Pochi personaggi hanno segnato la storia del moderno Egitto come Mehmet Alì Pasha. Un riassunto della sua vita richiederebbe un intero volume, quindi possiamo limitarci a sottolineare che Mehmet, nato in Albania nel 1769, scala la gerarchia istituzionale ottomana grazie alle sue enormi qualità nelle attività di governo e nelle cose militari.
Governa l’Egitto, provincia ottomana, per più di quaranta anni (1805-1848 circa), dando al paese uno slancio tecnologico, giuridico, militare e sociale senza precedenti.
In pochi anni, l’Egitto diventa de facto autonomo, e Mehmet si comporta, effettivamente, da sovrano. D’altro canto, la parte europea dell’Impero Ottomano è in pieno fermento, e il Sultano può solo osservare l’ascesa di Mehmet. Anzi, è costretto a chiedere il suo aiuto, promettendogli in cambio l’isola di Creta, quando i Greci iniziano la guerra che li porterà all’indipendenza.
Mehmet accetta, ma la sua flotta, unita a quella ottomana, viene completamente annientata nella Battaglia di Navarino nel 1827. Il Sultano Mahmud II, inoltre, ha risposto in modo scomposto alla ribellione greca, con azioni che Mehmet non condivide (vedi massacri della popolazione greca di Costantinopoli, Chios e l’impiccagione del patriarca greco Gregorio V) e ha tradito la promessa di concedergli Creta.
Una volta ricostituita la Marina, Mehmet mette in moto le sue armate e, nel 1831, invade la Siria ottomana. La Sublime Porta non può nulla. Gli Egiziani, guidati da Ibrahim, figlio di Mehmet, distruggono un esercito ottomano dopo l’altro.
Mehemt è un sovrano molto attento alle tradizioni locali. Ad esempio, chiede a a suo figlio di non abolire ufficialmente l’autorità del Sultano sulla Siria (appena conquistata) fino a quando le autorità religiose locali non abbiano emesso delle fatwas nei confronti di Mahmud II, dichiarandolo decaduto.
Da Gaza a Damasco non ci sono più città in mano ai Turchi. Al Passo di Beilan (syriae portae), alla fine di luglio del 1832, altri 45.000 Ottomani vengono sconfitti da Ibrahim.
A Istanbul, il Mahumud II trema. In modo molto ingeneroso, Henry Dodwell, nel suo The founder of modern Egypt: A study of Muhammad’Ali (1931), scrive:
L’esperienza ci ha dimostrato che il Sultano Mahmud II fu incapace di guidare i Turchi verso altro che non fosse la sconfitta.
Lo stesso Mahmud II può radunare solo un’ultima armata, più grande di tutte quelle spedite in precedenza. Ibrahim aspetta nuovi ordini dal padre. L’ultimo che ha ricevuto è quello di conquistare tutti i paesi di lingua araba, ma ora l’invasione dell’Anatolia sembra possibile.
I 53.000 soldati ottomani del Grand Visir Reshid Pasha si scontrano con l’esercito di Ibrahim il 31 dicembre 1832. Konya, il luogo della battaglia, dista circa 550 chilometri da Istanbul. Ibrahim ottiene una vittoria schiacciante, perdendo solo 262 soldati a fronte dei 3.000 morti e 5.000 prigionieri del nemico. Reshid Pasha finisce nelle sue mani.
Tra gli ufficiali di Ibrahim ci sono uomini di grandissima esperienza, tra cui Soliman Pasha al-Faransawi, nato Joseph Anthelme Sève, un soldato napoleonico convertitosi all’islam. In All The Pasha’s Men: Mehmed Ali, His Army And The Making Of Modern Egypt (2002), Khaled Fahmy scrive che Soliman Pasha viene messo a capo della scuola militare di Aswan, nel sud dell’Egitto, dove Mehemet Alì ha deciso di creare un esercito di schiavi sudanesi. Infatti, i soldati egiziani e albanesi di stanza in Sudan protestano continuamente per le condizioni di vita del luogo, dove dissenteria e febbri mortifere sono endemiche. La percentuale di schiavi morti nel tragitto verso Aswan è però altissima. Solo 3.000 dei 30.000 schiavi deportati raggiunge la destinazione. L’esercito chiesto da Mehemet non sarà mai costituito, ma molti degli schiavi sudanesi verranno utilizzati in ambito agricolo, specie nelle tenute di Mehemet Alì.
Tra l’esercito egiziano e Istanbul ci sono solo campagna, montagne e qualche città. Ibrahim avanza fino ad arrivare a distanza di tiro da Istanbul. In città si scatena il panico. Il Sultano Mahmud II invia dispacci con preghiere di soccorso a Inghilterra e Francia, ma i due paesi hanno altre urgenze.
Messo alle strette, è costretto a supplicare l’aiuto militare del vecchio nemico. Lo zar russo Nicola I glielo concede e invia 18.000 uomini a presidiare la capitale ottomana.
In realtà, però, Mehmet e suo figlio Ibrahim sono soddisfatti dei loro successi.
Mehmet, in particolare, acconsente a firmare un trattato di pace (Convenzione di Kütahya, 4 Maggio 1833) che legittima le sue enormi acquisizioni territoriali (che alla sua morte torneranno alla Turchia, ad eccezione dell’Egitto).
Il Pasha d’Egitto diventa un titolo reale, che si passa di padre in figlio (fino al 1952, con la rivoluzione di Nasser).
Mehmet regna altri 16 anni, portando altre innovazioni in tutti i campi della vita egiziana (dal codice penale scisso dalla Sharia all’apertura di scuole mediche per donne, fino all’uso dell’autopsia e delle prove forensi nel processo penale).
Un personaggio storico di rilievo assoluto che meriterebbe una maggiore attenzione anche nei testi di storia europei.
Bibliografia:
- K. Fahmy, All The Pasha’s Men: Mehmed Ali, His Army And The Making Of Modern Egypt (2002);
- K. Fahmy, The era of Muhammad ʿAli Pasha, 1805-1848, in M.W. Daly (a cura di), The Cambridge History of Egypt: Modern Egypt, from 1517 to the end of the twentieth century, vol. 2, Cambridge University Press, 1998, pp. 139–179;
- H. Dodwell, The founder of modern Egypt: A study of Muhammad’Ali (1931).
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nel suo libro Jerusalem: The Biography – lo storico britannico Simon Sebag Montefiore ha dedicato un capitolo alla The ALBANIAN CONQUEST, dove porta interessanti testimonianze sul avvenimento, p.e che fu la prima volta dopo l’ultima crociata che in città suonarono di nuovo le campane delle chiese.
Vero, grazie del contributo Bardhi!
C’è un piccolo errore nell’ articolo, perchè Mehmet non nacque in Albania ma a Kevala che all’epoca faceva parte della Tracia da famiglia di origine albanese.
Sto facendo delle ricerche sugli abissini e la loro discendenza che le altre etnie del corno d’africa non considerano autoctona, io sono nato da quelle parti (ho 72 anni), ho delle testimonianze dei discendenti di alcuni greci dell’anatolia giunti al seguito dell’esercito turco agli inizi del 1800 a Massaua, in quel periodo la parola abissino non era conosciuta, sicome in arabo-egiziano la parola “abesha” discende dall’unione di due parole “ABID=SCHIAVO/SCHIAVA” e “SHARMUTA=PROSTITUTA” e la storia dell’esercito dei 30,000 schiavi di Mehmet è intrigante forse c’è un collegamento con gli abissini figli di schiavi divenuti a loro volta schiavisti al soldo degli egiziani e la rotta degli schiavi dal centr’africa ai porti del mar rosso e diretti alle miniere del Sinai
Con rispetto, non credo possibile che la parola habesha abbia questa origine. Habesha e abid iniziano con lettere diverse, la ح di حبش per il primo e la ع di عبيد per la seconda.