Di duelli mortali, nel XIX secolo, ce ne sono stati parecchi. Questo nonostante le continue leggi, grida e bandi emanati dalla maggior parte dei paesi europei. Per dare contezza di questo fenomeno, nel 1899 Jacopo Gelli decide di scrivere un volume intitolato “Duelli Mortali del XIX Secolo”.
La trattazione di Gelli è veloce, ben strutturata, e si apre con un’introduzione che condanna fermamente l’istituto del duello. Vista l’ampia casistica, Gelli sottolinea quasi subito che, negi ultimi decenni del XIX secolo:
basta dare un’ occhiata alla statistica del duello che da oltre venti anni redigo e si rileverò che le cause presunte degli scontri sono da attribuirsi prima alle polemiche giornalistiche, poi ai diverbi, poscia alle dispute politiche, quasi che il buon governo di uno Stato si trovasse concentrato sulla accuminata punta di una spada, o sul taglio bene affilato di una sciabola
Qui sotto, ci sono la sua introduzione e, soprattutto, tre duelli tra giornalisti avvenuti tra il 1836 e il 1889. Vi lascio definitivamente alle sue parole e a una selezione di duelli che hanno visto protagonisti i giornalisti:
I duelli dei giornalisti si dividono in due grandi categorie: duelli tra giornalisti, e tra giornalisti e privati. Nell’ esercizio indipendente ed imparziale (!!!) di un ufficio, che è sindacato continuo di tutto quanto accade giornalmente nella vita pubblica di un paese è facile, anzi facilissimo, che la critica e la censura, per qnanto aliene da personalità, abbiano da incappare nella suscettibilità più o meno legittinia di questo o di quel cittadino. II quale crede, o almeno finge di crederlo, che sfidando a duello l’articolista o il direttore del giornale, la ragione a lui venga col treno lampo o per telegrafo, anche quando ha torto.
Ma se il giornalista coscienziosamente ha adempiuto al proprio ufficio, denunciando all’opinione pubblica un errore, o un abuso, senza scopo di scandalo, senza impulso di personale malevolenza, perchè accetta, invece di respingerla, la provocazione cavalleresca? O non s’accorge che, accettando, riconosce implicitamente nel privato cittadino la facoltà di menomare la libertà di stampa e di discussione?
O quanto il giornalista ha detto è vero, o non è vero. Se è vero, perche cede alle prepotenze altrui? E se non è vero, eperchè onestamente non rettifica senza attendere lo spauracchio di un duello? Se accetta la sfida, — e l’accetta quasi sempre — egli ha un bell’accumulare riserve nei verbali regolatori della questione d’onore, in pro’ del diritto del pubblicista!
Con la sua accettazione egli ha annullato in fatto quello che teoricamente dichiara, e crea un positivo ostacolo alla libertà di discussione avvenire, e cioè: finisce per darsi la zappa sui piedi e contribuisce largamente all’esercizio arbitrario delie proprie ragioni, al duello, testimonianza di una specie di sovraccitazione morbosa, che raggiunge il massimo della sua intensità nei periodi piu caldi dell’anno.
Ma quello che è assolutamente incomprensibile è la facilità la quale i giornalisti duellano tra di loro. Quali sono le cause di questi scontri? La risposta è ovvia. La causa si trova sul modo particolare e più che medioevale di condurre la polemica giomalistica, che dal campo delie idee e delle questioni teoriche, passa alla violenza di frasi e agli insulti, spesso plateali, contro gli antagonisti. Deficienza, quindi di mezzi intellettuali, e di coscienza, perchè dall’esame della vertenza la questione personale viene fuori non richiesta, non necessaria; ma come un’ancora di salvezza per colui che si è trovato a corto di buoni argomenti nella discussione impegnata.
De Girardin vs Carrel (1836)
A Parigi, il 22 di luglio del 1836, sotto il regno di Luigi Filippo, avvenne un duello che commosse in modo straordinario l’opinione pubblica. Dopo trent’anni di quiete, Carrel scende in campo chiuso contro Emile de Girardin. E sapete perchè? Perchè Girardin aveva fondato un giornale, che si dava per quaranta franchi all’anno.
Era la rivoluzione della stampa periodica! Un foglio repubblicano, Le Bon Sens, inveisce contro la novella decisione con sarcasmi, a’ quali Emilio de Girardin replica processando per diffamazione il poco accorto Bon Sens. Armand Carrel s’intromette nella faccenda e, nel National del 20 luglio, stampa:
II signor Emilio de Girardin, membro delia Camera dei deputati, è a capo di una società che crede di aver trovato il mezzo di costituire un giornale al prezzo di quaranta franchi all’anno, scoperta felice, di cui il paese profitterà se de Girardin riuscirà nell’impresa. Ma, come primo mezzo di riuscita, de Girardin ha creduto opportuno di pubblicare degli avvisi, nei quali parła di giornali che esistono da dieci, da quindici e da venti anni, in termini che noi ci saremmo limitati a disprezzare per nostro proprio conto; ma che uno del nostri confratelli: le Bon Sens, ha rilevato in una serie di appendici, molto accentuati, e dei quali il pubblico s’è occupato assai. Lo spiritoso autore di quelle appendici, Capo de Feuillide, passa in rivista le combinazioni e i calcoli nella confidenza dei quali si è stati ammessi dai prospetti stessi del sig. de Girardin.
II signor Capo de Feuillide trova l’intrapresa cattiva; e ne ha buon diritto; appoggia l’opinione sua su considerazioni e ragionamenti, che non ci sono sembrati fuori dell’orbita di una discussione lecita. II sig. E. de Girardin poteva replicare nel suo giornale; ma ha preferito considerare diffamazione contro la sua persona, i dubbi gettati sulla esattezza de’ suoi calcoli ; ha attaccato le Bon Sens e il signor de Feuillide con una citazione davanti al correzionale.
Quest’affare saró, discusso domani (21 luglio) e il signor de Girardin godrà dei benefici della legge di settembre. La stampa non potrà rendere conto di una discussione; ma ne faremo conoscere i risultati, che non ci sembrano essere dubbi, perchè nulla somiglia meno alla diffamazione, quale la definiscono le nostre leggi, della discussione sostenuta da de Feuillide contro le asserzioni e le cifre di E. de Girardin.
All’indomani, nella Presse del 21 luglio, de Girardin replicò per le rime ad Armand Carrel, che, seccato da certe allusioni biografiche dell’articolo, si fece accompagaare dall’amico suo Thibaudeau dal direttore della Presse per ottenere spiegazioni, che non ebbe, ma che lo condussero invece ad un duello.
“Ebbene, signore” esclamó Armand Carrel, quando si trovó sul terreno di fronte a Girardin “voi mi avete minacciato di una biografia. La fortuna delle armi potrebbe essermi contraria; voi allora farete questa biografia; ma nella mia vita privata e nella mia vita politica voi non troverete nulla che rai faccia disonore; n’è vero, signore?”
“Sissignore” replicò Girardin.
Armand Carrel era assistito da Maurice Persat e da Ambert; Girardin da Latour-Mezeray e da Paillard de Villeneuve.
I combattenti furono collocati di fronte, a quaranta passi l’uno dall’altro, essendo stato deciso ch’essi potessero avvicinarsi ciascuno di dieci passi. Distanza minima, dunque, passi venti.
Armand Carrel avanzó e sparó, dopo aver percorso i dieci passi. Girardin che aveva fatto solo tre o quattro passi, aveva sparato nello stesso momento ; sicchè lo sparo fa simultaneo.
“Sono stato colpito alla coscia!” gridó Girardin.
“Ed io all’inguine!” replicó Carrel, ch’ebbe ancora la forza di sedersi in terra.
Accanto a lui, Persat piangeva come un bambino, e Carrel, dimenticando la propria ferita, lo consolava:
“Non vi disperate, amico mio, sarà nulla, o tutto ! Comunque, poco małe. Fatevi coraggio.”
Allorchè, trasportato a braccia dagli amici, passò vicino a Girardin:
“Soffrite molto, Girardin?” chiese.
“Vorrei che voi non soffriste piu di me!”
“Addio, signore, non ve ne serbo rancore.”
Carrel conservò la fermezza del suo carattere in mezzo alle più crudeli sofferenze. Quando lo deposero sul suo letto esclamó: “iI portabandiera del reggimento è sempre il più esposto. Ho fatto il mio dovere, accada ciò che deve accadere!”
Nelle ultime ore di esistenza sopravvenne il delirio e morì susurrando la parola: “France…”
La morte di Carrel fu lutto pubblico e mentre tutti i partiti si riunivano per piangere il disgraziato cittadino morto, gli odi di tutti i repubblicani si accumulavano sulla testa di Girardin, che ritiró la querela contro le Bon Sens, causa prima di tanti guai. Da quel giorno, Girardin non volle piu battersi e cominció col respingere la sfida del direttore del Bon Sens, de Feuillide.
Trombetta vs Cognetti (1870)
Se non erro, perchè incerti sono i dati che ho potuto procurarmi su questo duello mortale, lo scontro tra il signor Trombetta, assistito da Carlo Alberto e da Francesco Bracalo, ufficiale, e il Cognetti, patrocinato dal march. Augusto Pulce Doria e da Filippo Carrilli, accadde il 1° gennaio del 1870. II motivo del combattimento fu una polemica giornalistica tra il Trombetta ed il sacerdote Cognetti (fratello della vittima), che in quell’epoca dirigeva il giornale clericale La Discussione.
Restando sempre nel campo impersonale e imparziale del narratore, dalle poche note raccolte pare che il Trombetta avesse attaccato con molta violenza il sacerdote Cognetti, che difendeva a spada tratta, e forse in buona fede, nella Discussione, le famose banche-truffe, che davano il 20 e perfino il 30 per cento al mese sui denari presso di esse impiegati; banche tutte che finirono con un crack formidabile, l’eco del quale non si è ancora spenta in Napoli.
II direttore delia Discussione, essendo sacerdote, non poteva scendere in sottana e cocolla nel campo del duello, benche anticamente ció facessero e preti e frati ed eminenti prelati; e percio incaricó il fratello suo, di chiamare a singolar tenzone il giornalista Trombetta. I “si dice” farebbero ritenere che il Cognetti fosse uno schermitore di vaglia, e che prima della lotta cruenta avesse manifestato l’intenzione di segnare per l’eternità il volto del suo avversario.
II Trombetta, informato di ció, ne rise e benchè si dichiarasse profano nell’arte di maneggiar la sciabola, sul terreno offriva sempre il braccio al ferro dell’avversario, mantenendosi costantemente a regolare misura. II concetto del Trombetta, infine, era questo: una sciabolata al braccio, che io mi pigli, non sarà gran małe; ma per l’avversario spavaldo e per giunta schermitore, sarà uno smacco fenomenale quello di non aver potuto realizzare la minaccia solennemente ripetuta.
Ed il Cognetti, invero, mirava sempre al volto, aspettando che il Trombetta si scoprisse, o serrasse la misura. Ma il Trombetta, come Gosto del Guadagnoli: duro! Dopo parecchie messe in guardia senza risultato, Carlo Alberti si avvicinó al suo cliente, Trombetta, per esortarlo a prendere qualche volta l’iniziativa dell’attacco, per non rimanere sempre sulla difensiva.
II Trombetta non si fece ripetere il consiglio, e alla ripresa del combattimento, si mosse per l’avanzata scoprendosi. II Cognetti, creduto il momento favorevole per segnare il viso dell’avversario, fa rapidamente un passo in avanti e si getta da solo sulla punta delia sciabola avversa, che gli penetra nella parte superiore del ventre. La ferita di per sè stessa non sarebbe stata mortale, alneno così opinarono i presenti; ma lo divenne, perche il ferito, parando di quarta e di picco, quando era già stato toccato, costrinse la sciabola del Trombetta ad un movimento laterale, di modo che dal ventre, orrendamente squarciato, uscirono gli intestini.
II Cognetti morì sul colpo, senza poter proiferire una parola.
D’Anna vs Zitello (1889)
Nel novembre 1889 il direttore del giornaletto Forbice, Antonio D’Anna in seguito a polemica, schiaffeggió il collega del Caporal terribile, Giuseppe Zitello. Un duello alla pistola fu riconosciuto necessario, e nei pressi di Palermo, a Verdesi, al terzo colpo, il direttore del Forbice è colpito all’occhio destro, cade fulminato al suolo. E’ inutile aggiungere che dopo il combattimento gli avversari non si strinsero la mano!
Ma tra le sue braccia la giustizia strinse lo Zitello e il capitano d’ artiglieria Galassi e il rinomato maestro Franco Vega, e i padrini del detunto D’Anna, capitani de’ bersaglieri Giuliano e Scarfaro. II 19 luglio cominciò al tribunale penale di Palermo il processo contro Giuseppe Zitello, contro il barone Giovanni Patti, e contro Franco Vega maestro di scherma, imputato il primo di omicidio in duello contro Antonio D’Anna e gli altri come secondi del Zitello per istigazione al duello. Furono interrogati gli imputati e sentiti i capitani dei bersaglieri Scarfaro e Giuliano, padrini di D’Anna.
II pubblico ministero concluse ritirando l’accusa, per inesistenza di reato, contro il barone Patti e il maestro Franco Vega, padrini dello Zitello, imputati d’istigazione al duello, e chiese per il Zitello il rinvio degli atti al giudice istruttore, con mandato di cattura per omicidio volontario. II tribunale riconobbe essersi osservate nel duello le regole cavalleresche.
Assolse conforme alle conclusioni del pubblico ministeró i signori Patti e Vega, condannó difformemente dalla detta conclusione lo Zitello ad un anno di detenzione ed a cinquecento lire di multa per reato d’omicidio.
Lo Zitello interpose appello, chiedendo una diminuzione di pena, ritenendo che le regole cavalleresche gli avessero imposto presentarsi sul terreno del duello.
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