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Omar ibn Hafsun, il Ribelle che Fece Tremare al-Andalus

Nel personaggio di Omar ibn Hafsun troviamo ribellione, guerra e acume politico. Una storia poco conosciuta ma di grandissimo interesse.

Reinhart Dozy, nella monumentale opera sulla Spagna islamica non riesce a nascondere i suoi numerosi preconcetti riguardo al carattere ribelle e quasi anarchico degli andalusi.

Realisticamente, le sue credenze hanno più il sapore di un’acredine immotivata che di una conoscenza profonda dell’anima di quel popolo, ma spesso nell’immaginario collettivo la percezione (soprattutto negativa) di un fenomeno sovrasta di gran lunga la realtà dei fatti.

Sociologi, antropologi e anche gli storici contemporanei avrebbero molto da ridire sui giudizi sprezzanti dello studioso olandese, ma è pur vero che nel XIX secolo non era insolito ritrovarne addirittura di peggiori. Fu proprio quella l’epoca in cui si forgiarono i più tenaci stereotipi che ancora oggi resistono tormentando la storia della Spagna nell’Età Moderna.

Bandoleros, picaros e monfies affollano con la loro presenza le pagine della letteratura (autoctona e di importazione) di quella regione del paese e sarebbero l’esempio incontrovertibile dell’indomita e atavica ritrosia a sottomettersi all’ordine costituito.

Certo, i fuorilegge spagnoli furono numerosi e presenti fino all’età contemporanea, ma troppo spesso, nei loro riguardi, è stata operata una trasformazione che ha finito per convertire la realtà storica in eroismo romantico. Tra i tanti, quello di cui ci occuperemo ha però caratteristiche alquanto particolari ed insolite, a cominciare dall’epoca in cui è vissuto, a cavallo tra il Nono e il Decimo secolo.

Il luogo che fa da cornice alla sue audaci incursioni di personaggio a metà strada tra lo statista e il bandito è l’al-Andalus degli Omayadi. Stiamo parlando di Omar ibn Hafsun, soggetto dalle origini piuttosto oscure appartenente a una famiglia di muladies, cristiani che da generazioni si sono convertiti all’islam.

Il giovane Omar è un tipo decisamente irascibile e le sue spigolosità caratteriali finiscono per coinvolgerlo spesso in alterchi e risse che ne induriscono ancora di più la natura. Si racconta che, proprio in una di queste colluttazioni, abbia ucciso un suo avversario. Nel tentativo di sfuggire alla giustizia, si rifugia nell’Africa del Nord, lavorando come apprendista nel laboratorio di un sarto.

Ritorna in territorio iberico quando gli si presenta un vecchio, anch’egli andaluso, che lo riconosce e gli profetizza un eccezionale destino da condottiero. Una volta in patria (880-881), Omar trova rifugio, assieme ad alcuni compagni, in una antica ed inespugnabile fortezza di epoca romana ubicata nella Serrania di Ronda, da cui può dominare e saccheggiare i territori circostanti: Bobastro.

bobastro
Ricostruzione di Bobastro nel IX secolo

I successi ed il bottino accrescono notevolmente sia la sua fama che il numero di uomini che al suo comando. Ben presto, si ritrova in condizione di poter assaltare direttamente le città dei dintorni.

Dalla corte di Cordoba arriva l’ordine di estirpare questa spina nel fianco che, con le sue continue incursioni, provoca gravi problemi alle istituzioni del regno. Il governatore locale gli si contrappone con un esercito, ma subisce una grave sconfitta e deve ritirarsi precipitosamente per salvarsi la vita.

Un secondo assalto, tentato dallo stesso sultano, non ha miglior fortuna. L’impossibilità di avere la meglio su Omar, lo costringe a chiedere una tregua che dura all’incirca tre anni. Un terza spedizione porta a risultati migliori: finalmente Omar viene catturato e condotto a Cordoba.

Stupefatto dalle abilità militari dimostrate, nell’883 il sultano Mohammad I gli propone di arruolarsi nel suo esercito regolare in procinto di partire per una campagna contro il regno di León e la tribù ribelle dei Banu Casi, che si è alleata con con i cristiani. Anche in questa occasione, Omar ibn Hafsun si distingue per coraggio e valore, tanto da conquistarsi l’ammirazione e la stima del primo ministro Hakim. Per ogni nuovo alleato ci sono, però, nuovi nemici.

Omar suscita presto l’invidia di altri funzionari ostili ad Hakim e, una volta rientrato a Cordoba, iniziano a vessarlo e a oltraggiarlo pubblicamente. Offeso ed amareggiato per l’ingiusto trattamento ricevuto, abbandona la città per fare ritorno alla sua fortezza, che nel frattempo è stata occupata da un presidio di truppe del sultano (884).

Con un’operazione fulminea, riusce a cacciare gli occupanti e a riprendere il controllo su gran parte dei territori sud-occidentali di al-Andalus. Viene descritto come una capo autoritario, ma giusto, sempre in prima linea coi suoi uomini – coi quali condivide onestamente tutto il bottino – che provavano per lui un rispetto al limite della venerazione.

L’esercito omayade non ha la capacità di opporsi al ribelle fino all’886, anno in cui viene organizzata una spedizione con lo scopo di riconquistare alcuni importanti insediamenti sfuggiti al controllo statale. Sotto assedio a Bobastro, Omar riesce a respingere il nemico grazie a una rocambolesca sortita e alle successive difficoltà logistiche dell’armata omayade, dovute alla morte improvvisa di Mohammad I. La transizione politica diventa per Omar una circostanze propizia per estendere ulteriormente i suoi possedimenti e il controllo su altre fortezze, che lo riconoscono come sovrano.

Il nuovo sultano al-Mundir si rivela un osso assai più duro rispetto al suo predecessore. Sentendosi in condizione di poter annientare definitivamente i focolai di ribellione, muove nuovamente contro Hafsun e le sue città alleate, ad iniziare da Archidona. Omar corre in loro soccorso, ma è conscio di non poter contrastare direttamente un nemico così organizzato fuori da Bobastro. Agisce, quindi, d’astuzia.

Fa sapere al sovrano di essere nuovamente disposto non solo alla resa, ma addirittura a trasferirsi a Cordoba con tutta la sua famiglia, a patto che gli vengano forniti un centinaio di muli per poter trasportare i suoi averi fino alla capitale.

Il sultano, non senza una buona dose di ingenuità, acconsente e ordina di redigere immediatamente i termini del trattato di pace. Nottetempo, però, Hafsun riusce ad allontanarsi dall’accampamento di al-Mundir. Assalta la scorta che sta conducendo gli animali a Bobastro e se ne appropria prima di richiudersi nella fortezza. Roso dalla rabbia, il sultano giura vendetta, ma il destino ha in serbo per lui una brutta sorpresa. Suo fratello Abdallah, intenzionato a sottrargli il trono, ordisce per farlo avvelenare.

Il fratricidio avviene senza grossi problemi. Appena venne messo al corrente della morte del fratello, Abdallah si muove da Cordoba per raggiungere l’accampamento e farsi riconoscere come nuovo sovrano. La notizia dell’improvvisa scomparsa di Mundir getta i soldati in un profondo sconforto e Hafsun approfitta dell’insperato colpo di fortuna per attaccare l’esercito assediante.

Il povero Abdallah si affretta a chiedere un armistizio che Omar, forse per rispetto nei confronti sovrano scomparso, accetta. Il nuovo emiro riusce a riportare nella capitale, oltre al corpo del fratello, solo un piccolo e sparuto gruppo di militari fedeli. La crisi dello stato omayade è ormai profonda ed evidente, mentre la stella di Omar ibn Hafsun brilla luminosa come non mai.

La scelta di non approfittare immediatamente ed in maniera decisa della profonda crisi in cui è precipitato l’emirato Omayyade rappresenta forse l’errore fatale commesso da Hafsun nel corso la sua parabola politica. Non trae il giusto vantaggio, infatti, dal disfacimento in atto e preferisce patteggiare una tregua con Abdallah in cambio del suo riconoscimento come governatore di Archidona, incorporata nei possedimenti del Omar.

Anche questa volta la fedeltà promessa non dura a lungo e si ritrova nuovamente assediato a Bobastro nell’889. Lo stesso anno in cui matura la decisione di abbandonare l’islam e convertirsi al cristianesimo, la religione dei suoi avi, facendosi battezzare con il nome di Samuel.

Nel tempo Omar è riuscito a tessere una fitta trama di relazioni ed alleanze con numerosi potentati musulmani ostili alla dominazione Omayyade. La decisione di abbandonare l’Islam gli alienano, tuttavia, la fiducia di molti seguaci, che non la comprendono e la bollano come un tradimento. Le numerose defezioni che iniziarono a prodursi nel suo schieramento non lo dissuadono però dal tentare una spregiudicata azione militare diretta contro la stessa Cordoba (890).

Abdallah è però riuscito a superare il momento critico e ha riorganizzato l’esercito, e riesce a sconfiggere Hafsun nei pressi dell’odierna Aguilar de la Frontera. La disfatta comporta un significativo avanzamento delle truppe dell’emiro, che riuscono a strappare al ribelle numerose fortezze e ad assediare inutilmente Bobastro (893).

Nei sei anni successivi si producono una lunga serie di scontri frontalieri, ma la potenza di Hafsun sembra ormai destinata a un inevitabile declino. Ne 912 muore Abdallah e al suo posto si insedia il nipote Abd Al-Rahman III, il più illustre e potente personaggio prodotto dalla sua dinastia. Il nuovo sovrano riprende le ostilità senza però riuscire a piegare Hafsun, che verrà sconfitto solo dalla morte, nel 917.

La sua scomparsa accelera vistosamente la decomposizione del regno cristiano ricostituito nel cuore di al-Andalus. Suo figlio Jafar riesce a farlo sopravvivere ancora per circa undici anni prima di essere definitivamente annientato.

Bibliografia

  • Dozy R., Historia de los musulmane de España, Ediciones Turner, 1989, 3 voll.
  • Ladero Quesada M. A., La formación medieval de España: Territorios. Regiones. Reinos, Alianza Editorial, 2014
  • Sánchez Saus R., Al-Andalus y la cruz, Stella Maris Editorial, 2016
  • Reinhart Dozy, Historia de los musulmane de España, Ediciones Turner, 1989, 3 voll.

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