La riforma dell’esercito ottomano, da parte di Mahmud II e dei suoi successori, rientra nella più ampia opera di ammodernamento dell’Impero Ottomano che inizia già nei primi decenni dell’Ottocento.
Parlare in modo estensivo di quel lungo processo (Tanzimât) che, ufficialmente, inizia con l’emanazione dell’editto di Gülhane (Tanzimât Fermânı) del 1839, sarebbe troppo oneroso per un articolo di questo genere. E’ sufficiente ricordare che, nel tentativo di competere con le potenze europee, l’Impero Ottomano si dota progressivamente di istituzioni, leggi, burocrazia e organizzazioni militari ricalcate sul modello degli stati occidentali.
Per quanto riguarda la questione della riforma dell’esercito ottomano, gli studiosi concordano che il punto di rottura sia rappresentato dall’abolizione dei Giannizzeri, operata da Mahmud II nel 1826. Nel 1835, il Sultano si assicura per due anni i servigi di Helmuth Karl Bernhard von Moltke, che diventerà capo di stato maggiore dell’esercito prussiano per oltre 30 anni. Una consulenza, quella del prussiano, che sarà fondamentale per portare a termine la riforma.
Il vero obiettivo di questo articolo non è, però, fare una disamina approfondita della riforma, quanto riportare l’opinione dei militari europei su quest’ultima.
In particolare, mi sono affidato a quella del Capit. Cav. Cons. Oreste Brizi di Arezzo, espressa nel 1846 sul Giornale Militare Italiano e di Varietà (Primo Numero). La troverete, per intero, qui sotto:
Tra gli storici moderni c’è chi leva a cielo il Sultano Machmoud II qual riformatore dei costumi mussulmani, e c’è chi crede che le riforme abbiano indebolito d’assai l’impero osmano e debbano condurlo quando che sia all’estrema rovina; c’è chi lo accusa d’inumano per la distruzione dei terribili giannizzeri, e c’è chi non scorge in questa strage dei nemici di ogni novazione, una necessità e una giusta punizione dei loro delitti.
Nè noi ci erigeremo in giudici di queste disparate opinioni: solamente accenneremo che, a compiere quelle riforme e quella gran tragedia, ci voleva un uomo dotato di rara intelligenza, energia e fermezza come Machmoud, e che un uomo che si propone di civilizzare il suo popolo e vi riesce in parte anche a rischio di perdere il trono e la vita, merita gli elogi di tutto il mondo civilizzato, sebbene abbia dovuto valersi di mezzi violenti onde arrivare alla meta.
Prima fra le riforme cui diede mano Machmoud, vi fu quella della truppa, e poichè vide, specchiandosi nell’antecessore Selim, che le cose fatte per metà non reggevano, si decise a recidere senza rispetto alcuno le vecchie costumanze, facendo i suoi soldati, non solo simili agli europei, ma europei affatto, quanto almeno le circostanze lo richiedevano.
Non vogliamo per enumerare tutti i cambiamenti subiti dalla truppa nel volgere di pochi anni. Noi vogliamo mostrar lo tal quale è al presente e nulla più; onde trarne argomento per delle osservazioni, le quali se saranno di troppo meschine, ecciteranno forse altri a completarle, e così non sarà del tutto inutile il nostro povero articolo.
Secondo le più recenti e accreditate relazioni, la fanteria regolare ottomana è divisa in brigate, e ciascuna di esse è suddivisa in tre reggimenti di due battaglioni per cadauno, forti di sei compagnie di cento uomini. Tali reggimenti hanno i rispettivi Colonnello e Tenente-Colonnello e i Maggiori di destra e di sinistra, e, quando non appartengono alla Guardia Imperiale, prendono il nome dai propri comandanti. Ogni compagnia poi va fornita di Capitano e di Tenente come di Sotto-Uffiziali e di Graduati, mentre ogni brigata va fornita di banda musicale, di zappatori, di tamburi e pifferi, e di medici.
Fin qui della organizzazione: ora parleremo dell’equipaggiamento e dell’armamento. Semplicissima è la montatura della fanteria e cavalleria regolare ottomana. Essa si compone di un Fez o berretto di lana rossa, rotondo, privo di ornamenti e di tesa, e con una nappa celeste pendente dal centro della cupola; una divisa turchina senza falde, o giubbetto, agganciata nel mezzo del petto, e con una lista intorno alle manopole e al colletto, il cui colore distingue i diversi battaglioni; pantaloni blu con liste rosse ai lati; un paio di stivaletti all’europea, e di un cappotto alla russa.
Formano parzialmente eccezione a questa regola le Guardie Imperiali (Bostanji), l’assisa [divisa] delle quali è ornata di pettine alla Bonaparte, rosse, o celesti, o bianche a seconda dei reggimenti, gli Artiglieri, i quali soli invece del Fez portano una specie di sakò di feltro nero, senza tesa, più largo nella sommità che nella base, alto, coperto di rosso, e avente nel dinanzi uno scudo d’ottone attorniato dall’alloro, ove è scolpito il cannone per i cannonieri e il mortaio per i bombardieri; e la cavalleria, la quale ha l’uniforme arricchita con ricami all’ussera sul petto, al collo e alle mani, ricami che nell’uniforme degli uffiziali veggonsi in oro.
Gli uffiziali di fanteria però indossano un soprabito a due petti e un mantello, e portano gli spallini all’europea d’oro: ma il distintivo di qualsiasi grado nell’armata consiste in stelle e mezze lune cucite sull’abito, argentee, auree o brillantate a misura della elevatezza dei gradi stessi, meno la Guardia, ove i gradi conosconsi dalla materia e dai raggi di un sole, cucito ugualmente all’abito.
I Medici o Chirurghi vestono l’uniforme militare ma non portano spada di sorta. E posciachè siamo discesi alle armi, annunzieremo che i fucili della nuova truppa ottomana sono muniti di baionetta e press’a poco simili ai nostri; che i soli bassi-uffiziali e graduati hanno la sciabola appesa ad una tracolla di cuoio nero, (alla quale sciabola gli uffiziali van sostituendo mano a mano la spada), e che le giberne sono piccole, appese ugualmente ad una tracolla nera, e tenute fisse col mezzo di un cinturone di cuoio, chiuso nella parte anteriore del corpo da una placca d’ottone.
Resta ad aggiungersi a siffatta rapida rivista, che ciascun soldato ha di contro al dorso un sacco o valige all’europea, e che la teoria per le manovre è quella francese tradotta in turco; che i viveri somministrati alla truppa sono abbondanti e buoni, ma esigue le paghe; che il reclutamento e la capitolazione non sono periodici ma dipendono dalla volontà del Sultano, quantunque i più dei regolari sono volontari, e che gli istruttori vestono un’uniforme a loro piacimento, ma non hanno alcun grado militare.
Dalla esposizione benchè succinta di questo sistema, ne emergono agli occhi nostri le seguenti considerazioni, che non vogliamo omettere di fare. E anzi tutto, uniamo la nostra voce al grido generale condannando l’adozione del Fez, e perchè brutto a vedersi, e perchè non è atto a garantire la testa e gli occhi di chi lo porta dai raggi solari e dalle acque, e perchè oltre al cagionare frequenti emicranie e oftalmie ai soldati, non li difende per nulla dalle sciabolate nemiche, di che ebbero tremende e vane riprove nelle battaglie cui presero parte dopo l’infelice introduzione di tal leggerissimo berretto.
Ritenendo efficace l’addizione della sciabola all’armamento dei soldati tutti, tanto per i combattimenti a corpo a corpo, quanto per i bisogni degli accampamenti, e considerandola siccome finimento del militare uniforme, non sappiamo concepire la ragionevolezza di averne privato i comuni e i membri della classe medica, conforme (ritenendo che la spada sia un’arme più da parata che da offesa) non sappiamo persuaderci della tolleranza di lasciar gli Uffiziali in libertà di rimpiazzar la sciabola colla fragilissima spada.
Approviamo d’altronde il pensiero di provvedere alla stabilità della giberna, sulla qual cosa abbiamo replicatamente insistito anche prima che in Francia vi si ponesse mente, ma non approviamo il modo prescelto, giacchè aumenta la sempre scomoda buffetteria [oggetti di cuoio, come cinturoni, foderi e bretelle, destinati a rendere più agevole il porto delle armi e delle munizioni] e ritarda l’armarsi del soldato, e impedisce o rende più difficile il porto della giberna davanti onde servirsene meglio in guerra.
Ci sembrano infine troppo dispendiosi, contrastanti troppo con la semplicità della divisa, i sopraccitati distintivi sul petto, e inoltre ci sembra che abbiano più l’aspetto di Decorazioni che di distintivi di grado, epperò non ci piacciono, come non ci piace che il colore delle mostre indichi la diversità del battaglione, piuttosto che del reggimento o della brigata, potendo ciò generar confusione laddove abbisogna tutt’altro.
Ciò premesso, voglionsi additare alcune modificazioni, che, secondo noi, migliorerebbero la montatura della truppa ottomana, senza toglierle affatto il carattere presente. Compiangono alcuni l’abolizione del turbante, asserendo che ove lo si fosse reso più stabile colla cucitura delle sue bende, era la più bella e salutare acconciatura per la testa di un militare ottomano. Noi non siamo del medesimo avviso per varie ragioni sostanziali che non è qui luogo riportare, e crediamo ancora che, se il turbante armonizzava col grandioso abbigliamento alla turca non avrebbe punto armonizzato col succinto abbigliamento all’europea.
Nè opiniamo in favore del levantino Fez, ma poichè è diventato un simbolo di riforma, e poichè è quasi impossibile che gli si sostituisca per ora il conico caschetto basso alla francese, proporremmo di foderarlo di cuoio, di adattarvi una tesa o visiera con un cintolo o catenella da calarsi all’occorrenza sotto al mento, di adornarne la facciata con mezza-luna e la stella in metallo e di rimpiazzare la mappa con un pennacchietto turchino di pelo, sporgente un poco al di sopra dell’orlo della cupola e ricascante in avanti. Nel qual concetto, potrebbe ogni individuo dell’armata regolare far uso in caserma e altrove, come bonnet de police, di un piccolo Fez uguale a quello in uso attualmente ma più basso, e guarnito dalla luna e dalla stella in ricamo da portarsi in marcia ripiegato sotto la giberna.
Che se l’amore pel Fez non comportasse d’indurvi nessun cambiamento notabile, vorremmo almeno che all’esterno vi si apponessero soltanto la luna e la stella e un’orlatura blu onde riconoscerlo dal Fez civile, e che fosse munito all’interno di un’anima di cuoio onde riparare, se non gli occhi, per la mancanza della tesa, almeno il capo del soldato dal sole e dall’acqua, e fargli scudo contro ai colpi dei nemici. E lo stesso diciamo rispetto al sakò degli artiglieri, il quale, essendo più lungo in cima che in fondo, facilmente perde l’equilibrio e cade, ed essendo di feltro invece che di cuoio, non resiste abbastanza alle altrui percosse.
Proporremmo altresì per la truppa di fanteria, in luogo della montura corta, la tunica francese con le spalline e con una o due stelle sopra la loro piastra, indicanti i gradi di caporale o di sergente: la gonnella a pieghe della qual tunica, assomiglierebbe alle brache turche di primo modello che erano larghissime fino al ginocchio, e darebbe una certa grazia alla militare divisa.
Ma volendo pure non rinnovare relativamente la montatura o giubbetto dei comuni, ecc. e al soprabito a duplice bottoniera degli uffiziali, e volendo pur rispettare la preferenza musulmana per i fermaglietti (aggraffes) onde chiudere i loro abiti, si potrebbe ottenere una maggiore uniformità tra uffiziale e soldato arricchendo il giubbetto lateralmente alla sua apertura di due file di bottoni e di un roccetto alla tirolese sulla spalla, intorno all’attaccatura della manica, con un pezzo di panno pur rosso, situato inferiormente ad esso e fasciante la spalla medesima.
La guardia bensì potrebbe aver guarnito di frangia cotal pezzo di panno, e invece della pettina che non s’accorda col taglio del soprabito uffizialesco, potrebbe avere nel dinanzi dell’uniforme degli alamari [da “al amâra”, ossia “cordone“] di gallone fermati ai proposti bottoni. La grossezza del grillotto [ciascuno dei fili d’oro, d’argento o di seta di cui erano una volta fatte le spalline degli ufficiali o le frange dei rivestimenti di lusso] degli spallini poi potrebbe, a nostro avviso, distinguere gli Uffiziali generali dai Superiori e questi dai subalterni, mentre una o più stelle sulla piastra di quegli spallini dovrebbero formare l’unico distintivo del grado dei membri di ciascuna categoria,e mentre una o due stelle sul pezzo di panno cingente la spalla, dovrebbero distinguere il sergente dal caporale e questi dal comune.
Importantissima faccenda, degna delle più mature riflessioni, è l’armamento del soldato, e la maniera di renderne gli oggetti più comodi e maneggevoli. E noi non esitiamo un momento a dichiarare, esser sanissimo consiglio di armare i comuni, i graduati e i bassi-uffiziali di sciabola, da stare attaccata al fianco per mezzo di un cinturone chiuso con borchia e sovrapposto all’uniforme, il quale sarebbe a un tempo analogo e alla tunica e al giubbetto, e dovrebbe tener luogo, conforme praticasi adesso in Francia, di porta-giberna e di porta-bajonetta, dando agio di farvi scorrere la giberna stessa per condurla davanti al corpo nelle azioni guerresche ecc.
E sciabola, e giammai spada dovrebbero avere gli uffiziali tutti, non esclusi i sanitari, i quali non vanno mica esenti dal caso di doverla adoperare a propria difesa. Anzi, applicando qui ciò che suggerimmo nelle Osservazioni Sulla Milizia (Lucca Tip. Giusti 1839) e nelle Considerazioni Militari (Indicatore Pisano N.° 7. 1842), raccomandiamo le pistole per gli uffiziali (portabili in campagna dentro piccole ed eleganti fonde, appese al cinturone della sciabola) perchè crediamo proficuo di munire anco gli uffiziali pedestri di qualche arme da fuoco onde valersene alla circostanza e onde supplire all’arme bianca che può cadere o rompersi, e perché dessi non siano ulteriormente in peggior condizione degli uffiziali di cavalleria e dei subordinati.
Necessaria d’altronde diventa in allora una leggera gibernina, o cartuccera, che per i chirurghi dovrebbe contenere il picciolo astuccio da ferri e nei lati qualche cartuccia; frattanto che i grandi ferri più indispensabili dovrebbero, siccome accennai altra volta genericamente, esser fissati su una pelle, e questa arrotolata e inserita in un tubo cilindrico di ottone coperto di panno, da tenersi dietro la sella del cavallo a guisa di porta-mantello.
Aggiungeremo ora, qual corollario alle indicate cose, che se veramente peccano i novelli fucili ottomani in lunghezza e pesantezza, converrebbe toglier loro tali enormi difetti, e converrebbe pure ridurli a percussione adottando l’ultimissimo modello austriaco, da noi riscontrato eccellente; parendoci infine indispensabile di migliorare la forma delle giberne, quando sussista che in esse per cattiva fabbricazione penetri l’acqua e si conservino in modo inadeguato le cariche, e parendoci ben fatto di imitare la più parte degli stati europei anche nella giudiziosa abolizione degli inutilissimi pifferi.
È d’uopo da ultimo protestare che, ove fossimo incorsi in qualche errore di fatto, ciò deriverebbe non da noi, ma dall’erroneità delle opere dalle quali abbiamo attinto le notizie supponendole scrupolosamcnte veritiere, e che scrivemmo sopra tale argomento soltanto per addimostrare di non avere abbandonato i prediletti studi militari, e perchè siamo convinti basarsi precipuamente sur un esercito imponente la politica esistenza integrale dell’impero osmano, cotanto interessante al mantenimento dell’ equilibrio europeo.
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