Dalla provincia al thema: la grande versatilità dell’impero romano
Uno degli errori che spesso si commette immaginando l’impero romano è vedere la provincia come un’organizzazione statica, standardizzata, applicata sui territori appena conquistati secondo basi sempre uguali e che imponeva la propria struttura senza tener conto dell’eterogeneità culturale e politica del territorio sottomesso.
In realtà, non solo la struttura provinciale conobbe diverse modifiche nel corso del tempo, in seguito alle evoluzioni politiche della stessa Repubblica, ma ogni lex provinciae era stilata ad hoc per il territorio appena conquistato.
Ciò avveniva inizialmente per opera di un magistrato e dieci senatori, in seguito dallo stesso generale conquistatore. In più, ogni territorio presentava suddivisioni ulteriori a seconda della presenza di particolari aree, distretti speciali o città libere, le quali potevano godere anche della completa immunità di fronte all’imperium del magistrato, pur rimanendo sottomesse all’autorità romana.
La sovranità delle popolazioni locali veniva quindi parzialmente mantenuta, così come la loro cultura, che andava a contribuire al carattere cosmopolita dell’impero. Non va, infatti, ignorato che per imperium populi romani si intendeva un potere più universale, esercitato da Roma ovunque i romani facessero valere la loro egemonia politica e militare, senza un vero confine territoriale.
La provincia non era quindi semplicemente un territorio sottomesso e posto sotto controllo permanente, bensì una vera e propria estensione del sistema giuridico e amministrativo romano, atta a rafforzarne le fondamenta stesse e a garantirne la sopravvivenza.
Diretta e ovvia conseguenza dell’evoluzione del concetto di provincia fu il cambiamento del concetto di imperium, che andò sempre più legandosi alla figura di colui che lo deteneva, ossia il magistrato posto a capo della provincia stessa.
Ne è un ottimo esempio la lenta e difficile conquista della penisola iberica, la quale mostra quanto il vecchio ordine provinciale non fosse all’altezza delle nuove necessità: la grande vastità del territorio invaso, la durata delle campagne militari sempre maggiore o il semplice grande dispendio di uomini e risorse.
Situazioni simili, insieme alla necessità di controllare sempre più regioni, portarono all’ingrandimento della macchina romana, con la crescita del numero di pretori, che da due divennero quattro, poi sei e sotto Silla otto (82 a.C.), accompagnata inoltre dall’aumento della durata dell’incarico a non meno di due anni (dal 193 a.C.) con possibilità di proroga.
Il tutto portò alla nascita del governatore di provincia come lo immaginiamo oggi, ossia un magistrato in carica per un certo periodo con il compito di gestire una determinata area geografica e i cui incarichi andavano dal comando delle truppe per compiti di difesa o conquista (quest’ultima solo dietro decisione di popolo e senato), fino all’amministrazione della giustizia e riscossione delle imposte.
Anche in questo caso però, la situazione variava a seconda dell’area: nei territori orientali, più civilizzati e dotati spesso di strutture giuridiche già funzionanti, il governatore poteva decidere di intervenire solo se necessario e lasciare così piena autonomia alle autorità locali.
Similmente, le imposte non erano mai uguali in tutto l’impero, ma variavano a seconda della volontà del singolo governatore, che aveva il compito di facilitarne la riscossione. L’amministratore romano non va confuso con un sovrano locale o un feudatario, con diritti personali sulle terre governate, ma va immaginato come il rappresentante di un potere più grande, quello di Roma, un’autorità superiore che interveniva là dove avesse visti minacciati i propri interessi, sebbene venisse spesso convocata dai centri abitati locali per risolvere questioni particolarmente accese che questi faticavano a gestire.
Discorso simile vale per l’impiego delle truppe romane su suolo provinciale. Le legioni, così come le truppe ausiliare, non rientravano nel tessuto militare della provincia, ma erano, come il governatore, garanti dell’egemonia romana nella regione, contro pericoli sia esterni sia interni. I compiti di polizia, gestione di piccole rivolte o pattugliamento delle zone abitate, erano comunemente delegati alle forze delle stesse città, mentre l’esercito tendeva a intervenire solo quando strettamente necessario sulla base di una strategia tipicamente romana, che puntava al massimo risparmio di forze.
Quindi la provincia, insieme all’imperium del governatore, risultava essere un intricato sistema che serviva alla gestione di una ben determinata quantità di risorse, comprendenti truppe, imposte, commercio, costruzioni e qualunque altro tassello andasse a formare l’imponente impianto statale romano, la cui forza si spingeva ben oltre l’aspetto geografico.
La sempre maggiore complessità dei compiti governativi portò all’allargamento del numero di figure responsabili della corretta gestione della provincia, quali i legati, di rango senatorio, o i questori, il cui compito era però anche quello di controllare l’operato del governatore, per assicurarne l’obbedienza a Roma e per evitare abusi sulle popolazioni locali o sui magistrati minori, che a loro volta portarono alla nascita di appositi organismi.
Nel 149 a.C. vi fu l’istituzione, per volontà del tribuno della plebe L. Calpurnio Pisone, della quaestio perpetua de repetundis, tribunale speciale per i processi per concussione. Era comunque impossibile avere certezze circa l’operato degli amministratori provinciali, troppo lontani da Roma per essere efficacemente controllati in tempi rapidi, senza contare che con l’ampliarsi del prestigio derivato dal controllo di una provincia aumentava proporzionalmente anche l’influenza di chiunque fosse riuscito a ottenere un simile potere.
Quella che si andò delineando fu una situazione in cui gli interessi dei magistrati romani entrarono in conflitto: da un lato era necessario mantenere stabile l’egemonia romana fuori dall’Italia, onde evitare divisioni interne che ne minassero l’autorità, ma dall’altra parte l’immensa influenza che si poteva conquistare con la provincia andò indebolendo il nucleo amministrativo romano, disseminandone il potere tra i vari generali vittoriosi nel corso del tempo, come Silla, Pompeo o Cesare. Proprio questi ultimi due furono artefici di numerose leggi che modificarono la durata o l’importanza delle cariche provinciali, ma ormai l’obbiettivo era l’indebolimento del rivale.
Sarebbe stata necessaria l’ascesa di Ottaviano e la nascita del principato per perfezionare ulteriormente il ruolo della provincia. I cambiamenti augustei erano finalizzati più a garantire al princeps un maggior controllo su eventuali oppositori, con la suddivisione delle provinciae in imperiali e proconsolari, nell’effettuare la quale Augusto tenne per se stesso le aree contenenti il maggior numero di legioni, al fine di evitare che qualche governatore ottenesse abbastanza gloria personale da sfidarlo. Questo sistema riuscì a mantenersi piuttosto stabile fino alla crisi del III secolo, un momento di forte cambiamento interno per l’impero.
La dipendenza del potere dall’esercito, le cui simpatie verso un generale piuttosto che un altro potevano far cadere imperatori e contemporaneamente sguarnire le frontiere imperiali durante i tanti scontri interni, portò a un punto di svolta nella storia romana: il regno di Diocleziano.
Di fronte alla facilità con cui gli imperatori venivano rimpiazzati, il cui apice era stata proprio l’anarchia militare da cui egli stesso era uscito vittorioso, il nuovo sovrano rispose con il rafforzamento dell’autorità imperiale e l’indebolimento degli organi secondari, a partire dal Senato, che passò sempre più in secondo piano, divenendo un semplice ente burocratico al servizio del dominus.
La riforma di Diocleziano avrebbe innescato un lungo processo durante il quale l’imperatore sarebbe diventato sempre più potente, arrivando a soverchiare definitivamente quegli organismi che prima ne condizionavano il potere. Georg Ostrogorsky definisce il suo regno come il punto di partenza dell’autocrazia bizantina, nella quale l’amministrazione statale si concentra totalmente in mano all’imperatore, con conseguente ampliamento dell’apparato burocratico a sfavore delle vecchie magistrature romane.
Nell’ampliare il potere del dominus, però, Diocleziano puntò anche a limitarlo territorialmente, tramite la divisione dello stesso in quattro parti. Alcuni studiosi suggeriscono che in realtà il frazionamento dell’impero non fosse stato intenzionale ma chel’imperatore, con grande lungimiranza, abbia preferito formalizzare una situazione che si stava già andando a creare da sola. Tale decisione avrebbe portato all’organizzazione territoriale passata alla storia come tetrarchia, termine comunque postumo e mai impiegato dall’imperatore.
Il nuovo assetto portò Diocleziano a compiere un gesto molto importante per la futura pars orientalis dell’impero; dopo aver nominato Massimiano suo Cesare, il dominus spostò la sua residenza imperiale a Nicomedia, in Bitinia, molto vicino alla futura Costantinopoli, mentre a Occidente la capitale divenne Milano. La principale conseguenza era che, se da un lato si toglieva a Roma il titolo di residenza abituale dell’imperatore, dall’altro veniva dato prestigio e importanza maggiore alle province orientali, considerate economicamente più solide e prossime a minacce maggiori, essendo l’impero persiano ricco e ben organizzato, a differenza dei germani, visti, in parte a torto, come facilmente gestibili.
Le provinciae vennero rimpicciolite e racchiuse in aree più grandi, le diocesi, poste sotto il controllo di vicarii dell’imperatore, a testimonianza della necessità di tempi di reazione più rapidi sulle singole aree. A ciò si aggiunse la divisione dell’esercito in unità più piccole, per evitare colpi di stato da parte di generali con seguiti troppo ampi e ottimizzare un sistema difensivo che, con il fallimento del limes come “muro invalicabile”, si basava sempre più su una difesa dinamica, caratterizzata dallo spostamento del grosso delle truppe in posizioni interne rispetto al confine e dallo sfruttamento della superiore logistica imperiale come vantaggio sugli aggressori.
L’impero era nuovamente saldo e riorganizzato, in grado di reagire con maggiore elasticità alle nuove esigenze. É ironico notare come nel suo desiderio di restaurare la compagine imperiale, riportandola ai fasti di un tempo, Diocleziano abbia finito con il creare un sistema così diverso da quello originario.
La provincia, la cui estensione era spesso legata al territorio precedente la conquista romana, fu modernizzata, e lo stesso sistema augusteo venne abolito. Aree geografiche da sempre identificate come singole, quali l’Acaia o la Macedonia, furono per la prima volta da secoli divise in territori minori.
Con il fallimento del sistema tetrarchico e il regno di Costantino I, vennero gettate le fondamenta della futura ideologia dell’impero orientale, a partire dalla fondazione della stessa capitale d’Oriente, Costantinopoli, insieme alle nuove riforme volute dall’imperatore. Sebbene sia solito vedere Costantino come l’antitesi di Diocleziano, il dominus buono dopo quello cattivo, basta osservare l’intero percorso storico dei due sovrani per capire come il nuovo imperatore non si sia mai distaccato, nell’idea riformatrice, dal procedimento iniziato con il suo predecessore.
Al contrario, quasi tutti provvedimenti presi da quest’ultimo furono continuati e migliorati dal secondo, a partire dalla riorganizzazione dell’esercito: già ridotto in reparti meno numerosi da Diocleziano, fu diviso definitivamente in limitanei e comitatensi, dove i primi erano le tradizionali truppe di frontiera, i secondi reparti meglio armati insediati nelle città dell’entroterra.
Anche la suddivisione territoriale proseguì l’operato dioclezianeo, con la differenza che Costantino fu più cauto e la perfezionò: invece di dividere l’impero in quattro vaste aree in mano a imperatori con potere leggermente limitato, egli preferì creare prefetture altrettanto vaste, che inizialmente oscillarono tra le tre e le cinque, per poi attestarsi a quattro, finendo con il ricalcare quasi perfettamente la suddivisione tetrarchica; ogni area era però posta in mano a un prefetto del pretorio, con poteri enormemente limitati. Lo stesso sistema delle diocesi venne mantenuto, così come la figura del vicario, senza grosse modifiche.
La riforma dioclezianea-costantiniana diede nuova forza all’amministrazione territoriale dell’impero, mantenendosi salda persino dopo la disfatta di Adrianopoli e il moltiplicarsi dei foederati germanici all’interno dei confini imperiali.
Ma la grande riorganizzazione territoriale sarebbe giunta molto più tardi, partendo da necessità puramente militari; in particolar modo in seguito alla grande espansione degli Arabi e alle gigantesche migrazioni degli Slavi, popolo originario del territorio tra Dnestr e Dnepr, che inondò la penisola balcanica nel VI-VII secolo.
L’enorme pressione a Oriente e la quasi totale perdita dei Balcani a Occidente richiesero un nuovo sistema di reclutamento, legato alla necessità di arruolare soldati localmente, evitando così le dispendiose truppe mercenarie in cambio di un esercito più economico, affidabile e radunabile in tempi brevi. Gli Slavi passarono così da pericolo a risorsa, trattandosi di un popolo numeroso ma politicamente disorganizzato, diventando un eccellente bacino di reclutamento per le armate imperiali.
Mentre a Est l’utilizzo di questi eserciti di contadini, che portarono alla nascita dei primi themata, era legato alla semplice necessità di affrontare con più efficienza gli Arabi, a Ovest la questione era più complessa. Il fatto che si senta parlare per la prima volta di thema di Tracia nel 687, poco dopo la sconfitta subita dall’imperatore Costatino IV contro i Bulgari, non è una coincidenza.
Il regno bulgaro era potente, ma soprattutto era il primo vero rivale occidentale da secoli, l’unico capace non solo di sconfiggere sul campo gli eserciti imperiali, ma soprattutto di influenzare a sua volta il vasto popolo slavo; da qui la necessità di rafforzare la propria presenza nella penisola balcanica, che portò Romei e Bulgari a un lungo braccio di ferro.
Sebbene il sistema tematico sia stato da molti studiosi (Ostrogorsky e Treadgold i più celebri) descritto come l’operato di un singolo imperatore, per esempio Eraclio o Costante II, è la teoria gradualista quella maggiormente valida, che vede l’ordinamento tematico come qualcosa in costante evoluzione, ufficializzato dagli imperatori come un’organizzazione territoriale solo in un secondo momento.
Si prenda in esempio il già citato thema di Tracia: l’imperatore Costantino IV era da poco stato sconfitto e la minaccia bulgara era arrivata all’apice della sua pericolosità, Costantinopoli non godeva di una presenza salda nei Balcani e la popolazione slava era fortemente inaffidabile, visti i tentativi bulgari di portarla sotto la propria influenza. L’imperatore Giustiniano II inviò allora in Tracia un thema, termine che definiva un distaccamento militare:quindi, con “thema di Tracia”, si intendeva semplicemente l’invio di un esercito a guardia della nuova frontiera.
Lo stesso thema successivo, quello degli Elladici, creato nel 695, era probabilmente un semplice distaccamento militare schierato strategicamente nella regione, essendo il controllo imperiale sui Balcani ancora troppo esiguo per giustificare una vera riorganizzazione territoriale. È quindi probabile che il compito di tali eserciti fosse garantire l’egemonia militare romana nell’area, per tenere la porta aperta a future e più massicce spedizioni. Di sicuro, le armate imperiali trassero sin da subito giovamento nell’arruolare le grandi masse slave, il cui reclutamento fu una risorsa preziosa per tutto l’impero, testimoniato anche dalle grandi deportazioni slave nei territori asiatici, spopolati dalle guerre.
L’arruolamento in loco dei contadini è la caratteristica centrale dell’ordinamento tematico, il quale garantiva a Costantinopoli notevoli vantaggi, a partire dall’abbattimento dei costi, dal momento che ogni contadino-soldato, o stratiota, era tenuto ad armarsi a proprie spese, eventualmente sostenute dall’intero villaggio; la garanzia di avere sempre truppe pronte a difendere ogni territorio dell’impero, abbandonando così i costosi mercenari; la ferrea motivazione che tali soldati avrebbero dimostrato, essendo il territorio da difendere lo stesso da cui provenivano; senza contare il maggior accentramento del potere a discapito dell’aristocrazia terriera, che si vedeva togliere terre destinate ai futuri soldati.
Solo dal secolo VIII, con la ripresa totale dei Balcani da parte bizantina, si può iniziare a parlare del thema come di una circoscrizione territoriale ben delineata, caratterizzata dalla presenza di stratioti pronti a servire Costantinopoli in cambio di terra da coltivare liberamente. Il completo controllo che l’impero esercitava ora nelle sue regioni balcaniche portò a un netto cambiamento dello scenario occidentale. Era nuovamente necessario, nel IX secolo, un limes, un vero confine simile a quello precedente gli stessi Slavi, caratterizzato quindi da fortificazioni e guarnigioni che permettessero di decidere fin dove un esercito rivale potesse spingersi prima di essere considerato ufficialmente ostile.
La fusione dell’elemento slavo con quello ellenico e la diffusione dei themata ebbero lo scopo di trasformare quella che fino ad allora era stata una regione gestita silenziosamente, in base alle necessità imperiali, in un’area di controllo diretto, posta in mano a funzionari e strateghi e opportunamente militarizzata.
Una domanda sorge spontanea: e il vecchio sistema provinciale romano? Essendo il sistema tematico un’evoluzione decennale, se non secolare, che fine hanno fatto le vecchie provincie in tutto quel periodo? La risposta è da ricercarsi nell’eparchia, area territoriale che viene spesso nominata da Costantino VII Porfirogenito nel De Thematibus, come qualcosa di diverso dal thema. Se quest’ultimo stava a indicare la particolare unità militare e territoriale, la seconda aveva un significato molto più semplice e diretto, trattandosi del corrispettivo ellenizzato della provincia romana.
Il fatto che l’imperatore Costantino utilizzi questo termine può avere due spiegazioni: nel primo caso potrebbe significare la completa fusione del concetto di thema a quello di eparchia, il che li renderebbe sinonimi, e quindi legherebbe definitivamente il thema alla provincia, andando a segnare la completa evoluzione del primo, svincolato del tutto dal significato originale, puramente bellico; nel secondo caso, il fatto che il termine eparchia compaia all’interno della descrizione del thema, per esempio all’inizio degli elenchi di città, e non come definizione dello stesso, dimostrerebbe un netto distacco tra i due termini.
Tenendo conto che, nel caso del thema di Durazzo, Costantino ha suddiviso le città della regione in quattro eparchie ben distinte, come quella della Dacia interna o della Pannonia, si è portati a considerare la prima spiegazione meno valida, a meno che nel X secolo thema ed eparchia non fossero effettivamente sinonimi.
In caso contrario, il thema potrebbe, dunque, indicare unicamente la struttura militare dell’eparchia e quest’ultima, a differenza della controparte romana, sarebbe a sua volta completamente legata al sistema tematico, essendo gli stessi contadini abitanti l’eparchia parte integrante di tale sistema. Volendo “romanizzare” la terminologia per offrire un paragone più rapido, si dovrebbe immaginare una provincia strettamente legata alla legione. Al punto da potersi riferire alla provincia stessa semplicemente parlando della legione operante su di essa.
Nello stesso modo l’eparchia, unità territoriale e amministrativa, abitata da contadini regolarmente arruolati nel thema locale, vide il proprio valore amministrativo inglobato da quest’ultimo, il quale a sua volta diventò garante diretto dell’amministrazione e della difesa dell’eparchia; si arrivò così a utilizzare il solo termine thema, con valenza sia amministrativa che militare.
Questa militarizzazione del sistema provinciale andrebbe, inoltre, a coincidere perfettamente con le necessità storiche di Costantinopoli. Le guerre incessanti furono, per l’impero, una perenne alternanza tra lotta per la sopravvivenza e momenti di completa egemonia. L’organizzazione tematica fu uno dei principali pilastri che permisero a Costantinopoli di imporsi così a lungo in un contesto storico che avrebbe facilmente annichilito qualunque potenza dell’epoca.
La fine dei themata come circoscrizioni territoriali venne causata principalmente dalla presa di potere dell’aristocrazia terriera, dopo la fine del regno dell’imperatore Basilio II. La privatizzazione delle terre portò i contadini locali a diventare semplici servi senza alcun possedimento, incapaci di procurarsi da soli l’equipaggiamento militare. La fondamentale figura dello stratiota, il contadino-soldato, scomparve, costringendo l’impero a impiegare nuovamente costosi eserciti mercenari e rendendo l’intera organizzazione tematica completamente superflua.
Bibliografia:
- Roma e le sue province, Dalla prima guerra punica a Diocleziano, A cura di Cesare Letta e Simonetta Segenni
- P. Veyne, L’impero greco-romano, Le radici del mondo globale
- G. Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino
- P. Southern, The roman empire from Severus to Costantine
- R. Van Dam, The roman revolution of Costantine
- D. Obolensky, The Byzantine Commonwealth
- F. Conte, Gli Slavi, Le civiltà dell’Europa centrale e orientale
- Jean-Claude Cheynet, Il mondo bizantino, L’impero bizantino (641-1204)
- Costantino Porfirogenito, De Thematibus, a cura di A Pertusi, Biblioteca apostolica vaticana, 1952
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Complimenti per l’articolo, molto interessante.
Ho notato, che quando quasi tutti gli imperi iniziano a fare un uso massiccio di mercenari, si avviano verso la decadenza. Molto meglio, risulta la tattica di assimilazione culturale e politica di popolo già presente nel territorio, rendendolo da ostile a più amico, invece che il ricorso a costose truppe mercenarie poco affidabili.