La Battaglia di Ain Jalut (1260) rappresenta uno dei più importanti – e meno conosciuti – punti di svolta della storia mediorientale.
Con la distruzione delle forze Abbasidi e il sacco di Bagdad, i Mongoli sono padroni delle porte del Medio Oriente. Nel 1258, e le nazioni islamiche tremano. In realtà, da quel lato del mondo, gli unici a poter impedire ai Mongoli di dilagare in Nord Africa (e poi? in Spagna?) sono i Mamelucchi.
L’ultimo califfo abbaside, al-Musta’sim, viene catturato da Hulagu Khan e ucciso insieme a buona parte della sua famiglia. Sulla sua morte si raccontano due storie diverse. La prima viene dai racconti di Marco Polo, e narra che il Khan si infuria nel vedere il tesoro degli abbasidi e chiama a sé il califfo, dicendogli che avrebbe dovuto usarlo per difendere i suoi sudditi e il suo regno. Subito dopo, lo fa murare vivo nella camera del tesoro, senza acqua né cibo. L’ultima frase che il Khan rivolge ad al-Musta’sim è questa: “mangia i tuoi tesori quanto vuoi, visto che ti piacciono tanto.” La seconda è più cruenta e vicina alle usanze mongole. In breve, il califfo viene avvolto in diverse coperte e calpestato dai cavalli dei vincitori. I mongoli, infatti, erano piuttosto restii a spargere sangue reale. Almeno sul terreno.
All’inizio del 1260, Hulagu Khan invia un ultimatum al sovrano mamelucco. Sono parole che farebbero tremare le ginocchia di qualsiasi regnante:
“Dal re dei re dell’est e dell’ovest, il grande Khan. A Saif ad-Din Qutuz il Mamelucco, che è scappato per sfuggire alle nostre spade. Dovresti pensare a quello che è successo ad altri paesi e inginocchiarti davanti a noi. Hai visto come abbiamo conquistato un vasto impero e abbiamo purificato la terra dei disturbi che lo hanno contaminato. Abbiamo conquistato ampie aree, massacrato tutte le persone. Non puoi scappare dal terrore dei nostri eserciti. Dove puoi fuggire? In che modo pensi di poterti mettere in salvo? I nostri cavalli sono rapidi, le nostre frecce aguzze, le nostre spade come i fulmini, i nostri cuori duri come le montagne e i nostri soldati numerosi come la sabbia. Le fortezze non ci trattengono, né gli eserciti ci fermano. Le vostre preghiere a Dio non avranno successo contro di noi. Noi non siamo commossi dalle lacrime né toccati da lamenti. Solo coloro che chiedono la nostra protezione saranno sicuri. Sottomettiti prima che il fuoco della guerra sia acceso. Resisti e soffrirai le catastrofi più terribili. Affronteremo le vostre moschee e riveleremo la debolezza del tuo Dio e poi uccideremo insieme i tuoi figli i tuoi vecchi. Al momento sei l’unico nemico contro cui dobbiamo marciare.”
Saif ad-Din Qutuz non risponde, né gli interessa farlo. Si limita a far decapitare gli emissari del Khan e a mettere bene in mostra le loro teste al Cairo.
Damasco e buona parte dei suoi territori al di là della Galilea sono ormai in mano dei Mongoli, anche se Hulagu Khan, nipote di Gengis, è tornato nell’Estremo Oriente a seguito della morte del fratello, il Gran Khan Möngke, cui spera di succedere.
I Mamelucchi: la definizione della Treccani (1934)
Col vocabolo arabo mamālīk (plurale di mamlūk, letter. “posseduto, schiavo”, del resto usato anche in tale accezione comune) si designarono quelle milizie turche e circasse d’origine servile che vennero ad acquistare pratica preponderanza in Egitto già sotto la dinastia degli Ayyūbidi, da essi poi soppiantata nel dominio anche nominale del paese, con una serie di sovrani, durata, in due distinti rami ma in assai irregolare e saltuaria continuità dinastica, dal 650 al 913 èg. (1252-1517 d. C.).
I sovrani mamelucchi furono dei capi militari, succedentisi spesso per violenta sopraffazione gli uni sugli altri, su designazione dei loro stessi compagni, con analogia ad alcuni periodi dell’impero romano. Accanto agli episodi sanguinosi e barbari di tale sistema feudale-militare, non sono da trascurare gli aspetti positivi del loro dominio, grazie a personalità di alto valore militare e politico che compaiono in quei tre secoli sul trono di Egitto: quali Qutuz, vincitore dei Mongoli ad ‛Ain Giālūt in Siria (1260) e salvatore dell’Egitto e di tutto l’Islām occidentale dall’invasione tatara, Baibars, che ritolse ai Cristiani gli ultimi possessi rimasti loru in Siria (1260-77), e Qalāwūn (1279-90), sotto il quale, e sotto il cui figlio e successore al-Ashraf, l’intera Siria fu di nuovo soggetta al dominio egiziano. L’epoca mamelucca, sotto questi e gli altri sovrani, segnò nel complesso un’assai grande floridezza commerciale, industriale e artistica per l’Egitto. La potenza dei Mamelucchi fu fiaccata dai Turchi Osmanli, che, vincitori alla battaglia di Marǵ Dābiq (1516), invasero l’Egitto, e, messo a morte l’ultimo sultano Ṭūmān Bey, annessero il paese al loro impero (1517).
I Mamelucchi continuarono peraltro, anche sotto il dominio turco, a costituire un notevole elemento sociale e statale nell’organizzazione del paese, spesso in contrasto con i pascià mandati a governare da Costantinopoli. Essi formarono il nucleo della resistenza che Napoleone sgominò alle Piramidi, e furono definitivamente sterminati solo nel 1811, con la strage organizzata da Mohammed ‛Alī nella cittadella del Cairo.
Con il Khan lontano assieme alla maggior parte dei suoi uomini, a guidare l’esercito di 10.000 Mongoli diretto verso sud c’è Kitbuga, un cristiano nestoriano che serve il Khan da anni. Qutuz guida i suoi uomini salendo attraverso Gaza assieme a uno dei più importanti comandanti militare e (futuri) sovrani dei Mamelucchi: Baibars.
Acri e Tiro, ancora parte dell’ormai ridottissimo Regno di Gerusalemme, optano per una completa neutralità. In realtà però, Qutuz ha cercato e trovato un accordo con molti nobili cristiani, e questo gli permette di far rifocillare e riposare l’esercito proprio presso Acri, supportato dai cristiani. Una mossa, questa, che si rivelerà decisiva.
A testimonianza della complessità della situazione geopolitica della zona, altri cristiani (armeni, georgiani e franchi) sono pronti a combattere dall’altro lato.
Le due forze si scontrano ad Ain Jalut, in Galilea. Baibars colpisce di continuo i Mongoli con attacchi e ritirate della cavalleria leggera, mentre Qutuz attende sulle alture con il grosso dell’esercito. Quando, alla fine, Baibars finge una ritirata, i Mongoli si gettano all’inseguimento, e finiscono dritti contro un muro di cavalieri mamelucchi. Kitbuga si accorge con orrore che i Mamelucchi hanno messo insieme una forza molto più grande della sua, ma rifiuta di ritirarsi.
Il combattimento va avanti per diverse ore, ma alla fine i Mongoli sono completamente annientati. Kitbuga viene catturato e continua a minacciare Qutuz anche in catene, e alla fine viene sgozzato da un veterano del sovrano. Tuttavia, le fonti islamiche tributano il giusto rispetto a un comandante che ha rifiutato sia la fuga che il passaggio al nemico.
La Battaglia di Ain Jalut rappresenta la prima vera sconfitta delle armate mongole nella loro avanzata occidentale e distrugge la loro fama di invincibilità. Sebbene i Mongoli continueranno ancora per diversi anni a minacciare il Medio Oriente e l’Europa, le loro conquiste a ovest si concludono con l’impresa di Qutuz e Baibars.
Sulla strada verso Il Cairo, dove già si celebra il trionfo dell’esercito, Baibars uccide o fa uccidere (a seconda della fonte) Qutuz per una disputa su cui non si farà mai, forse, piena luce. Baibars diventa quindi il quarto sovrano mamelucco, e la popolazione gli tributa grandi omaggi anche grazie a uno dei suoi primi provvedimenti: eliminare la tassazione speciale di guerra. D’altronde, pecunia non olet. In tutti i tempi e in tutti i luoghi.
Bibliografia:
- W. Muir, Tghe mameluke or Slave Dynasty of Egypt, 1260-1517 (1896);
- L. Venegoni, Hülägü’s Campaign in the West, 1256-1260 (2003);
- Amitai-Preiss, Reuven, Mongols and Mamluks: The Mamluk-Ilkhanid War, 1260-1281, (1995).
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