Nella storia della Medicina Legale, il parere reso da Gentile da Foligno a Cino da Pistoia rappresenta un momento fondamentale.
In questo periodo storico, in cui le stesse istituzioni sono costrette ad affidarsi a medici, virologi e altri esperti per combattere il covid-19, l’argomento diventa ancora più interessante. Per questo, voglio sottoporvi una ricerca di Hermann Kantorowicz – “CINO DA PISTOIA ED IL PRIMO TRATTATO DI MEDICINA LEGALE.” Archivio Storico Italiano, vol. 37, no. 241, 1906, pp. 115–128 – che racconta uno dei primi incontri, se non il primo, tra medicina teoretica e giurisprudenza teoretica.
Hermann Ulrich Kantorowicz (1877-1940) , autore di questo articolo, è stato un importante storico del diritto. Nel 1933 fu privato della cattedra dal governo nazista perché ebreo (1933). Rifugiatosi in UK, insegnò all’Università di Cambridge fino alla sua morte.
I rapporti della giurisprudenza pratica colla medicina pratica sono antichissimi. Lasciando da parte l’unione delle funzioni di giudice e di medico nella medesima persona, che troviamo presso tanti popoli primitivi, è noto come già la legge di Mosè ordinasse la collaborazione dei medici in certi casi di giustizia criminale.
Lo stesso faceva la legislazione di Giustiniano, e, conforme alle dottrine dei glossatori, ci furono conservati, fra gli atti criminali del secolo XIII, ancora abbondanti in alcuni archivi italiani, moltissimi cartellini membranacei (ossia di pergamena o cartapecora), nei quali il medico comunica al giudice il risultato dell’esame, fatto sull’assassinato o sul ferito.
Un esempio è quello di due medici che, nel febbraio 1289, comunicano al giudice Alberti de Gandino l’analisi delle ferite sul cadavere di Jacopo Rustighelli. Come potere leggere qui sotto, Alberto Maloveda e Amoretus specificano il numero di ferite per ogni parte del corpo e le distinguono tra mortali e non-mortali.
Bologna, 1289 febr. Magister Albertus Maloveda et Magister Amoretus, medici, qui de precepto dom. Alberti de Gandino, judicis dom. potestatis ad malleffìcia, viderunt et temptaverunt Jacobum Rustighelli, capelle sancte Catherine de Saracocia, vulneratum et mortuum, quo viso et temptato dicunt, certi concordia, invenisse in eo, videlicet.
In primis, in pectore : septem vulnera mortallia. Item, in peline: unum vulnus mortalle. ltem, unum vulnus in gula, mortalle. Item, in medietate frontis: duo vulnera mortallia. Item, in ocipizio: unum vulnus mortalle. Item, in maxilla destra: unum vulnus non mortalle.
Die sabati xii° febr. medici iuraverunt, ita verum esse.
Molto più recente si credeva la cooperazione della medicina teoretica con la giurisprudenza teoretica. L’origine della medicina legale, frutto di tale cooperazione, è attribuita da tutti i suoi storici alla fine del secolo XV, o al XVI, e l’onore d’ aver creato questa scienza l’Italia deve condividerlo colla Francia e colla Germania.
Quest’opinione è erronea. Già il primo terzo del Trecento vedeva nascere la medicina legale; e proprio nel paese dove in quel tempo unicamente poteva nascere, in Italia. A due illustri italiani spetta la gloria di quest’innovazione: Cino da Pistoia e Gentile da Foligno. Un giurista e un medico. Non è il caso di indugiarsi sopra Cino, l’amico di Dante e Petrarca, il maestro di Bartolo da Sassoferrato, il cui nome significa un indirizzo nuovo tanto nella giurisprudenza quanto nella letteratura ; ma intorno a Gentile vogliamo dare, fra le molte favolose e contraddittorie a noi trasmesse, quelle scarse notizie, che meritano fede, aggiungendovene talune affatto ignorate.
Gentile de’Gentili da Foligno nacque nella seconda metà del secolo XIII da una famiglia nobile folignate. Suo padre, chiamato esso pure Gentile de’Gentili, fu medico a Bologna, dove anche il figlio studiava la medicina, sotto Taddeo Fiorentino ( 1295), e più tardi insegnava questa scienza. Fu chiamato a Perugia come professore di medicina nel 1325; lì, nel 1339, componeva una quaestio de febre.
Interrompeva il suo ufficio per andare a Padova, dov’era stato invitato da Ubertino da Carrara, Signore di questa città dal 1338 al 1345, come medico ordinario. Tornava poi all’Università di Perugia, donde è datato un suo Consiglio del marzo 1345, ed ivi morì, vittima della sua professione, nella grande peste dell’ anno 1348, il dì 17 o 18 giugno. Il suo sepolcro si vede ancora a Foligno nella chiesa degli Eremitani di Sant’Agostino.
Fu reputatissimo come docente, medico e scrittore. Dei suoi discepoli ne nomina tre, nella prefazione del suo trattato De causis fluxus epatici, cioè Filippo da Foligno, Niccola degli Amelii da Rimini e Francesco (da Foligno). Quale fosse la sua celebrità di medico, lo provano i consigli dati ai suoi clienti di tutta l’Italia, fra i quali troviamo molti nomi d’ importanza storica (come Francesco d’Urbino e Ubertino da Carrara, che vuole essere guarito dalla ypocondria). I suoi scritti gli procurarono il soprannome onorifico di Speculator, e uno storico del Trecento ne fa gran lode, parlando dei suoi scritti sine subtilitatis admiratione. Fra essi i più importanti, e tutti spesso stampati, sono:
- il commentario ai canones di Avicenna;
- i consigli;
- diversi trattati sulla febbre, sui bagni (de balneis) e altri argomenti.
A Venezia nel 1520 fu stampata un’edizione collettiva di molti dei suoi piccoli trattati, edizione rarissima e quasi sconosciuta, e sfortunatamente tanto scorretta, che in gran parte i testi rimangono addirittura incomprensibili. Parecchi di questi trattati vi sono editi per la prima ed ultima volta: fra essi due de temporibus partus. Il secondo e più corto di questi due è in forma di lettera indirizzata a Gino da Pistoia, ed è per noi del massimo valore.
Certo chi non conosca che l’edizione a stampa, non può aver se non un mediocre interesse per questa lettera, e deve supporre che si tratti d’ un semplice consiglio medicinale, dato fra cento altri da Gentile a Cino, il quale, sia per curiosità, sia per interesse privato, voleva sapere in quale momento incominciasse la vitalità del feto umano. Soltanto da un manoscritto della lettera, finora sconosciuto, che ho avutola fortuna di trovare nella Marucelliana di Firenze, risulta la sua vera natura, e quindi la sua importanza.
Coll’aiuto di questo manoscritto siamo in grado di ricostruire l’occasione e il fine di questa corrispondenza. Cino s’occupò nella sua qualità di professore, dando un consiglio legale di questa lite: un marito contestava la legittimità di un figlio, che sua moglie aveva partorito nel settimo mese del matrimonio ed accusava un “fratello” , probabilmente il proprio, della paternità.
Cino, consultando le fonti giuridiche, trovava che la Lex septimo mense [Dig. de statu
hominum, D. 1. 5. 12] asseriva la vitalità d’un bambino, nato nel settimo mese, secondo l’autorità d’Ippocrate, e in conseguenza ne stabiliva la legittimità senza riserva. Inoltre trovava la chiosa dell’Accursio, che dichiarava bastante che siano passati sei mesi ed un giorno. Cino, del quale è ben noto lo spirito non meno libero che realistico nella giurisprudenza, disapprovando tale conclusione, e dubitando della premessa della legge, s’ indirizzò per iscritto a Gentile, allora professore di medicina a Perugia, e, informandolo tanto della causa quanto della legge, lo pregava di comunicargli l’opinione della scienza medica su questo punto.
La data del documento si può fissare con grande sicurezza entro determinati limiti. Gentile, essendo allora, come dice Cino, professore a Perugia, la lettera non può essere scritta avanti il 1325, forse tra il 1326 e il 1334, epoca del professorato di Cino, nella medesima Perugia; e non dopo il 1337, anno nel quale Cino già era morto.
Intorno all’uso che Cino fece della risposta di Gentile non possiamo dire altro, se non che l’abbia usato nel suo commento sopra la Lex septimo. Ma per noi la sua importanza è assai grande, non tanto pel contenuto materiale della lettera, quanto perché ci rivela lo spirito riformatore di Cino e perchè occupa un posto d’ onore nella storia del pensiero.
Per la prima volta la giurisprudenza dei tempi moderni si rivolge alla medicina, cioè ad una scienza perfettamente da lei separata, per chiedere il suo aiuto nella soluzione dei problemi suoi. Per la prima volta un dotto giurista, dalla norma della legge ricorre all’esperienza della vita, dal dovere all’essere. Così Cino, quel gran realista, svolge un problema, oggi più che mai ardente nella metodologia della giurisprudenza. Anche Gentile, da parte sua, si dimostra degno del suo compito. Certo la sua lettera (nella quale naturalmente conferma l’opinione d’Ippocrate) riflette fedelmente lo stato della medicina medioevale, dominata dalla superstizione astrologica e del principio di autorità.
Ma alla fine consiglia far verificare da “medici bravi” se il neonato sia sviluppato conforme alla durata del matrimonio, e di riconoscere la legittimità soltanto in questo caso — in stretta opposizione colla legge, che nel suo spirito formalistico aveva definito la legittimità in base ad un indizio puramente cronologico. Così mette il metodo empirico al di sopra del metodo dogmatico, e già si svela qui nell’origine della medicina legale quel contrasto, che s’esprime nel suo nome, che finora ha dominato i suoi rapporti colla giurisprudenza, che oggi si è tanto accentuato, e che vedremo finire colla vittoria dell’empirica.
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L’autore sa per caso levarmi il dubbio se Hermann Ulrich Kantorowicz (1877-1940) fosse fratello e/o parente del celebre storico medievale Ernst Kantorowicz (1895-1963)?