Cele Kula: la Torre dei Teschi di Nis

Ciò che resta di Cele Kula, la Torre dei Teschi di Nis, è ancora oggi meta di pellegrinaggio da parte di molti serbi e dei nostalgici dei moti di liberazione dei Balcani dal giogo ottomano.

Per quasi quattro secoli, dalle prime conquiste ottomane nell’Europa continentale fino alle grandi guerre di liberazione dell’Ottocento, i Balcani sono stati al centro di una violenta contesa politico-militare e religiosa che continua ad avere strascichi anche ai giorni nostri.

Delle continue ribellioni dei popoli autoctoni (specie quelle nel XVI e XVII secolo) nei confronti degli Ottomani abbiamo parlato più volte, citando quella di Dioniso il Filosofo o il tentativo di difesa a oltranza di Gvozdansko. Nel XIX secolo, tuttavia, la sempre più manifesta debolezza del Grande Malato d’Europa e la nascita di movimenti nazionalisti più forti porta gli interi Balcani allo stato di “polveriera”.

La Battaglia di Čegar, nel 1809, segna il momento più difficile della Prima Rivolta Serba contro l’Impero Ottomano. I Serbi, guidati da Stevan Sinđelić, tentano di opporsi all’esercito turco pur essendo in netta inferiorità numerica. Resistono per ore, ma i rinforzi tardano ad arrivare per alcune divergenze interne tra gli ufficiali.  

Alla fine, Sinđelić e i sopravvissuti, ormai accerchiati, attendono l’ultimo assalto vicino al deposito di munizioni della loro trincea. La fine che li attende, se catturati, è l’impalamento (ancora nel 1815, i Turchi impalarono 200 prigionieri a Belgrado). Appena i Turchi sciamano nella trincea, è lo stesso Sinđelić a esplodere un colpo contro le munizioni a distanza ravvicinata. L’esplosione è devastante, e provoca un numero enorme di perdite agli Ottomani. Milovan Kukić narra così l’evolversi della battaglia:

“Le truppe ottomane attaccarono cinque volte, e i serbi riuscirono a respingerle cinque volte. Ogni volta le loro perdite erano grandi. Alcune delle truppe ottomane erano riuscite a spingersi fino alla trincea e così, quando attaccarono per la sesta volta riempirono le trincee con i loro morti. I vivi passarono sopra i cadaveri e cominciarono a combattere con i serbi all’arma bianca. I soldati serbi delle altre trincee chiedevano di andare ad aiutare Stevan. Ma non ci fu aiuto, sia perché non potevano aiutare senza la loro cavalleria, sia perché Miloje Petrović non lo permise.

Quando Stevan Sinđelić vide che le truppe ottomane avevano preso il controllo della trincea, corse verso la polveriera, tirò fuori il suo fucile e sparò nel deposito della polvere. L’esplosione che ne seguì fu così potente che tutti i dintorni furono scossi, e l’intera trincea fu avvolta da una nuvola di fumo denso. Tutti quelli che si trovavano nella trincea furono uccisi, così come tutti quelli che si trovavano nelle sue vicinanze.

Per mostrare ai Serbi e alle altre popolazioni dei Balcani quale sarebbe stata la loro sorte in caso di insurrezione, il vizier Hurshid Pasha (un georgiano catturato da bambino ed entrato nei Giannizzeri) fa edificare, nei pressi della cittadina di Nis, una torre con le teste dei Serbi morti a Čegar: 952 in tutto, disposte su 4 lati in 14 file.

Hurshid era stato, nel 1804, governatore dell’Egitto. Aveva tentato di liberarsi di Muhammad Ali e dei suoi fedelissimi albanesi, ma senza successo. Abbandonato dalle sue truppe, si arrende ad Alì nel 1805, dando inizio al lungo governo di quest’ultimo.

Nel 1833, si trova a passare di lì, diretto in Oriente, il poeta e politico francese Alphonse de Lamartine. Quando vede la torre di teste, ormai ridotte a teschi completamente scarnificati, commenta così:

Alcuni avevano ancora i capelli attaccati, che si muovevano come muschi o licheni al soffio del vento. Le folate provenienti dalla montagna erano forti e fredde e risuonavano tra le innumerevoli cavità delle teste, che emettevano così un suono triste e lamentoso.

In realtà, Lamartine utilizza qualche licenza poetica di troppo, visto che parla di 20.000 teschi e di un monumento enorme. Per questo, molti vogliono visitare la torre dei teschi. Rimangono delusi quando vedono che le dimensioni sono più simili a quelle di una torre colombaia che di un palazzo.

Tra l’altro, con il passare degli anni il numero dei teschi decresce in modo considerevole. Parenti e amici dei caduti li staccano per dare degna sepoltura ai resti, mentre altri sono erosi dagli agenti atmosferici. Alcuni sono addirittura presi come macabri souvenir da alcuni viaggiatori.

L’ultimo governatore ottomano dell’Eyalet di Niš, Midhat Pasha, si rende conto di quanto il monumento, invece di spaventare i Serbi, stia fomentando il loro desiderio di vendetta. Per questo, nel 1861 fa togliere i teschi rimanenti (oggi ce ne sono solo 58). Midhat Pasha è però uomo di grande intelletto e fortemente influenzato dalle istituzioni giuridiche occidentali. In poco tempo, rende Niš una vera e propria fucina di progresso sociale e religioso, arrivando anche a eliminare le varie gradazioni di persecuzione religiosa cui erano sottoposti i Serbi a partire dalla conquista ottomana.

Dopo l’indipendenza serba, un baldacchino di legno va a coprire la struttura originaria. Alla fine, nel 1892, Cele Kula viene inglobata da una vera e propria chiesa (1892), dove si trova ancora oggi.

Da più di un secolo, Cele Kula è meta di pellegrinaggio da parte dei Serbi. Nel periodo dell’ex Jugoslavia, le scuole di tutto il paese organizzavano centinaia di gite ogni anno per ricordare il massacro e cementare il senso di appartenenza dei più giovani. Negli anni ’90, il nazionalismo serbo usa la storia della Torre dei Teschi per dare sostegno al progetto di “Grande Serbia”.

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