L’Esercito di Carta: la Milizia Farnesiana tra Istituzione Militare e Controllo Sociale (1545-1646)

Nel 1581, Ottavio Farnese istituì una milizia non professionale per costruire e migliorare il rapporto con la popolazione del Ducato di Parma e Piacenza.

Durante il XVI secolo si sviluppò in Italia un progetto comune ai principati di tutta la penisola indipendentemente dalla loro natura politica. Signorie e repubbliche si adoperarono per allestire ordinamenti militari, o migliorare quelli preesistenti, fondati sulla partecipazione dei sudditi. Questo progetto trae le proprie basi dalle milizie ampiamente diffuse durante il periodo Comunale, che facevano della mobilitazione armata dei cittadini, il loro punto di forza.

Il ricorso a questa tipologia di forze venne progressivamente meno durante il XIII e XIV secolo con l’affermarsi delle forze di professionisti mercenari. La forte ripresa del concetto di cittadino-soldato si ebbe durante il Rinascimento con gli scritti sull’arte della guerra dello statista fiorentino Niccolò Machiavelli. Egli contrappone la fedeltà del suddito che impugna le armi, solamente in casi di estrema necessità, per la difesa dell’onore del proprio principe, ai soldati di mestiere, che invece sono alla continua ricerca del conflitto poiché da esso traggono i loro guadagni[1].

Questo concetto fu utilizzato per la creazione delle ordinanze fiorentine, concepite proprio dallo stesso Machiavelli nel 1506. Le milizie dovevano trarre la propria base di reclutamento tra i sudditi di Firenze, che avrebbero dovuto essere addestrati all’utilizzo delle moderne armi e tecniche in voga sui campi di battaglia così da poter soppiantare completamente il ricorso ai mercenari. Nonostante le milizie fiorentine diedero pessima prova di sé sul campo, la teorica concepita dall’intellettuale fiorentino ebbe il merito di spronare i potentati italiani ad adottare l’idea del cittadino-soldato portandoli ad allestire ordinamento militari non professionali. Questo fenomeno sanciva la nascita delle milizie territoriali che, seppur sorte in realtà statali diverse, erano accomunate da alcuni tratti quali la creazione di una struttura di comando permanente, la realizzazione di una normativa dedicata alle armi non professionali, la concessione di privilegi ai miliziani e il continuo insistere da parte delle autorità sull’addestramento dei coscritti.

Tutte queste caratteristiche contribuirono nel trasformare queste strutture militari in realtà durature dotate di una propria organizzazione. Tuttavia, lo sviluppo delle armi proprie non avvenne contemporaneamente in tutti i potentati italiani. Precursore dei tempi fu la Serenissima Repubblica di Venezia, che già sul finire del Quattrocento disponeva di formazioni di sudditi in armi, mentre chiuse questo lungo processo nella prima metà del Seicento, lo Stato di Milano durante la dominazione spagnola. La maggior parte dei domini nella penisola andò creando le proprie istituzioni militari non professionali nella seconda metà del Cinquecento.

Questo fu il caso dei Farnese, appena insidiatesi nel neonato Ducato di Parma e Piacenza. Elemento di primaria importanza fu lo scenario geopolitico ove andavano a collocarsi i neonati domini farnesiani. Il Ducato finiva per posizionarsi in quel complesso scacchiere che era il nord Italia nella prima metà del XVI secolo. La realtà, con cui dovettero confrontarsi i Farnese, era il risultato di una evoluzione sul lungo periodo che aveva premiato, e valorizzato, nel corso del tempo, una funzione eminentemente militare.

Nei territori del Piemonte, passando per la Lombardia, fino a raggiungere le coste del mare Adriatico venne creandosi un corridoio della massima importanza strategica che nel corso dei secoli fu ampiamente utilizzato non solo per scopi civili come il commercio ma di frequente fu strada di transito anche per soldati. Non deve sorprendere che molte delle città del luogo, fondamentali strategicamente o politicamente, furono ampiamente fortificate né che molto spesso tali zone divennero teatri bellici.

In questa ottica, la carriera militare era stata ampiamente utilizzata nell’area padana già dal XV secolo, dalle dinastie locali, non solo per ricavarsi una propria signoria, ma anche per conservarla ed espanderla occupando nuovi territori. I Farnese, al pari di molti altri sovrani dell’Italia settentrionale, vantavano una forte tradizione militare che affondava le proprie radici già nella prima metà del Quattrocento.

Questo può sicuramente contribuire a giustificare la cura che i duchi di Parma e Piacenza prestarono alle strutture e agli ordinamenti che potevano garantire la difesa della Stato, ovvero alle opere di fortificazione e in special modo verso gli ordinamenti della milizia che nel corso del tempo furono costantemente innovati, nel tentativo di rendere la struttura militare sempre più funzionale e regolata.

La creazione della milizia nel Ducato di Parma e Piacenza derivò dal periodo di instabilità successivo all’assassinio di Pier Luigi, primo principe, nel 1547. Lo Stato farnesiano rischiò di essere fagocitato da potenze maggiori come l’Impero e il papato. Fu solamente grazie all’impegno politico e militare del figlio di Pier Luigi, Ottavio, che il Ducato sopravvisse. Il nuovo sovrano comprese che era necessario elaborare un progetto in grado di garantirgli la conservazione del proprio principato: così nacque l’ordinamento miliziano del 1581[2].

Ottavio Farnese

Coerentemente con quanto stava avvenendo nel resto delle realtà italiane, ed in quella europea, il duca manifestò la volontà di creare una struttura militare non professionale nella quale coinvolgere i propri sudditi per disporre di una riserva di armati, con un minimo d’addestramento, che poteva essere mobilitata in caso di necessità, e che soprattutto risultava certamente più economica rispetto all’assoldamento di soldati di mestiere.

Cionondimeno, il regolamento promulgato da Ottavio rilegava in secondo piano questa funzione prettamente militare della milizia, lasciando di fatto tutto il potere organizzativo e gestionale nelle mani dei capitani, per favorirne invece il ruolo politico e sociale. Per il principe era fondamentale guadagnarsi la fedeltà dei propri sudditi, ed in special modo della nobiltà locale, e questo poteva avvenire mediante il loro coinvolgimento all’interno della struttura delle armi proprie farnesiane.

L’interesse del popolo per la partecipazione al progetto del sovrano poteva essere catturato solamente mediante la concessione concreta di privilegi e vantaggi in cambio del servizio in armi per il principe. Il conferimento di favori era l’elemento fondamentale e necessario per il successo della milizia.

L’aristocrazia, mediante l’assunzione di uffici di comando all’interno delle armi proprie farnesiane, finiva con il riconoscere ufficialmente l’autorità del duca e con lo stringere un legame di fedeltà con esso. In cambio otteneva non solo una convalida della propria posizione nella gerarchia sociale ma ne conseguiva una sorta di predominio rispetto al resto delle élite statali, poiché poteva vantare un legame diretto con il principe e la sua corte. Il resto dei sudditi si legava ad Ottavio per i numerosi privilegi che venivano loro concessi in campo fiscale, giuridico e soprattutto per il porto d’armi, poiché esso sanciva in maniera indelebile lo status privilegiato di cui godevano i coscritti, avvicinandoli al modello dell’aristocrazia guerriera tanto ammirato nella società della prima età moderna.

Al secondo duca Farnese interessava in special modo ottenere la fedeltà, e il supporto politico, dei propri sudditi. Questo lo portò a delegare la funzione militare intrinseca alla milizia ai nobili che ne occupavano i ruoli di comando, lasciandoli liberi di promuovere le proprie reti clientelari e di modellare l’intera struttura secondo il loro arbitrio. Con il governo di Ottavio si creò un ordinamento miliziano flessibile ovvero un organismo che, seppur regolamentato, avrebbe dovuto modellarsi sulla società senza alterarne gli equilibri, ma viceversa confermandoli.

Una inversione di tendenza si ebbe con l’elezione alla dignità ducale di Ranuccio I, nipote di Ottavio Farnese. Il nuovo sovrano operò, per tutta la durata del suo governo, un costante accentramento dei poteri nelle mani del principe, con un conseguente indebolimento delle prerogative urbane e nobiliari. Non è certamente un caso che i numerosi ordinamenti militari emanati tra il 1594 e il 1616[3] furono promulgati dopo le Constitutiones del 1594 e la Gran Giustiza del 1612, provvedimenti che attuarono una forte limitazione del potere dell’aristocrazia nel Ducato. Il risultato fu che tutta la libertà d’arbitrio concessa alle élite locali, all’interno della struttura della milizia, da Ottavio nel 1581 andò scemando trasformando gli ufficiali in graduati inseriti all’interno di un regolamento che non potevano alterare e che erano chiamati a rispettare. Con l’eliminazione di ogni possibile ingerenza da parte della nobiltà le armi proprie divennero uno strumento completamente sottoposto al controllo e alla volontà ducale.

L’operato di Ranuccio I non si limitò allo svuotamento delle prerogative aristocratiche poiché il principe si adoperò per professionalizzare i propri miliziani. Vennero emanate diverse disposizioni miranti a trasformare i coscritti in soldati. La precisa definizione dei ruoli degli ufficiali e dei loro compiti, lo stabilirsi di una disciplina militare e l’insistere sulla preparazione bellica delle reclute erano gli strumenti che il sovrano utilizzò per attuare il proprio progetto. Ranuccio I aderiva a quella scuola di pensiero, largamente diffusa tra i teorici della milizia e tra alcuni professionisti, che vedeva in un rigoroso addestramento la possibilità di formare uomini capaci di rivaleggiare per abilità con i soldati di mestiere.

Il culmine di questo progetto di militarizzazione dei sudditi si ebbe con l’istituzione delle scuole dei bombardieri nel 1615[4]. L’introduzione della specialità dell’artiglieria all’interno della milizia si rivelò fin dal principio innovativa poiché andava ad inserire in una struttura non professionale, o almeno nata come tale, un’arma profondamente tecnica che richiedeva una preparazione, anche teorica, non indifferente. Furono formate quattro compagnie, delle quali due erano stanziate presso le città di Parma e Piacenza. Il regolamento scritto dal principe per i bombardieri mirava, mediante una rigorosa formazione impartita da uomini esperti del mestiere, alla creazione di elementi capaci di sostituire completamente i professionisti all’interno delle armi ducali.

Parallelamente alle disposizioni militari furono create una serie di cariche amministrative con lo scopo di verificare che quanto disposto dal duca fosse effettivamente messo in pratica. Questi funzionari ebbero anche il compito di gestire tutte le funzioni burocratiche che una struttura militare richiedeva, come ad esempio: la descrizione dei sudditi, la gestione del denaro delle compagnie, la distribuzione dell’equipaggiamento e il controllo sullo stato di quest’ultimo. Il ricorso, e la conseguente evoluzione, di una struttura amministrativa interna alle armi non professionali simboleggiava certamente la costante presenza della tutela ducale ma, al contempo, era sintomo del fatto che la milizia andasse sempre più assumendo i caratteri di una istituzione permanente.

I Farnese erano sempre stati una casata caratterizzata da una forte vocazione militare. Ranuccio I sicuramente non sfuggiva alle logiche familiari e individuò nell’efficienza bellica delle armi proprie la possibilità, non solo di conservare il proprio Stato, ma di mutare la milizia in un piccolo, ma efficiente, esercito permanente capace di fornirgli un supporto adeguato a sostenere i suoi disegni di grandezza come quelli dei suoi successori. La militarizzazione e la professionalizzazione dei coscritti voluta dal duca creò una struttura militare rigida che si sarebbe dovuta inserire nella società obbligando quest’ultima a mutarla di conseguenza per accoglierla.

Il ducato nel 1606

Completò il progetto paterno Odoardo Farnese che nel 1631 istituì la milizia urbana in Piacenza[5]. Il completamento del processo di mobilitazione dei sudditi in armi culminò realizzandosi in una delle due città più importanti del Ducato, dimostrando non solo come il potere del principe si fosse ormai affermato totalmente all’interno della realtà urbana ma anche come le autorità facessero affidamento sulla lealtà dei cittadini a cui era affidata la difesa di Piacenza. Il governo farnesiano era infine arrivato a coinvolgere la popolazione di tutto lo Stato portando alla creazione di una milizia forense, che poteva essere mobilitata sia per proteggere il principato che per supportare i professionisti in campagna, e di una urbana, con il solo compito di presidio delle mura e delle porte cittadine.

Fu durante il governo dell’erede di Ranuccio I che, per la prima volta, i miliziani furono effettivamente impiegati sul campo con la partecipazione farnesiana alla Guerra dei Trent’anni a partire dal 1635.

Lo studio dell’andamento del conflitto richiederebbe di essere approfondito in un altro articolo ad esso completamente dedicato. La pace stipulata al principio del febbraio 1637, che poneva definitivamente fine alla guerra, segnò il fallimento della politica d’espansione perseguita dal duca Odoardo. Le ostilità ebbero il merito di evidenziare i limiti della struttura militare non professionale del Ducato. L’utilizzo sul campo delle formazioni di coscritti farnesiani aveva dato esisti alterni, nella maggior parte dei casi deludenti.

Eppure, il ricorso alla milizia, nel biennio dal 1635 al 1637, fu sempre maggiore a mano a mano che il conflitto infuriava sempre più. Non bisogna certamente sottovalutare il fatto che, sottoposto ad un continuo stress derivante dalla crescente richiesta di mobilitazione di uomini, l’ordinamento ducale non crollò ma, al contrario, continuò a funzionare costantemente.

La struttura creata da Ottavio Farnese, e affinata nei cinquant’anni successivi, riuscì a soddisfare le richieste di armati che di volta in volta gli veniva sottoposte. Gli stessi sudditi richiamati a combattere per il loro principe, sebbene raramente riuscirono ad opporsi efficacemente a soldati professionisti, continuarono a impegnarsi nella difesa del proprio territorio al limite delle loro possibilità.

Il fenomeno della milizia non deve essere analizzato solamente nella sua dimensione puramente militare, che si è rivelata poco efficiente, ma si devono prendere in considerazione anche i numerosi risvolti positivi che essa portò nel campo sociale e politico. Per uno Stato dalle dimensioni modeste, come il Ducato di Parma e Piacenza, disporre della possibilità di richiamare alle armi i propri sudditi, voleva dire mettere nelle mani del principe uno strumento capace di salvaguardare la conduzione di una politica indipendente e priva di ingerenze esterne, garantendo in questo modo una forma di autonomia.

Per quanto riguarda invece la politica interna al principato farnesiano, le armi non professionali ebbero certamente il merito di avvicinare i sudditi a quei sovrani stranieri che inizialmente guardavano con diffidenza, raggiungendo lo scopo che si era prefissato il duca Ottavio nel 1581. Il secondo principe Farnese ebbe il merito di individuare quale fattore determinante per il successo del suo progetto la concessione di ricompense e privilegi in cambio del servizio in armi, un vero e proprio meccanismo pattizio che poteva garantire ad ognuna delle parti coinvolta la giusta motivazione. Il raggiungimento di una reciprocità di interessi tra il sovrano e il suo popolo, passava attraverso quel sistema di mutuo scambio di favori in cambio di benefici concreti.

La milizia deve essere considerata come una istituzione propedeutica alla creazione di consenso intorno alla figura del principe. La concessione di privilegi e favori, che interessavano vaste aree sociali, finiva con il legare il miliziano a colui che aveva permesso la creazione dello status privilegiato di cui il coscritto godeva, ovvero al suo signore naturale. La milizia aveva il merito di coinvolgere al suo interno elementi provenienti da diverse classi sociali ma che erano uniti dalla loro fedeltà verso il duca. I sudditi ottenevano il godimento di esenzioni fiscali, giuridiche e il porto d’armi, sentendosi in questo modo parte di un corpo di privilegiati. Il nobile conseguiva una convalida della sua preminenza sociale, e anzi, si ergeva tra gli altri aristocratici in virtù del servizio che rendeva al suo sovrano. Oltre a queste gratificazioni si avvicinava alla corte del principe e poteva ottenere benefici quali pensioni o altri favori.

Nella realtà dello Stato farnesiano tale meccanismo funzionò egregiamente perché fu solamente l’ampia adesione dei sudditi alle armi ducali a permettere alla struttura miliziana di sopravvivere, e continuare a funzionare ininterrottamente, dal 1635 al 1637 nonostante il conflitto andasse assumendo dimensioni disastrose e il Ducato fosse in una situazione critica.

Bibliografia

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  1. N. Machiavelli, Arte della Guerra, Milano 1961, pp. 328-358.

  2. Archivio di Stato di Parma, Gridario 11/55: Capitoli, ordini, privilegii, et esentioni della militia ducale di Parma, et Piacenza, 20 luglio 1581.

  3. Archivio di Stato di Parma, Gridario 15/40, Gridario 21/59, Gridario 22/31, Gridario 22/35.

  4. Archivio di Stato di Parma, Gridario 21/59: Ordini, et Privilegi della Militia de’ Bombardieri, 26 gennaio 1615.

  5. Archivio di Stato di Parma, Gridario 30/57: Ordini, et Privilegi della Militia d’Infanteria. Eretta nella Città di Piacenza. Dal Sereniss. Sig. Odoardo Farnese Duca di Piacenza, e Parma V, 17 dicembre 1631.

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2 pensieri riguardo “L’Esercito di Carta: la Milizia Farnesiana tra Istituzione Militare e Controllo Sociale (1545-1646)

    1. Non è corretto. Venne previsto effettivamente nelle normative del Seicento che i miliziani potessero essere impiegati come agenti sul campo da parte degli auditori criminali in caso di necessità, ma la loro natura rimane prettamente militare.

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