La Rivolta dell’Arrabal di Cordoba (818)

La Rivolta dell’Arrabal di Cordoba è una delle molte ribellioni e scontri avvenute nella Spagna Islamica.

Lungo la sponda sinistra del fiume Guadalquivir nella zona dove il ponte romano permette di attraversarlo, sin dai tempi di Abd Al-Rahman I si era formato un nuovo agglomerato, detto arrabal de Sequnda, in cui coesistevano variegati gruppi umani di diversa estrazione sociale e religiosa.

La maggioranza della popolazione era costituita da gente di umile origine ai cui si affiancavano piccoli artigiani, mercanti e numerosi faqī (in castigliano alfaquì), termine che identifica un individuo esperto nella legge coranica, un giurista, paragonabile, anche se in maniera impropria, a un teologo. Costoro svolgevano prevalentemente l’attività di maestro istruendo i giovani alla sunna islamica e alla lettura e recitazione del Corano. Gli allfaquì di al-Andalus, seguivano la dottrina malikita fondata da Malik ibn Anas a La Mecca nell’VIII secolo ed introdotta nella penisola iberica dai pellegrini di ritorno dalla Città Santa. Ai tempi dell’emiro al-Hisham I molti di loro erano stati cooptati all’interno delle strutture di corte come consiglieri e consulenti, ma nel 796, con l’avvento al potere di Al-Hakam (771-822), caddero in disgrazia.

Il senso di frustrazione e di contrarietà causato dalla repentina emarginazione provocarono un profondo risentimento che si manifestò in una crescente propaganda contro il monarca, accusato di empietà, di allontanarsi dall’ortodossia religiosa, di volersi trasformare in un despota e di una certa tendenza ad abbandonarsi ai vizi.

Prediche di fuoco che, unite all’indignazione popolare per la pesante vessazione fiscale, si stavano trasformando in una miscela esplosiva le cui avvisaglie si percepirono fin dall’805, quando, dopo alcuni disordini, l’emiro mandò al patibolo settantadue persone tra cui alcuni notabili alfaquì.

I focolai di dissidenza non si estinsero, ma covarono sotto la cenere fino a quando, il 25 marzo 818, un soldato della guardia personale di Al-Hakam, avendo bisogno di una nuova spada, si rivolse ad un fabbro dell’Arrabal. Improvvisamente, per questioni non del tutto chiare, i due iniziarono a litigare sempre più animatamente finché il soldato trafisse il fabbro, uccidendolo.

il luogo degli scontri

La sollevazione fu immediata e coinvolse tutto il sobborgo, la cui popolazione, armatasi con mezzi di fortuna, si diresse minacciosa verso il palazzo reale, posto sulla riva opposta del Guadalquivir. Riuscirono a sbaragliare le poche difese anche grazie all’aiuto di una nuova moltitudine proveniente da altri settori della città e si prepararono all’assalto delle fortificazioni dell’Alcazar.

La situazione sembrava ormai compromessa, quando un consigliere del sovrano ebbe l’idea risolutrice: alcuni reparti di cavalleria, fatti uscire di nascosto da una seconda porta, avrebbero dovuto guadare il fiume e attaccare i rivoltosi alle spalle. Questi cavalieri penetrarono nell’Arrabal con facilità, poiché quasi tutti gli abitanti si trovavano radunati sotto la muraglia a difesa del palazzo reale. Uccisero coloro che gli si pararono davanti e cominciarono a dare fuoco alle case e alle botteghe.

Accortasi di ciò che stava avvenendo, la folla cercò repentinamente e in maniera scoordinata di ritornare sui propri passi nel tentativo di evitare l’accerchiamento e salvare i loro beni dalle fiamme. La fulminea azione dei cavalieri sbarrò loro la strada intrappolandone la maggioranza sul ponte, senza possibilità di fuga. A quel punto iniziò la mattanza, che durò vari giorni, fino a quando l’emiro, impietosito dalle suppliche, non decise di concedere una tregua.

Circa trecento persone, indentificate come i capi della rivolta, vennero crocifisse a testa in giù lungo le sponde e i muraglioni. I corpi, straziati, rimasero appesi come monito fino a quando si decise di buttarli nel fiume.

Al-Hakam I ordinò di radere al suolo il quartiere e i pochi superstiti decisero di riparare nel Nord Africa, sia in terra marocchina, sia ad Alessandria d’Egitto, dove riuscirono ad impossessarsi della città e a governarla in maniera pressoché indipendente per alcuni anni.

Espulsi dal califfo Al-Paxid, si riorganizzarono per invadere Creta, allora in mano bizantina, riuscendo ad occuparla. Sull’isola si insediarono stabilmente dedicandosi alla costruzione di una flotta commerciale e piratesca. Solo nel 961, Bisanzio potrà riprenderne il possesso.

Gli andalusì cordovesi si convertirono successivamente al cristianesimo integrandosi definitivamente nella popolazione isolana di Creta.

Di recente, la narrazione della rivolta dell’Arrabal è stata elaborata graficamente qui.

Bibliografia:

  • GUICHARD, P., Al-Andalus. Estructura antropológica de una sociedad islámica en Occidente.
  • LEVÍ-PROVENÇAL, E.,“España musulmana hasta la caida del Califato de Córdoba (711-1031). Instituciones y vida social e intelectual”, Vol. V de la Historia de España de Menendez Pidal.
  • MANZANO, E., Conquistadores, Emires y Califas.

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