Passare venti o trent’anni in carcere è, al giorno d’oggi, un’eccezione anche se parliamo di reati gravissimi. Nei primi decenni del secolo scorso, potevano invece capitare detenzioni di oltre quaranta anni.
Circa settantuno anni fa, l’11 novembre del 1950, fa veniva graziato il più anziano ergastolano d’Italia, Antonio Mazza. Condannato per triplice omicidio e lesioni gravissime, viene incarcerato a Cosenza nel 1898. In tutto, passa 52 anni in carcere tra Pianosa e Procida prima di ricevere la grazia dal Presidente Einaudi.
Ormai ultraottantenne, Antonio Mazza ricorda a malapena i fatti che lo hanno portato a passare quasi 19.000 giorni in carcere.
Fuori dalle mura, è cambiato secolo ed è profondamente cambiato tutto il mondo.
Quando le porte del carcere di Procida si sono chiuse alle sue spalle, nel 1898, Emile Zolà ha appena scritto il suo J’Accuse…! e, solo pochi giorni prima, Lenin ha fondato il Rossiyskaya sotsial-demokraticheskaya rabochaya partiya. Un mese e mezzo dopo, Bava Beccaris avrebbe massacrato i manifestanti di Milano prendendosi gli elogi di Re Umberto I, che un paio di anni dopo sarebbe stato ucciso da Gaetano Bresci. Queste notizie arrivano all’orecchio di Antonio Mazza come una eco lontana. D’altronde ha solo 28 anni e la consapevolezza che passerà in carcere tutta la sua vita.
Gli anni passano. Ne ha 45 quando l’Italia fa il suo ingresso nella Prima Guerra Mondiale e 52 quando Mussolini guida la Marcia su Roma. Due conflitti mondiali, il Ventennio, la fine della monarchia, dell’impero austroungarico e di quello ottomano, la nascita della Repubblica. E la tecnologia, beh, anche quella ha completamente cambiato il volto del mondo. Dalla produzione in massa delle automobili alle bombe atomiche, non c’è nulla che gli ricordi ciò che aveva lasciato.
Nato prima dei grandi perdenti della Seconda Guerra Mondiale, da Mussolini a Hiroito passando per Hitler, ma anche dei vincenti, Churchill, Stalin, Truman (ma anche di Roosevelt) e De Gaulle, Antonio Mazza rimane pietrificato quando gli arriva la notizia della grazia firmata da Einaudi.
Non ha amici, né parenti, né conoscenti ancora vivi o che abbiano intenzione di vederlo. Si rende conto di essere completamente solo in un universo alieno. Pochi giorni prima del suo rilascio, chiede di poter rimanere nel suo istituto di pena o in un altro fino alla morte, magari lavorando come inserviente.
Fino a qui la visione “romantica” dei reati commessi e della sua detenzione. A ottant’anni non è particolarmente lucido e ricorda poco del suo passato, ma ciò che ha fatto nel 1898 rimane un qualcosa di terrificante.
Il racconto completo del massacro di S.Lucido e dei mesi successivi è stato pubblicato tempo fa sul sito Antichi Delitti e si tratta, a mio avviso, di un ottimo lavoro che non potrei in alcun modo integrare. Lo userò per darvi un breve riassunto degli eventi.
Nel 1898, Antonio Mazza uccide 3 persone e ne ferisce 13 a coltellate durante una festa di paese a S. Lucido di Cosenza.
Alla fine dell’Ottocento, Mazza vive di estorsioni e prepotenze ed è il mafioso più in vista di S. Lucido insieme a Domenico Fanella. A differenza di Fanella, Mazza è fumantino e violento. Ammazza di botte la moglie e tira fuori il coltello per minacciare chiunque gli faccia uno sgarbo. A differenza di quanto scritto nell’articolo de La Stampa, il massacro di S. Lucido inizia come resa dei conti tra Fanella e Mazza.
In particolare, Fanella schiaffeggia Mazza per aver umiliato per l’ennesima volta Costantino, un ragazzo con problemi mentali (lo “scemo del villaggio”). Per tutta risposta, Mazza gli pianta nel cuore una lama di 23 centimetri. Quando estrae il pugnale dal petto di Fanella, uno zampillo di sangue gli imbratta la giacca facendo comprendere immediatamente a tutti cosa sia successo.
Con grande calma, mentre Fanella agonizza in terra, Mazza torna a casa. Lì lo raggiunge una guardia municipale, Achille Sammarro, con cui ha già avuto una violentissima colluttazione anni prima. Il tentativo di arresto finisce male, perchè Achille estrae la rivoltella per arrestarlo, ma il pugnale di Antonio è più veloce di lui. Un altro colpo al cuore. Sammarro crolla morto. Da lì, inizia il delirio.
Antonio Mazza gira per il paese urlando, coperto di sangue, con il pugnale in mano. Vuole ammazzare altri due nemici storici, il Sindaco e il Vice Segretario Comunale. Trova la moglie di quest’ultimo e l’accoltella al seno, poi le ficca l’impugnatura del pugnale in bocca a mo’ di fallo per umiliarla. La donna, fortunatamente, si salva.
L’ultimo a morire sotto i colpi di Antonio Mazza è Salvatore Iorio, un 19enne appena tornato dall’America per fare il servizio militare, ma oltre a lui vengono ferite una decina di altre persone. Anche dopo essere stato colpito dai pallini di due fucilate, Antonio Mazza riesce a rifugiarsi a casa del suocero, dove viene catturato dai Carabinieri. Lo aspetta una cella a Pola e, poco dopo, a Cosenza.
Per leggere tutta la storia, senza censure, vi consiglio ancora di andare qui.
Insomma, dietro la storia strappalacrime de La Stampa del 1950 si nascondeva un orrore ben più profondo. Alla fine, Antonio Mazza è stato messo giustamente in condizione di non nuocere più a nessuno fino alla fine della sua vita e quei 52 anni, diciamocelo, se li è meritati tutti.
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Personalmente credo che:
1. o accettiamo che esistono disturbi mentali gravissimi e in questo caso il “malato” va curato MA INTERNATO A VITA senza se e senza ma per far sì che non possa nuocere ad altri;
2. o pensiamo che abbia fatto quello che ha fatto (al di là di ogni ragionevole dubbio) potendo scegliere di non farlo e in questo caso va “perdonato” e MESSO A MORTE. Sempre per difendere gli altri. In questo la Chiesa Cattolica la sapeva lunga prima di doversi (per fortuna) piegare al modernismo.
Grazie.
gG
Tutto ciò che facciamo è scappare! Mi sento un fottuto corridore su pista. Ciò dimostra la corretta comprensione https://filmstreaminghd.video del cinema.