.

  1. Per chi volesse approfondire lo status delle persone nel diritto romano e, più in generale, il diritto privato romano in maniera graduale e per avere una prima panoramica, si segnala il manuale breve G. Pugliese 1998. Istituzioni di diritto romano. Torino: Giappichelli. Per la questione dello status delle persone, Pugliese, cit. pag. 210.

  2. Iustiniani Institutiones, III.1 da Gaio, Institutiones, 1.9. Institutionum. Giustiniano, con la costituzione Tanta (entrata in vigore il 21 novembre del 533) aveva conferito forza di legge alle sue Institutiones, che si basavano in larga misura sul fortunato libro di Gaio, rielaborandole e adottandole quale manuale didattico di diritto per le “matricole” delle uniche due scuole di giurisprudenza autorizzate dell’Impero romano d’Oriente: Costantinopoli e Beirut.

  3. «Summa itaque divisio de iure personarum haec est quod omnes homines aut liberi sunt aut servi».

  4. Iustiniani Institutiones, II.2, da Gaio, Institutiones, I.1.

  5. Si distingueva poi il diritto proprio dei cives romani (ius civile Romanorum) da quello degli altri popoli (ius gentium humano generi commune est). Secondo Gaio, ripreso nella compilazione di Giustiniano: «il diritto civile e il diritto delle genti si distinguono così: tutti i popoli retti da leggi e costumi impiegano in parte un diritto loro proprio (ius proprium civitatis), in parte un diritto comune a tutti gli uomini (ius gentium), quel diritto che ogni popolo stabilisce per sé è proprio del suo Stato e si chiama diritto civile (vocaturque ius civile) proprio della sua cittadinanza (…) mentre quello che un naturale impulso ha stabilito tra tutti gli uomini è osservato ugualmente da tutti i popoli e si chiama diritto delle genti». Institutiones, II.1.

  6. Iustiniani Institutiones, I.1; Digesta, I.1.1.3, da Ulpiano I.

  7. Iustiniani Institutiones II.2.

  8. Iustiniani Institutiones, II.2.

  9. S. Troianos, 2015. Le fonti del diritto bizantino (traduzione a cura di P. Buongiorno). Torino: Giappichelli.

  10. Si tratta di una ricostruzione che non ha pretesa di completezza ma che tenta un inquadramento per rendere comprensibile e accessibile la materia a tutti.

  11. Vd. Volterra, Istituzioni di diritto privato romano, pag. 93. Roma: La Sapienza Editrice: honestiores, sono coloro che appartengono a classi socialmente elevate, anche in virtù delle cariche che sono ricoperte dagli appartenenti alla famiglia (gens).

  12. V. sul punto: D. Serra e M. Cecini, El Senatoconsulto y el edicto de Diocleciano y Maximiano contra Christianos y el edicto abrogativo de Majencio: BHG 1576, BNF Grec. 1470, ff. 120v-121r, pp. 195 e ss.

  13. Intermediatrice in rapporti amorosi illeciti. Le controparti maschili, gli sfruttatori della prostituzione, erano detti lenoni.

  14. Sino all’abolizione della categoria di donne in quas stuprum non committitur, era penalmente vietato avere rapporti sessuali con donne honoratae al di fuori del iustum matrimonium.

  15. Categoria abolita poi in periodo giustinianeo. Non tutti gli studiosi concordano sul fatto che le donne in quas stuprum non committitur sono quelle con le quali è possibile il solo concubinato.

  16. E. Volterra, Istituzioni di diritto privato romano, pag. 676. Roma: La Sapienza Editrice.

  17. Nel diritto romano classico, è la volontà dei due coniugi che doveva perdurare nel tempo. Con il Cristianesimo invece, trionferà una concezione di affectio maritalis come volontà iniziale e perpetua.

  18. Vd. le note precedenti n. xiv. Vd. Volterra, cit., pag. 676: il concubinato con donne ingenuae, sino alla abolizione della categoria delle donne in quas stuprum non committitur, era non punito.

  19. I figli nati dalla schiava che ha vissuto in concubinato con il padrone divengono liberi se il dominus non ha diversamente disposto (Codex VII.15.3).

  20. Vd. Volterra, cit., pag. 676.

  21. Secondo alcuni giuristi, si suddivide un primo periodo altopostclassico (dalla morte dell’ultimo giurista classico Modestino al c.d. “editto di Milano” del 313 d.C.); mediopostclassico (dal 313 d.C. alla morte di Valentiniano III nel 455, in cui cessa lo scambio di costituzioni imperiali tra Parte Occidentale e Parte Orientale); bassopostclassico (dal 455 all’ascesa di Giustiniano al trono nel 527 d.C.); giustinianeo (dal 525 d.C. alla morte di Giustiniano nel 565 d.C.). Pugliese, cit., pag. 22.

  22. Vd. Pugliese, cit. pag. 22.

  23. Nonostante la codificazione giustinianea abbia alla base il monumentale corpus normativo sviluppatosi nei secoli precedenti dalla Repubblica al Tardo Impero, l’interpretazione del vecchio diritto repubblicano e imperiale e l’emanazione delle nuove leggi sono ora ispirate e completate dai princìpi cristiani.

  24. Vd. G. Pugliese 1998. Istituzioni di diritto romano. Torino: Giappichelli, pag. 212.

  25. Anticamente concepita come un diritto di vita e di morte sul filius.

  26. Vd. Pugliese, cit., pag. 211-212 e pp. 269-272.

  27. Vd. Pugliese, cit. pag. 212.

  28. Pugliese, cit. pag. 270.

  29. Inizialmente, il tutor compiva personalmente tutti gli atti di amministrazione, gestione e dispositivi del patrimonio della donna; nel corso del tempo, come detto, si lasciò alla sottoposta la possibilità di compiere tali atti, che erano però nondimeno sottoposti alla ratifica del tutor. Vd. Pugliese, cit., pag. 270

  30. Vd. Pugliese, cit. pag. 237.

  31. La lex Iulia de adulteriis stabiliva pene particolarmente severe per le donne onorate che avessero intrattenuto rapporti extra-matrimoniali: era prevista la relegatio in insulam e pene patrimoniali accessorie tanto per la donna adultera che per la nubile o la vedova. Per le altre pene, vd. Pugliese, cit. pag. 255-256. La lex Papia Poppaea stabiliva invece alcune limitazioni o incapacità ereditarie per i celibi o per coloro che, sciolto il precedente legame matrimoniale per divorzio o morte dell’altro coniuge, non si fossero risposati o non avessero ancora generato altri figli. Particolari norme di favore erano disposte per le donne che avessero partorito almeno tre volte e, parimenti, per gli uomini che avessero generato altrettante volte. Per la legislazione matrimoniale sotto Massenzio, vd. la nota successiva.

  32. Vd. D. Serra e M. Cecini, El Senatoconsulto y el edicto de Diocleciano y Maximiano contra Christianos y el edicto abrogativo de Majencio: BHG 1576, BNF Grec. 1470, ff. 120v-121r., pp. 184 e ss. e pp. 337 e ss., disponibile in open access al seguente link: . https://revistas.um.es/ayc/issue/view/21011 oppure https://www.academia.edu/89762414/El_Senatoconsulto_y_el_edicto_de_Diocleciano_y_Maximiano_contra_Christianos_y_el_edicto_abrogativo_de_Majencio_BHG_1576_BNF_Grec_1470_ff_120v_121r.

  33. Serra e Cecini, cit., cap. VII, pp. 193 e ss.

  34. Digesta, XXIII.2.44. Tutti i testi latini richiamati nelle note successive sono reperibili al sito: https://droitromain.univ-grenoble-alpes.fr/. Per i Digesta: https://droitromain.univ-grenoble-alpes.fr/Corpus/digest.htm; per il Codex: https://droitromain.univ-grenoble-alpes.fr/Corpus/codjust.htm; per il Codex Theodosianus: https://droitromain.univ-grenoble-alpes.fr/Codex_Theod.htm.

  35. Imperator Constantinus. Senatores seu perfectissimos, vel quos in civitatibus duumviralitas vel sacerdotii, id est phoenicarchiae vel syriarchiae, ornamenta condecorant, placet maculam subire infamiae et alienos a romanis legibus fieri, si ex ancilla vel ancillae filia vel liberta vel libertae filia vel scaenica vel scaenicae filia vel ex tabernaria vel ex tabernarii filia vel humili vel abiecta vel lenonis aut harenarii filia vel quae mercimoniis publicis praefuit susceptos filios in numero legitimorum habere voluerint aut proprio iudicio aut nostri praerogativa rescripti : ita ut, quidquid talibus liberis pater donaverit, sive illos legitimos seu naturales dixerit, totum retractum legitimae suboli reddatur aut fratri aut sorori aut patri aut matri. 1. Sed et uxori tali quodcumque datum quolibet genere fuerit vel emptione collatum, etiam hoc retractum reddi praecipimus: ipsas etiam, quarum venenis inficiuntur animi perditorum, si quid quaeritur vel commendatum dicitur, quod his reddendum est quibus iussimus aut fisco nostro, tormentis subici iubemus. 2. Sive itaque per ipsum donatum est qui pater dicitur, vel per alium sive per interpositam personam, sive ab eo emptum vel ab alio, sive ipsorum nomine comparatum, statim retractum reddatur quibus iussimus aut, si non existunt, fisci viribus vindicetur. 3. Quod si existentes et in praesentia rerum constituti agere noluerint pacto vel iureiurando exclusi, totum sine mora fiscus invadat. 4. Quibus tacentibus et dissimulantibus a defensione fiscali duum mensuum tempora limitentur, intra quae si non retraxerint vel propter retrahendum rectorem provinciae interpellaverint, quidquid talibus filiis vel uxoribus liberalitas impura contulerit, fiscus noster invadat, donatas vel commendatas res sub poena quadrupli severa quaestione perquirens. * CONST. A. AD GREGORIUM. *<A 336 LECTA XII K. AUG. CARTH AGINE NEPOTIANO ET FACUNDO CONSS.>. Vd. anche Digesta, XXIII.2.44.

  36. Le immagini sono tratte da internet: https://twitter.com/romanmosaics/status/1168913829817982980?lang=sr e https://twitter.com/BAMMosaic/status/1486057921620455428/photo/2

  37. Paulus libro primo ad legem Iuliam et Papiam. pr. Lege Iulia ita cavetur: “Qui senator est quive filius neposve ex filio proneposve ex filio nato cuius eorum est erit, ne quis eorum sponsam uxoremve sciens dolo malo habeto libertinam aut eam, quae ipsa cuiusve pater materve artem ludicram facit fecerit. Neve senatoris filia neptisve ex filio proneptisve ex nepote filio nato nata libertino eive qui ipse cuiusve pater materve artem ludicram facit fecerit, sponsa nuptave sciens dolo malo esto neve quis eorum dolo malo sciens sponsam uxoremve eam habeto”. 1. Hoc capite prohibetur senator libertinam ducere eamve, cuius pater materve artem ludicram fecerit: item libertinus senatoris filiam ducere. 2. Non obest avum et aviam artem ludicram fecisse. 3. Nec distinguitur, pater in potestate habeat filiam nec ne: tamen iustam patrem intellegendum octavenus ait, matrem etiam si volgo conceperit. 4. Item nihil refert, naturalis sit pater an adoptivus. 5. An et is noceat, qui antequam adoptaret artem ludicram fecerit? Atque si naturalis pater antequam filia nasceretur fecerit? Et si huius notae homo adoptaverit, deinde emancipaverit, an non possit duci? Ac si talis pater naturalis decessisset? Sed de hoc casu contrariam legis sententiam esse Pomponius recte putat, ut eis non connumerentur. 6. Si postea ingenuae uxoris pater materve artem ludicram facere coeperit, iniquissimum est dimittere eam debere, cum nuptiae honeste contractae sint et fortasse iam liberi procreati sint. 7. Plane si ipsa artem ludicram facere coeperit, utique dimittenda erit. 8. Eas, quas ingenui ceteri prohibentur ducere uxores, senatores non ducent.

  38. Procopio, Storie Segrete, a cura di F. Conca, versione italiana di P. Cesaretto, p. 140-141. Milano: BUR Rizzoli.

  39. «quae ipsa cuiusve pater materve artem ludicram facit fecerit»: Digesta XXIII.2.44; Codex Theodosianus, IV.6.3 e Codex V.27.1; Codex V.5.7.2.

  40. Sono gli imperatori che promulgarono l’editto di Tessalonica del 380 d.C. che rese il Cristianesimo religione di Stato.

  41. Codex Theodosianus XV.7.1. Imppp. Valentinianus, Valens et Gratianus aaa. ad Viventium praefectum Urbi. Scaenici et scaenicae, qui in ultimo vitae ac necessitate cogente interitus inminentis ad dei summi sacramenta properarunt, si fortassis evaserint, nulla posthac in theatralis spectaculi conventione revocentur. Ante omnia tamen diligenti observari ac tueri sanctione iubemus, ut vere et in extremo periculo constituti id pro salute poscentes, si tamen antistites probant, beneficii consequantur. Quod ut fideliter fiat, statim eorum ad iudices, si in praesenti sunt, vel curatores urbium singularum desiderium perferatur, quod ut inspectoribus missis sedula exploratione quaeratur, an indulgeri his necessitas poscat extrema suffragia. Dat. III id. feb. Treviris Gratiano a. II et Probo v. c. conss. (371 [367] febr. 11).

  42. Codex Theodosianus XV.7.4. Imppp. Gratianus, Valentinianus et Theodosius aaa. ad Paulinum praefectum Urbi. Mulieres, quae ex viliori sorte progenitae spectaculorum debentur obsequiis, si scaenica officia declinarint, ludicris ministeriis deputentur, quas necdum tamen consideratio sacratissimae religionis et christianae legis reverentia suae fidei mancipavit; eas enim, quas melior vivendi usus vinculo naturalis condicionis evolvit, retrahi vetamus. Illas etiam feminas liberas a contubernio scaenici praeiudicii durare praecipimus, quae mansuetudinis nostrae beneficio expertes muneris turpioris esse meruerunt. Dat. VIII kal. mai. Mediolano Gratiano V et Theodosio I aa. conss. (380 apr. 24).

  43. Codex Theodosianus, XV.7.9. Idem aaa. Herasio proconsuli Africae. Quaecumque ex huiusmodi faece progenitae scaenica officia declinarint, ludicris ministeriis deputentur, quas necdum tamen sanctissimae religionis et in perenne servandae christianae legis secretorum reverentia suae fidei vindicarit. Illas etiam feminas liberatas contubernio scaenici praeiudicii durare praecipimus, quae mansuetudinis nostrae beneficio expertes muneris turpioris esse meruerunt. Proposita Karthagine V kal. septemb. Syagrio et Eucherio conss. (381 aug. 28).

  44. Ringrazio per l’adattamento traduttivo il collega dott. Marco Cecini. Nella traduzione di Pharr del 1952, la resa è la seguente: «Se una donna proveniente dalla classe inferiore e obbligata all’esecuzione obbligatoria degli spettacoli cerca di sottrarsi ai doveri obbligatori del palcoscenico, sarà assegnata ai servizi teatrali, purché la contemplazione della santissima religione e il rispetto della legge cristiana non l’abbiano ancora legata alla loro fede. Infatti, Noi vietiamo che le donne siano trascinate indietro, se un modo migliore di vivere le ha liberate dai vincoli della loro condizione naturale. Inoltre stabiliamo che tali donne rimangano libere dall’ignobile vincolo di qualsiasi pregiudizio derivante dal palcoscenico, se hanno ottenuto l’esenzione da questo servizio pubblico obbligatorio di carattere indecente grazie a una speciale concessione del favore imperiale della Nostra Clemenza». C. Pharr, The Theodosian Code, Princeton: Princeton University Press, pag. 434. Non è possible in questa sede approfondire la questione sui termini “ludicrus” e “scaenicus“.

  45. Codex Theodosianus XV.7.8. Idem aaa. ad Valerianum praefectum Urbi. Scaenae mulier si vacationem religionis nomine postularit, obtentu quidem petitionis venia ei non desit, verum si post turpibus volutata complexibus et religionem quam expetierit prodidisse et gerere quod officio desierat animo tamen scaenica detegetur, retracta in pulpitum sine spe absolutionis ullius ibi eo usque permaneat, donec anus ridicula senectute deformis nec tunc quidem absolutione potiatur, cum aliud quam casta esse non possit. Dat. VIII id. mai. Aquileiae Syagrio et Eucherio conss. (381 mai. 8).

  46. Codex Theodosianus. 15.7.2. Idem aaa. ad Iulianum proconsulem Africae. Ex scaenicis natas, si ita se gesserint, ut probabiles habeantur, tua sinceritas ab inquietantium fraude direptionibusque submoveat. Eas enim ad scaenam de scaenicis natas aequum est revocari, quas vulgarem vitam conversatione et moribus exercere et exercuisse constabit. Dat. VIII id. sept. Mogontiaci Gratiano a. II et Probo conss. (371 sept. 6).

  47. Imperator Justinus . Imperalis benevolentiae proprium hoc esse iudicantes, ut omni tempore subiectorum commoda tam investigare quam eis mederi procuremus, lapsus quoque mulierum, per quos indignam honore conversationem imbecillitate sexus elegerint, cum competenti moderatione sublevandos esse censemus minimeque eis spem melioris condicionis adimere, ut ad eam respicientes improvidam et minus honestam electionem facilius derelinquant. Nam ita credimus dei benevolentiam et circa genus humanum nimiam clementiam quantum nostrae naturae possibile est imitari, qui cottidianis hominum peccatis semper ignoscere dignatur et paenitentiam suscipere nostram et ad meliorem statum reducere: quod si circa nostro subiectos imperio nos etiam facere differamus, nulla venia digni esse videbimur. 1 . Itaque cum iniustum sit servos quidem libertate donatos posse per divinam indulgentiam natalibus suis restitui postque huiusmodi principale beneficium ita degere, quasi numquam deservissent, sed ingenui nati essent, mulieres autem, quae scaenicis quidem sese ludis immiscuerunt, postea vero spreta mala condicione ad meliorem migravere sententiam et inhonestam professionem effugerunt, nullam spem principalis habere beneficii, quod eas ad illum statum reduceret, in quo, si nihil peccatum esset, commorari potuerint: praesenti clementissima sanctione principale beneficium eis sub ea lege condonamus, ut, si derelicta mala et inhonesta conversatione commodiorem vitam amplexae fuerint et honestati sese dederint, liceat eis nostro supplicare numini, ut divinos adfatus sine dubio mereantur ad matrimonium eas venire permittentes legitimum: 1a . His, qui eis coniungendi sunt, nullo timore tenendis, ne scitis praeteritarum legum infirmum esse videatur tale coniugium, sed ita validum huiusmodi permanere matrimonium confidentibus, quasi nulla praecedente inhonesta vita uxores eas duxerint, sive dignitate praediti sint sive alio modo scaenicas in matrimonium ducere prohibeantur, dum tamen dotalibus omnimodo instrumentis, non sine scriptis tale probetur coniugium. 1b. Nam omni macula penitus direpta et quasi suis natalibus huiusmodi mulieribus redditis neque vocabulum inhonestum eis inhaerere de cetero volumus neque differentiam aliquam eas habere cum his, quae nihil simile peccaverunt:2. Sed et liberos ex tali matrimonio procreandos suos et legitimos patri esse, licet alios ex priore matrimonio legitimos habeat, ut bona eius tam ab intestato quam ex testamento isti quoque sine ullo impedimento percipere possint.3. Sed etsi tales mulieres post divinum rescriptum ad preces earum datum ad matrimonium venire distulerint, salvam eis nihilo minus existimationem servari praecipimus tam in aliis omnibus quam ad transmittendam quibus voluerint suam substantiam et suspiciendam competentem sibi legibus ab aliis relictam vel ab intestato delatam hereditatem.4. Similes vero tale merentibus ab imperatore beneficium mulieribus illas etiam esse volumus, quae dignitatem aliquam, etsi non serenissimo principi supplicaverunt, ultronea tamen donatione ante matrimonium meruerint, ex qua dignitate aliam etiam omnem maculam, per quam certis hominibus legitime coniungi mulieres prohibentur, aboleri penitus oportet.5. His illud adiungimus, ut et filiae huiuscemodi mulierum, si quidem post expurgationem prioris vitae matris suae natae sint, non videantur scaenicarum esse filiae nec subiacere legibus, quae prohibuerunt filiam scaenicae certos homines in matrimonium ducere.5a. Sin vero ante procreatae sint, liceat preces offerentibus invictissimo principi sacrum sine ullo obstaculo mereri rescriptum, per quod eis ita nubere permittatur, quasi non sint scaenicae matris filiae: nec iam prohibeantur illis copulari, quibus scaenicae filias vel dignitatis vel alterius causae gratia uxores ducere interdicitur, ut tamen omnimodo dotalia inter eos etiam instrumenta conficiantur.6. Sed et si a scaenica matre procreata, quae usque ad mortem suam in eadem professione duravit, post eius obitum preces imperatoriae clementiae obtulerit et divinam indulgentiam meruerit liberationem maternae iniuriae et nubendi licentiam sibi condonantem, istam quoque posse sine metu priorum legum in matrimonio illis copulari, qui dudum scaenicae filiam uxorem ducere prohibebantur.7. Immo et illud removendum esse censuimus, quod etiam in priscis legibus, licet obscurius, constitutum est, ut matrimonia inter impares honestate contrahenda non aliter quidem valeant, nisi dotalia instrumenta confecta fuerint, his vero intercedentibus omnimodo firma sint sine aliqua distinctione personarum, si modo liberae sint et ingenuae mulieres, nullaque nefariarum vel incestarum coniunctionum suberit suspicio.7a. Nam nefarios et incestos coitus omnibus modis amputamus, sicut et illos, qui praeteritarum legum sanctione specialiter vetiti sunt, exceptis videlicet his, quos praesenti lege permisimus legitimique matrimonii iure muniri praecepimus.8. His itaque per hanc generalem legem ita constitutis et de cetero conservandis, praeteritas etiam huiusmodi coniunctiones ex subiecto tempore factas secundum praedictam dispositionem iudicari praecipimus, ut, si quis talem uxorem ab initio nostri imperii, prout dictum est, iam duxerit et liberos ab ea procreaverit, iustos eos et legitimos et tam ab intestato quam ex testamento pater successores habeat, et legitima in posterum nihilo minus ea uxore permanente procreandi quoque liberi legitimi sint. * IUSTINUS A. DEMOSTHENI P P. *<A 520-523 >

  48. Procopio, Storie Segrete, cit., p. 147-148.

  49. Codex. VII.15.3. Imperator Justinianus. Si quis sine uxore constitutus ancillam suam nomine habeat concubinae et in eadem usque ad mortem consuetudine permanserit et forsitan liberos ex ea sustulerit, sancimus omnimodo non concedi heredibus defuncti eandem vel liberos eius, si etiam liberos habuerit, in servitutem deducere, sed post mortem domini sub certo modo eripiatur in libertatem una cum subole sua, si etiam eam forsitan habuerit. 1 . Ipse etenim domino, dum superest, damus licentiam quomodo voluerit uti tam ancilla sua quam etiam ex ea progenita subole et in suo ultimo elogio quidquid voluerit contra eos disponere, id est sive quasi servos eos aliis legare sive in servitute heredum nominatim relinquere. Sin autem taciturnitate eos praeterierit, tunc post mortem eius ad libertatem eripiantur, ut sit domini mors libertatis eorum exordium. 2 . Omnibus etenim uxores habentibus concubinas vel liberas vel ancillas habere nec antiqua iure nec nostra concedunt. * IUST. A. IOHANNI PP. *<A 531 D. K. NOV. CONSTANTINOPOLI POST CONSULATUM LAMPADII ET ORESTIS VV. CC.>

  50. Per l’opinione dei giuristi, come interpretati da Giustiniano, vd. Digesta XXV.7.3. Marcianus libro 12 institutionum. pr. In concubinatu potest esse et aliena liberta et ingenua et maxime ea quae obscuro loco nata est vel quaestum corpore fecit. Alioquin si honestae vitae et ingenuam mulierem in concubinatum habere maluerit, sine testatione hoc manifestum faciente non conceditur. Sed necesse est ei vel uxorem eam habere vel hoc recusantem stuprum cum ea committere: 1. Nec adulterium per concubinatum ab ipso committitur. Nam quia concubinatus per leges nomen assumpsit, extra legis poenam est, ut et Marcellus libro septimo digestorum scripsit.

  51. Procopio, Storie Segrete, cit., p. 182-183.

  52. Procopio, Storie Segrete, cit., p. 147-148.

  53. Procopio, Storie Segrete, cit., p. 361.

  54. Su questi temi, vd. M. Casella, Il ruolo di Galeria Valeria nelle dinamiche della politica tetrarchica, in Klio 2020, 102 (1), pp. 236-272; F. Rohr, 2012. Augustae. Le donne dei principi. Riflessioni su Augustae. Machtbewusste Frauen am ro¨mischen Kaiserhof? In Athenaeum, 100, pp. 499-511.

  55. Procopio, Storie Segrete, cit., pp. 201-204, 277.

  56. G.G. Fois, F.M. Serra, (a cura di), Ceri e candelieri di Sardegna. Storia e tradizione. Iglesias: CTE, 2021.

  57. P.B. Serra, Nobiles ac Possessores in Sardinia Insula Consistentes. Theologica & Historica. XIII, 2004, pp. 317-364.

  58. Per una trattazione sintetica e accessibile a tutti, vd. B. Sitek, Raptores virginum vel viduarum vel diaconissarum. Studio sul rapimento delle donne votate a Dio nelle costituzioni degli imperatori romani. Diritto @ Storia, 5-2006. https://www.dirittoestoria.it/5/Tradizione-Romana/Sitek-Raptores-virginum.htm#_ftnref37.

  59. Vd. anche. Codex, I.3.53. Imperator Justinianus. Raptores virginum vel viduarum vel diaconissarum, quae deo fuerint dedicatae, pessima criminum peccantes capitis supplicio plectendos fuisse decernimus, quod non solum ad iniuriam hominum, sed ad ipsius omnipotentis dei inreverentiam committitur.1. Qui itaque huiusmodi crimen commiserint et qui eis auxilium tempore invasionis praebuerint, ubi inventi fuerint in ipsa rapina et adhuc flagrante crimine comprehensi a parentibus sanctimonialium virginum vel viduarum vel diaconissarum aut earum consanguineis vel tutoribus seu curatoribus, convicti interficiantur (…).

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Un pensiero riguardo “Donne e diritto romano d’Oriente nel periodo giustinianeo

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