Nel XVI secolo, i Safavidi minacciarono la supremazia dell’Impero Ottomano in Medioriente. Fu solo la Battaglia di Cialdiran (1514) a decidere il primo vero conflitto fra uno stato sunnita e uno sciita.
Nel complesso, considerando anche la sola questione dottrinale, la lotta fra i due maggiori rami dell’Islam va avanti da quasi quattordici secoli. Dal punto di vista politico fu però la conversione di massa allo sciismo dei popoli sottoposti all’autorità dei Safavidi a creare una netta cesura con l’Impero Ottomano.
Il capostipite dei Safavidi fu Ṣafī al-Dīn, il mistico curdo fondatore dell’ordine sufita Safaviyya. Il centro di preghiera dei Safavidi era Ardabil, nell’attuale Iran nord-occidentale, ma a metà del XV secolo, quando a capo della Safaviyya si trovava Shaykh Junayd, il movimento (proprio sulla spinta di quest’ultimo) iniziò ad avere mire temporali. Queste non erano ben viste dal capo della Kara Koyunlu, la federazione di tribù turcomanne che dominava buona parte della regione subcaucasica (attuali Armenia, Iran settentrionale, Iraq e Turchia orientali e Azerbaijan).
S. Junayd si rifugiò dunque a Diybarbakir, presso la corte di Uzun Hassan (sultano degli Ak Koyunlu/Turcomanni della Pecora Bianca) e non tornò mai più ad Ardabil. Suo figlio, Shaykh Haydar, sempre più vicino alle posizione degli sciiti duodecimani, riuscì invece a tornare nella sua terra. A permetterglielo fu lo zio Uzun Hassan, che sconfisse Jahan Shah (colui che aveva cacciato S. Junayd, padre di Haydar) nella Battaglia di Chapakchur nel 1467. Pochi anni dopo, Haydar sposò la figlia di Uzun Hassan, nonchè nipote di Giovanni IV di Trebisonda, che gli diede un figlio nel 1487: Ismail, il fondatore della Dinastia Safavide.
Questa piccola introduzione dovrebbe far riflettere sulla stortura storica che ha portato molti a ritenere che il Medioriente sia sempre stato (almeno fino alla spartizione dell’Impero Ottomano dopo la Prima Guerra Mondiale) un luogo di pacifica convivenza di anime e popoli diversi. In realtà, nei vari annali è difficile scovare un periodo di pace nei territori che vanno dall’attuale Libano all’Iran, dal Caucaso alla penisola Araba.
Conflitti Intestini al Mondo Musulmano |
Nello stesso periodo, buona parte del mondo islamico era sconvolto da diversi conflitti interni ed esterni. Gli ottomani e i mamelucchi erano vicini allo scontro decisivo, gli uzbechi erano pronti ad attaccare Ismail, Selim I aveva intenzione di spazzare via gli Ospitalieri dal mediterraneo, i Balcani erano ridotti a un cumulo di macerie dopo le conquiste ottomane e così via. Nella guerra ottomano-mamelucca del 1516-1517 morirono più di centomila soldati musulmani e decine, se non centinaia, di migliaia di civili. La sola Battaglia di Marj Dabiq (1516) costò la vita a 72.000 mamelucchi, mentre quella di Yaunis Khan ebbe meno vittime, ma fu combattuta in un’area che negli ultimi decenni ha assunto grande rilevanza internazionale, Gaza. Ottenuta la vittoria di Marj Daqib, Solimano saccheggiò Il Cairo. La forza e la violenza della sua armata convinsero i governanti di Medina e de la Mecca a sottomettersi a lui immediatamente. |
Qui però ci interessa lo scontro fra Ottomani e Safavidi e le sue conseguenze, che continuano a produrre effetti anche ai giorni nostri.
Ismail divenne Shah dell’Azerbaijan a soli 14 anni, nel 1501, dopo aver sconfitto lo Shirvanshah (colui che governava l’odierna regione dell’Azerbaijan) grazie all’aiuto dei Kizilbash. Questi erano costituiti da un gruppo di tribù aderenti agli insegnamenti safavidi e divennero l’elite militare di Ismail, che consideravano una divinità. Egli scelse come capitale Tabriz (sempre nell’Iran nord-occidentale) e, appena insediatosi nella nuova capitale, ordinò una conversione di massa di tutta la popolazione dall’Islam Sunnita a quello Sciita duodecimano. Per accelerare la transizione da una dottrina all’altra, Ismail favorì l’arrivo di saggi sciiti dal resto del mondo islamico. Fu un processo difficile, ma ebbe successo.
Ci vollero altri dieci anni prima di riuscire a conquistare l’intero Iran e addirittura Bagdad, che però rimase sotto il dominio safavide per poco tempo. Ismail incontrò un nemico particolarmente ostico negli Uzbechi.
Lo scontro definitivo fra Safavidi e Uzbechi avvenne nel dicembre 1510, presso l’oasi di Marv. Nonostante la superiorità numerica degli Uzbechi, guidati da Muhammad Shaybani, Ismail riuscì ad annientare il nemico. Il sessantenne Shaybani fu catturato e fatto a pezzi; le parti del suo corpo furono mostrate in varie città dell’impero e dal suo cranio, rivestito d’oro, Ismail fece ricavare una coppa per bere.
A questo punto, lo Shah Ismail era diventato un pericolo concreto anche per un Impero militarmente efficiente come quello ottomano. E il Sultano non fu l’unico ad accorgersi del crescente potere dei Safavidi, visto che proprio in quel periodo anche Carlo V e Lodovico II d’Ungheria ebbero un iniziale scambio epistolare con Ismail per concordare delle azioni comuni nei confronti dell’Impero Ottomano. È bene comunque ricordare che i contatti con Carlo V divennero più frequenti solo dopo la Battaglia di Chaldiran.
Più stretti furono invece i contatti fra Safavidi e Veneziani. Questi ultimi avevano iniziato a raccogliere informazioni su Ismail fin dal 1501, ma il primo ambasciatore persiano giunse a Venezia solo nel 1509 e, per giunta, in un momento sfortunato. Come ben spiegato in Iran and the World in the Safavid Age (volume recentissimo curato da Willem Floor ed Edmund Herzig), l’ambasciatore safavide giunse in concomitanza con la dura sconfitta di Venezia nella Battaglia di Agnadello, subita per mano delle forze della Lega di Cambrai guidate da Luigi XII. Il Senato veneziano si limitò a fare i migliori auguri allo Shah Ismail, ma non se la sentì di dargli appoggio militare contro gli Ottomani a pochi giorni da uno scontro così disastroso.
Selim I, sultano dal 1512 dopo aver costretto il padre ad abdicare e massacrato tutti i suoi fratelli, vedendo crescere il potere safavide (o sciita, o persiano che dir si voglia), decise di far compilare delle vere e proprie liste di proscrizione in cui furono inseriti tutti coloro che professavano la fede sciita all’interno dell’Impero Ottomano. Più di 40.000 uomini (in maggioranza Kizilbash dell’Anatolia) furono massacrati senza processo e con accuse parziali, ma Selim aveva anche intenzione di procedere con un attacco militare nel cuore del territorio nemico. In fondo, Ismail supportava attivamente i Kizilbash presenti nell’Impero Ottomano e alcuni suoi comandanti avevano già saccheggiato diverse città di confine.
Uno scambio di missive |
Selim I e Ismail si scambiano, nel corso del 1514, delle missive infuocate (QUI in versione integrale). Ad essere adirato è soprattutto il Sultano, che apostrofa così lo Shah di Persia “il reggente del regno dei Persiani, il possessore della terra della tirannia e della perversione, il comandante della malvagità, il capo della malizia…”. |
Inoltre, il Sultano non poteva tollerare, visti i suoi piani di espansione, di ritrovarsi vulnerabile sul fianco orientale; così, nel marzo del 1514, decise di iniziare la campagna contro il nemico safavide.
A Cialdiran, sull’attuale confine nord-occidentale dell’Iran, si scontrarono non solo due popoli e due dottrine diverse, ma anche due modi opposti di fare la guerra. Le forze di Selim erano nettamente superiori dal punto di vista numerico (forse in rapporto 3:1) e avevano dalla loro un gran quantitativo di armi da fuoco e artiglieria, utilizzate sempre con maggior successo soprattutto negli scontri con i nemici europei, mentre i Safavidi facevano affidamento, ancora una volta, sulle capacità di manovra della loro cavalleria.
Purtroppo per loro, anche le armi da fuoco dell’Impero Ottomano si dimostrarono molto manovrabili, e i Safavidi subirono delle perdite consistenti. Il fuoco di sbarramento, che rese difficile attaccare le ali dello schieramento ottomano, unito all’inferiorità numerica, portò alla sconfitta di Ismail (che fu, a sua volta, ferito).
Entrato a Tabriz, Selim aggiunse al suo bottino l’harem reale comprese due moglie (fra cui la favorita) dello Shah. Il Sultano aveva tutta l’intenzione di inseguire Ismail e riportare la sua testa a Istanbul, ma non riuscì a convincere i suoi comandanti, che si opposero all’idea di svernare in territorio nemico. A causa del prematuro ritorno in patria, Selim non riuscì a sfruttare pienamente la vittoria, anche se ottenne forse il risultato più importante, ossia distruggere l’aura di invincibilità di Ismail e ottenere il controllo dei territori di confine.
Nel Sesto Volume de The Cambridge History of Iran (1986) si sottolineano proprio le conseguenze psicologiche della battaglia di Cialdiran:
Per Ismail, Chaldiran non significò solo una sconfitta in battaglia o una perdita di un larga parte di territorio. Agli occhi dei suoi seguaci, egli aveva perso la sua aura di invincibilità…
Anche in Europa, la notizia della sconfitta di Ismail suscitò grande scalpore (pari, si dice, a quello della caduta di Costantinopoli). Molto interessante fu la reazione della Chiesa, che il prof. T. C. Price Zimmermann riporta nel volume Paolo Giovio: The Historian and the Crisis of Sixteenth-Century Italy (1996):
La notizia della Battaglia di Chaldiran giunse a Roma il 30 ottobre 1514 […] Dopo una notte insonne, il Papa convocò tutti gli ambasciatori che erano a Roma e lesse loro una copia del dispaccio ufficiale inviato dal sultano in cui annunciava la sua vittoria.
Una volta rientrato a Tabriz, Ismail si rese conto che ormai, persi i territori occidentali (quelli dell’Anatolia orientale) del suo regno, mantenere lì la capitale era molto pericoloso. Ciononostante, e forse ancora legato alla sua identità etnica turca (sebbene la maggior parte dei suoi sudditi fosse iraniana/persiana), continuò ad esercitare il potere proprio da Tabriz.
In realtà, Ismail cercò per tutta la vita, con parziale successo, di uniformare le due anime del suo regno. Da un lato c’erano i Kizilbash, i sufiti dell’ordine Safaviyya che lo consideravano un dio e avevano combattuto con lui sin dall’inizio; si trattava di uomini di origine turcomanna (provenienti in massima parte dall’Anatolia e dalla Siria orientali) organizzati in modo teocratico. Dall’altro c’erano i Persiani (o Iraniani), che avevano un sistema istituzionale e burocratico molto più complesso. I primi conducevano tendenzialmente una vita nomadica, i secondi stanziale.
Dopo la sconfitta di Cialdiran, probabilmente anche in conseguenza del fatto che i Kizilbash erano divenuti più irrequieti (avendo avuto prova della vulnerabilità del loro capo divino), Ismail continuò ad allontanarsi dalle dottrine teocratiche.
Mi affido alle parole del prof. Roger Savory che, nel volume Iran Under the Safavids (2007), scrive:
Nell’ultima decade del regno di Ismail vi fu un allontanamento dalla forma di governo teocratico che era stata una caratteristica distintiva delle prime istituzioni safavidi. Vi fu una tendenza generale a separare il potere politico da quello religioso, e a ridurre l’influenza dei Qizilbash negli affari di stato.
Ma questo non bastò a diminuire il potere dei Kizilbash, tanto che alla morte di Ismail, avvenuta nel 1524, l’elite militare turca prese il potere per molti anni. A Ismail era infatti succeduto il figlio Tahmasp I, di soli 10 anni, che fu esautorato completamente dalle funzioni militari e di governo. Il nuovo sovrano riuscì a riprendere il potere e a continuare l’opera paterna solo attorno al 1533.
Articolo pubblicato per la prima volta il 13 Gennaio 2016
Bibliografia
- Antonio Baratta, Costantinopoli effigiata e descritta con una notizia su le celebri sette chiese dell’Asia Minore ed altri siti osservabili del Levante, 1840;
- Vari, The Cambridge History of Iran, 1986, Volume 6. The Timurid and Safavid Periods;
- T. C. Price Zimmermann, Paolo Giovio: The Historian and the Crisis of Sixteenth-Century Italy, 1996;
- Roger Savory, Iran Under the Safavids, 2007;
- Willem Floor ed Edmund Herzig, Iran and the World in the Safavid Age, 2012;
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Ciao, articolo interessante che affronta momenti storici che (in italiano) è difficile conoscere.
Riguardo allo scontro tra Ottomani e Safavidi, le armi da fuoco e artiglierie turche erano lo stato dell’arte dell’epoca? A livello di quelle europee?
I Safavidi invece avevano armi di quel genere o a quel livello?
Ciao Van,
prima vorrei complimentarmi per il bellissimo avatar, poi dirti che gli ottomani avevano armi da fuoco di ottimo livello, mentre i safavidi ne erano del tutto sprovvisti. Proprio per questo, e immaginando (per qualche assurdo motivo) che le armi da fuoco fossero poco manovrabili, Ismail provò a lanciare la cavalleria contro le ali.
Bellissimo articolo e molto interessante, sembra una versione musulmana della guerra dei trent’anni, anche se mi pare che questa vada avanti da 5 secoli…
Grazie Nicholas, è un un piccolo contributo storico visto che si tende a considerare il mondo islamico come un monolite.
Temo proprio di sì!