La battaglia di Montaperti rappresenta l’apice del decennale scontro tra le città toscane. Allo stesso tempo è uno snodo centrale, ma non decisivo, degli equilibri della penisola nel tredicesimo secolo.
4 settembre 1260. A Montaperti, nei pressi di Siena, va in scena un episodio estremamente significativo del decennale conflitto tra i ghibellini senesi e i guelfi fiorentini, che si risolve con la schiacciante vittoria dei primi, supportati dal re di Sicilia Manfredi, contro i secondi, sui quali sono riposte le speranze papali.
L’importanza di questo scontro, evocato a più riprese da Dante nella Commedia, si colloca ben al di là degli scenari della Toscana del Duecento, coinvolgendo numerosi attori sociali e acquisendo una valenza internazionale. Come sottolinea Duccio Balestracci, docente di Storia medievale all’Università di Siena, ne La Battaglia di Montaperti:
Il trionfo senese e la débâcle fiorentina aumentano indubbiamente le apprensioni papali: da una parte, per una possibile e sgradita conclusione della questione del Regno meridionale in termini favorevoli a Manfredi e sfavorevoli alla Chiesa; dall’altra, perché un blocco ghibellino che copre quasi tutta la Toscana (confuso, articolato, contradditorio quanto si vuole, ma ugualmente reale e importante) rischia di alterare gli equilibri politici italiani in un senso che il Papato non può non temere[1].
Nel suo libro Balestracci parla di una battaglia fantasma. Del resto di Montaperti si ricostruisce tanto bene il contesto quanto male lo svolgimento. Le fonti, numerose da parte senese e limitate da quella fiorentina, ma in ogni caso posteriori di vari decenni, non aiutano in questo senso. La mancanza di cronache dirette sull’accaduto è grave, al punto che «è stata avanzata l’ipotesi che lo scontro sia avvenuto nei pressi della Pievasciata stessa, anziché a Montaperti»[2].
Una teoria tutt’altro che assurda secondo Balestracci, sulla quale ci si potrebbe soffermare a lungo e che solleva il paradossale dubbio per cui la battaglia di Montaperti potrebbe non essere stata combattuta a Montaperti. A ogni modo, per la comprensione dell’evento, qualche chilometro in più o in meno, nei pressi del torrente Arbia, fa poca differenza. I fattori determinanti sono altri.
Innanzitutto, la viscerale opposizione tra una Siena ghibellina e una Firenze guelfa trova un fondamento concreto nella storia, ma necessita di essere contestualizzata, andando al di là di una semplificazione manualistica. La battaglia di Montaperti è molto utile in questo senso. Nel 1228, con l’imperatore Federico II scomunicato da Gregorio IX per i continui rimandi nell’intraprendere la crociata[3], Firenze assedia Pistoia.
Il contingente fiorentino è sostenuto da lucchesi, pratesi e volterrani, mentre quello pistoiese da pisani, senesi e poggibonsesi. È la miccia del conflitto che progressivamente fa scendere in campo altri comuni. Il quadro è complesso, ma vede l’inclinazione del primo blocco (capeggiato da Firenze) verso la chiesa e del secondo (di cui fa parte Siena) verso l’imperatore. Soprattutto in questi anni bisogna tenere presente che:
Non ci stiamo trovando di fronte a due schieramenti compatti e ben riconoscibili di realtà urbane che hanno fatto una chiara scelta fra i due campi: Comuni ghibellini contro Comuni guelfi. Al contrario, ci muoviamo all’interno di un complesso intreccio, entro il quale sono protagoniste le parti cittadine, coinvolte in campi di conflitto regionale, e che si collegano […] in una rete di solidarietà politiche la quale, a sua volta, intriga soggetti diversi: città, fazioni, casate nobiliari[4].
Non è un caso che a Firenze, città da sempre antimperiale, si parli di parte guelfa per la prima volta in un documento del 1246, mentre Siena, pur essendo compattamente filosveva, si definisca ghibellina più per opporsi agli storici rivali fiorentini che per altro[5]. A ogni modo, se le categorie sono effimere, lo scontro è assolutamente reale. Dopo conflitti esterni e mutamenti interni alle città negli anni Trenta e Quaranta del Duecento, intervallati da modesti tentativi di mediazione tra l’imperatore e il papa, la vicenda esplode definitivamente con la morte di Federico II, il 13 dicembre 1250.
A livello internazionale il tramonto dello stupor mundi e la scomparsa del suo erede Corrado IV nel 1254, aprono due profonde crisi di successione. La prima, al trono imperiale, non si risolverà fino al 1273, con l’elezione di Rodolfo I d’Asburgo che pone al fine Grande Interregno. La seconda è relativa al regno di Sicilia, in cui:
La continuità della dominazione sveva fu garantita da un figlio naturale di Federico, Manfredi, che dapprima ne assunse la reggenza in nome del nipote Corradino, figlio di Corrado IV, di soli dieci anni, poi, nel 1258, si fece incoronare re[6].
Manfredi, da uomo pragmatico mai interessato all’impero, ricerca la legittimazione al trono di Sicilia dal 1250, venendo ostacolato prima da Innocenzo IV e poi (1254) da Alessandro IV. Di fatto il papato non riconosce il diritto svevo di successione al regno, guardando con favore alla discesa di Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia Luigi IX, per rafforzare la propria posizione su tutta la penisola. Le fasi iniziali di questa intricata vicenda durano dieci anni, si combattono in Toscana e culminano nella battaglia di Montaperti.
La Toscana, con le sue guerre campaniliste e i suoi schieramenti sempre più netti, si presta come terreno ideale dello scontro. Alla morte di Federico II, i guelfi rialzano la testa:
Rientrano in Firenze, si rafforzano a Lucca, diventano partito egemone a Volterra, a San Miniato, a San Gimignano. Ad Arezzo la parte ghibellina sopravvive con sempre più fatica; a Pisa, in affanno di fronte all’aggressività fiorentina, riesplode l’atavico odio politico fra i ghibellini Della Gherardesca e i guelfi Visconti[7].
Parallelamente, su sollecitazione di Manfredi, Siena occupa la contea antisveva degli Aldobrandeschi, eterni nemici senesi, e si assicura il dominio assoluto sulla Maremma. Nella Commedia Dante incontra Omberto Aldobrandeschi nell’undicesimo canto del Purgatorio, all’interno della prima cornice occupata dai superbi. Il nobile si presenta in questo modo:
L’antico sangue e l’opere leggiadre
d’i miei maggior mi fer sì arrogante,
che, non pensando a la comune madre,
ogn’uomo ebbi in despetto tanto avante,
ch’io ne mori’, come i Sanesi sanno,
e sallo in Campagnatico ogne fante[8].
Il 22 giugno 1251 i ghibellini fuoriusciti poco prima da Firenze sanciscono, in una capanna nella Val di Strove, un patto con le principali città filoimperiali. Il peso della coalizione ghibellina (capeggiata da Siena, Pisa e Pistoia) si fa sentire attraverso diverse vittorie, ma viene smorzato dalla rivalsa fiorentina a Pontedera e il fallito assedio senese di Montalcino. Il 1252 è l’anno della pacificazione guelfa:
Il patto di riconciliazione è sottoscritto anche da quanti, nella capanna di Val di Strove, avevano giurato, all’occorrenza, di muover guerra alla città natale: vi troviamo Guido Novello dei Guidi, Farinata degli Uberti, esponenti delle famiglie Pazzi, Lamberti, Gualterotti, Amidei, Ubriachi, Mannelli e Brunelleschi, tutti convinti, al pari dei loro concittadini guelfi, che sia meglio cercare un accordo piuttosto che impegnarsi in una guerra civile[9].
A questo punto i ghibellini accusano il colpo e Firenze passa al contrattacco, con vari successi in tutta la regione. Si arriva alla pace del luglio 1255, in cui vengono confermate le rispettive alleanze (estese oltre la Toscana) e, soprattutto, viene proibita l’accoglienza dei ribelli e degli esiliati delle città nemiche. Tre anni dopo, nel 1258, Siena tradisce l’accordo, accogliendo la colonna ghibellina fiorentina, che ha abbandonato la città dopo il fallito colpo di Stato[10]: la strada verso Montaperti è finalmente spianata.
In questo contesto Manfredi, accusato dalle fonti fiorentine di aver fomentato la sommossa ghibellina nella città, cerca di riconciliarsi con Alessandro IV, nella speranza di ottenere la legittimazione al trono di Sicilia e la pacificazione col papato. Addirittura, lo svevo prospetta un’alleanza con Firenze:
Il messaggio di Manfredi al papa è abbastanza chiaro: la Toscana e le Marche, per lui, possono essere merce di scambio o, quanto meno, possono vedere un suo disimpegno in cambio degli obiettivi che più gli stanno a cuore[11].
La risposta del pontefice è ancora più chiara: Manfredi viene accusato di essere un usurpatore, che la santa sede non supporterà mai in Sicilia. Conseguentemente Firenze rifiuta di trattare col sovrano, il quale, a questo punto, accetta le richieste senesi. Il dado è tratto[12]. Tra il 1259 e il 1260 le vicende belliche si concentrano nella Maremma, a Montalcino e a Montepulciano, territori centrali della contesa sin dagli anni Trenta. In Toscana Manfredi invia un contingente di cavalieri germanici, comandati da suo zio Giordano di Agliano. Il 18 maggio sotto le mura di Siena, nei pressi del monastero di Santa Petronilla, la cavalleria tedesca, guidata dai ribelli ghibellini di Firenze, si scontra con i guelfi fiorentini. L’esito della battaglia è diverso a seconda della testimonianza. Per i senesi, i fiorentini sono fuggiti, mentre lo storico fiorentino del Trecento Giovanni Villani riporta così l’epilogo della vicenda:
E di quanti n’uscirono di Siena non ne scampò niuno vivo, che tutti furono morti e abbattuti, e la ‘nsegna di Manfredi presa e strascinata per lo campo, e recata in Firenze[13].
È il preambolo di Montaperti. Dopo lo scontro, su richiesta di Manfredi, un contingente più corposo di cavalieri germanici arriva in Toscana, risultando decisivo per la vittoria del 4 settembre. Qui le truppe senesi sono sostenute, oltre che dai tedeschi e dai ghibellini fiorentini, anche da un corpo di soldati di Cortona e dai cavalieri ternani. La coalizione di Firenze è più estesa e comprende truppe provenienti da: Arezzo, Bologna, Lucca, Orvieto, Piacenza, Pistoia, Prato, San Gimignano e Volterra. Neutrale resta invece Pisa che, pur essendo ghibellina, sostiene apertamente Corradino, agli occhi del quale, come per il papa, Manfredi è un usurpatore[14].
Come già ricordato in apertura, non ci sono arrivate cronache coeve della battaglia, né da parte senese, né da quella fiorentina, ma disponiamo di numerose testimonianze successive da entrambi i lati (soprattutto da quello vincitore senese). Uno dei riferimenti più suggestivi a Montaperti proviene, ancora una volta, dalla Commedia. Nel decimo canto dell’Inferno, parlando con Farinata degli Uberti, il sommo poeta evoca la battaglia con queste parole:
Lo strazio e ’l grande scempio
che fece l’Arbia colorata in rosso[15].
Un grande scempio che lascia sull’angusto campo dell’Arbia diverse migliaia di vite umane, in una battaglia centrale per il destino della Toscana e di tutta la penisola, ma per nulla decisiva: i vincitori di Montaperti saranno ben presto i vinti.
NOTE:
Duccio Balestracci, La battaglia di Montaperti, Economica Laterza, Bari 2017, p. 12. ↑
Ivi, p. 10. La Pievasciata è un territorio a Nord di Montaperti, che i fiorentini hanno sicuramente attraversato. Il fatto che le forze fiorentine siano attestate in questo luogo tra il 2 e il 3 settembre, rende problematico capire come possano ritrovarsi nei pressi di Montaperti la mattina del 4. La possibilità di una marcia notturna sembra essere poco probabile, vista la grandezza del contingente e l’asprezza del territorio. ↑
Senza combattere e con abilità diplomatica Federico II ottiene, dal dotto sultano del Cairo Malik al-Kamil, il regno di Gerusalemme, impegnandosi a smantellare le fortificazioni della città e a consentire agli islamici la frequentazione dei luoghi santi. Una soluzione pacifica che non soddisfa le mire del pontefice e lo induce a indire una fallimentare crociata contro l’imperatore, conclusa con la pace di San Germano (1230). Cfr: Alfio Cortonesi, Il medioevo. Profilo di un millennio, Carocci editore, Roma 2008, p. 233. ↑
Balestracci, p. 29. ↑
Cfr: Ivi, p. 18. ↑
Cortonesi, p. 234. ↑
Balestracci, p. 39. ↑
Dante, La Divina Commedia, Purgatorio XI, 61-66. ↑
Balestracci, p. 49. ↑
Si tratta praticamente degli stessi protagonisti degli accordi di inizio decennio, tra cui Farinata degli Uberti. Cfr: Ivi, p. 56. ↑
Ivi, pp. 62-63. ↑
Anche se, nel trattato di alleanza con Siena, Manfredi specifica che l’accordo non è diretto contro la Chiesa. Cfr: Ivi, p. 63. ↑
Giovanni Villani, Nuova Cronica, in Balestracci, p. 66. ↑
È da ricordare che Manfredi si era fatto incoronare re di Sicilia, diffondendo la falsa morte di Corradino. Cfr: Balestracci, pp. 62-86. ↑
Dante, La Divina Commedia, Inferno X, 85-86. ↑
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Un pensiero riguardo “Verso Montaperti: lo Scacchiere Politico nella Toscana del Duecento”