Una storia incredibile, quella della vittoria di Blas de Lezo a Cartagena de Indias nel 1741.
Durante tutto il Settecento l’impero spagnolo si trovò a vivere una congiuntura molto particolare. Con l’avvento dei Borbone a seguito della guerra di successione spagnola del 1701-1714, la Spagna e i territori d’oltremare iniziarono una serie di profonde riforme amministrative, economiche e militari.
La manifesta necessità di ammodernare il paese sarebbe divenuta evidente a seguito della cocente sconfitta nella Guerra dei sette anni (1756-763), ma già durante la prima metà del XVIII sec. la corte dei Borbone di Spagna aveva avviato una serie di riforme per rendere più efficace la difesa dei regni d’oltremare che, troppo spesso, restavano in balia di pirati o corsari inglesi, olandesi e francesi.
In questo clima di necessità e di volontà riformatrice, la Corona creò dunque nel 1717 il Vicereame della Nuova Granada, separandolo dal Vicereame del Perù che, precedentemente, aveva compreso tutte le terre spagnole dal sud del Cile fino all’istmo di Panama.
[…] ho deciso con un mio decreto regio del 29 aprile di questo presente anno che si stabilisca e costituisca un viceré nell’Audiencia presente nella città di Santafé, nuovo regno di Granada, e sia governatore e capitano generale e presidente di quella, nello stesso modo in cui lo sono quelli del Perù e della Nuova Spagna e con le stesse facoltà che sono state concesse con leggi, cedole e decreti regi, e si rispettino i privilegi e le eccezioni che si usano praticare e osservare con loro. E allo stesso modo ho deciso che il territorio e la giurisdizione che il già citato viceré, Audiencia e tribunale dei conti della città di Santafé dovranno avere, è e sia tutta la provincia di Santafé, nuovo regno di Granada, quelle di Cartagena, Santamarta, Maracaibo, quella di Caracas, Antiochia, Guayana, Popayan e quella di San Francisco di Quito, con tutto il resto e le terre che si comprendono in quella e che, aggregandosi a Santafé la provincia di San Francisco di Quito, si estingua e sopprima l’Audiencia che risiede in quella.
E che gli ufficiali regi di questa città e quelli di San Francisco di Quito e le case reali, suffraganee a quelle, diano i conti al tribunale di Santafé, cominciando con quelli di questo presente anno 1717, essendo a carico e obbligo del tribunale di Lima, […] e il presidente e i deputati della mia Audiencia che risiede nella città di Santo Domingo risolvano con la maggior brevità possibile le richieste ancora pendenti in quella della giurisdizione di questa città e provincia di Caracas e del resto del territorio che gli appartiene […]
Data a Segovia, il 27 maggio 1717. -Io il Re.
(Real cédula por la cual se crea el Virreinato del Nuevo Reino de Granada en 27 de mayo de 1717. Riprodotta per intero in Jéronimo Becker e José María Rivas Groot, El Nuevo Reino de Granada en el Siglo XVIII, Madrid, 1921, p. 200-203).
L’altro problema cruciale per una potenza che volesse essere effettivamente un impero era costituito, naturalmente, dal controllo dei mari. All’inizio del Settecento, la Marina spagnola era ancora composta da una pluralità di flotte. La corona decise di ridurle a un’unica Real Armada “centralizzata” solo a partire dal 1748.
La Corona inglese contava quindi di sfruttare un momento di forte debolezza dell’impero spagnolo quando, nel 1739, decise di dichiarare guerra. La posta in gioco verteva su un’eredità del Trattato di Utrecht del 1713, stipulato al finale della già citata Guerra di successione spagnola. Con questo, l’Inghilterra aveva ottenuto il diritto trentennale esclusivo dell’importazione diretta degli schiavi nei territori spagnoli del Sudamerica (denominato Asiento).
Pur avendo clausole favorevoli, molte navi mercantili inglesi avevano cominciato a incrementare i loro guadagni con attività di contrabbando osteggiate dalle autorità spagnole.
La cosa, ovviamente, portò a nuove tensioni tra Spagna ed Inghilterra. Nonostante il Trattato di Siviglia del 1729, queste sfociarono in un conflitto aperto che durò dal 1739 al 1748, la c.d. guerra dell’Asiento o guerra dell’orecchio di Jenkins.
Il nuovo conflitto colse impreparata la corte spagnola che, in accordo con le parole del Marchese di Ensenada, decise di combattere in difesa. (“La guerra de vuestra majestad ha de ser defensiva” in José Patricio Merino Navarro, La Armada en el siglo XVIII in Las Fuerzas Armadas españolas. Historia institucional y social, vol. 2, Madrid, 1987, p. 113).
La Royal Navy invece, che si apprestava ormai a dominare gli oceani, colpì in maniera fulminea al cuore dei possedimenti ultramarini.
Il 21 novembre 1739, l’ammiraglio inglese Edward Vernon riuscì a conquistare la città spagnola di Portobello sull’istmo di Panama. La perdita della piazzaforte di collegamento tra il Messico e il Peru fu un duro colpo per l’impero e una clamorosa vittoria per Vernon e l’Inghilterra. Fu proprio quest’impresa a dare il nome alla via Portobello Road di Londra e, secondo alcuni, fu d’ispirazione alla composizione del famoso inno “Rule, Britannia!”.
Le operazioni, dopo una manovra diversiva guidata dal commodoro Anson per saggiare la resistenza spagnola sulle coste, proseguirono verso un obiettivo difficile: conquistare militarmente il Vicereame di Nuova Granada.
Vernon, galvanizzato dalla precedente vittoria e sostenuto dall’allora giovane William Pitt, riuscì a ottenere le risorse per un’azione decisiva, riunendo un’enorme flotta di 186 vascelli, con 27.600 uomini, per un totale di 2000 cannoni, che salpò da Port Royal (Jamaica) e fu avvistata a largo di Cartagena de Indias agli inizi di marzo del 1741.
Cartagena non era solo una delle città più importanti del vicereame, ma era forse la più importante città dell’intero mar dei Caraibi. Con il monopolio regio spagnolo, tutte le mercanzie legate al commercio tra la penisola iberica e le Indie (compresi i metalli preziosi estratti dalle miniere del Potosí, Bolivia e del Perù) dovevano passare per essa. Conquistare Cartagena significava, in altri termini, arrestare il flusso commerciale oceanico e, potenzialmente, colpire mortalmente l’impero spagnolo.
La città, vista l’importanza ricoperta nel nuovo assetto deciso dai Borbone, aveva visto aumentare il numero di fortificazioni della baia d’accesso. D’altronde, tra ‘500 e ‘600 aveva anche subito un discreto numero si saccheggi.
La situazione incontrata dalla flotta inglese nel marzo del 1741 era complicata. Non può passare per la strettoia più a nord (a sinistra in mappa), ostruita da quasi un secolo (Boca serrada) e deve dirigersi verso quella più a sud. Questa, detta Bocachica, è difesa da un certo numero di batterie costiere e dalla fortezza di San Luis.
Una volta entrata nella baia deve circumnavigare l’isola tra Boca serrada e Bocachica e forzare la batteria del Manzanillo e la fortezza di Santa Cruz. Solo dopo potrà avere accesso alla baia interna di Cartagena, il cuore del sistema difensivo spagnolo. Una volta lì, solo la fortezza di San Felipe de Barajas avrebbe impedito agli aggressori di conquistare definitivamente l’intero complesso militare.
A fronteggiare l’enorme flotta di Vernon c’erano poche migliaia di soldati spagnoli (dai 3000 ai 4000 tra miliziani, fanti di marina, soldati e marinai. Le fonti inglesi parlano solo di «negroes and Indians», quindi esclusivamente di milizia coloniale (Beatson, Naval and military memoirs of Great Britain, from 1727 to 1783, p. 89) comandata direttamente dal viceré Sebastián de Eslava e dal famoso ammiraglio Blas de Lezo.
Quest’ultimo era una vera e propria leggenda vivente, specialmente nel Mar dei Caraibi. Chiamato “peg leg” (letteralmente gamba a piolo, ma forse renderebbe meglio l’idea chiamarlo gamba di legno) dagli inglesi e “medio hombre” (mezz’uomo) dagli spagnoli, Blas de Lezo aveva collezionato una serie spaventosa di vittorie navali e un’ancor più tremenda serie di mutilazioni.
Se volessimo fare una sintetica storia clinica di questo lupo di mare, sarebbe la seguente:
Circostanza: Nave Foudroyant. Battaglia navale di Vélez-Málaga, 1704, Blas de Lezo aveva 15 anni.
Lesione: Rottura di tibia e perone e amputazione traumatica del piede.
Causa: Impatto di un colpo di cannone. Le ferite furono prodotte dai frammenti del proiettile o da un pezzo di legno della coperta.
Esito: Perdita della gamba sinistra.
Circostanza: Fortezza di Santa Catalina di Tolone, 1707, Blas de Lezo aveva 18 anni.
Lesione: Ferita penetrante nell’occhio sinistro.
Causa: Scheggia di pietra partita per l’impatto di un proiettile contro il muro della fortezza.
Esito: Perdita completa della vista.
Circostanza: Assedio di Barcellona, 1714, Blas de Lezo aveva 25 anni.
Lesione: Ferita penetrante nell’ascella destra.
Causa: Colpo di moschetto.
Esito: Perso l’uso del braccio destro anche se mantenne quello della mano.
Circostanza: Nave Nuestra Señora de Begoña, Orano, 1733, Blas de Lezo aveva 44 anni.
Malattia: Febbre tifoidea.
Causa: Consumo di alimenti in cattivo stato.
Esito: Emorragia, cefalea, nausea, anoressia, febbre alta.
Circostanza: Cartagena de Indias, 1741, Blas de Lezo aveva 52 anni.
Malattia: Peste.
Causa: Il gran numero di cadaveri inglesi morti durante il combattimento o di febbre gialla.
Conseguenza: Morte.
Circostanza: Cartagena de Indias, 1741.
Lesione: Ferite alla mano e alla coscia.
Causa: Mitraglia di un colpo di artiglieria.
Esito: Infezione.
Uomo d’azione, carismatico e rispettato dalla truppa, detestava l’inerzia e la scarsa volitività del viceré, con il quale più di una volta, proprio durante l’assedio di Cartagena, ebbe da ridire.
Sembra che questa gente voglia sbarcare per la Boquilla e la Cruz Grande. Vado a vedere il viceré e avendogli chiesto: “Cosa facciamo?”, mi risponde: “E che dobbiamo fare?”; gli replico: “Impedire loro di sbarcare inviando gente” e così invia due gruppi di 50 granatieri. Io sto per andarmene a Bocachica quando mi dice di restare fino a domani per vedere quello che gli uomini avrebbero fatto. Gli rispondo che va bene e quindi mi ritiro abbastanza mortificato nel vedere che nulla si muove né che si dà l’allarme.
Diario di Blas de Lezo, 15 marzo 1741.
E ancora:
Alle cinque e mezza del pomeriggio arrivò don Sebastián de Eslava e mi ritirai con lui. Stanotte gli parlai affinché si facesse una sortita per attaccare i nemici ed egli trovò alcune difficoltà nel prendere questa importante decisione. Parimenti si parlò di mandare il capitano don Miguel Pedrál in avanscoperta, e questo capitano era d’accordo, ma don Sebastián de Eslava ci lasciò né con un sì né con un no. E con queste omissioni continuiamo a lasciare che i nemici facciano quello che vogliono. Questa notte continuarono le bombe come la notte precedente.
Diario di Blas de Lezo, 22 marzo 1741.
I conflitti, per così dire, giurisdizionali erano provocati dalla confusione sorta dopo la creazione del vicereame nel 1717, che aveva garantito il comando militare al viceré in qualità di capitano generale, e dalla mancante regolamentazione militare che sarebbe nata solo assieme alla Real Armada dopo la guerra del 1739-1748.
Il lettore non avrà difficoltà nel constatare il pesante svantaggio organizzativo, numerico e materiale dei difensori spagnoli che si trovarono a difendere un complesso di enorme importanza con carenza di effettivi. Lo stesso Blas de Lezo dovette constatare, all’arrivo della flotta inglese, che molte fortificazioni non erano affatto presidiate o, ancor peggio, che mancavano totalmente di munizioni, vettovaglie e materiale di carpenteria.
Gli inglesi si presentarono all’entrata di Bocachica con una potenza di fuoco spaventosa. In breve tempo le batterie di Chamba, San Felipe e Santiago furono ridotte all’impotenza e un continuo bombardamento contro la fortezza di San Luis de Bobachica, difesa da Carlos Desnaux, costrinse la guarnigione spagnola composta da 500 uomini a ripiegare verso le difese interne dopo 17 giorni consecutivi di cannoneggiamenti.
La caduta dello stretto di Bocachica fu una tragedia immane per gli assediati e lo stesso Blas de Lezo ci lascia pagine cariche di frustrazione e rancore nei confronti del viceré che, alle sue parole, con la sua inettitudine e ignavia avrebbe impedito un’efficace difesa di Bocachica:
Alle 4 ½ della mattina tornai in città dopo 21 giorni a Bocachica di cui 17 di combattimento continuo notte e giorno [Blas de Lezo era in prima persona su una delle quattro navi che supportavano il forte durante l’attacco inglese, nello specifico si riporta che: «la Shrewsburry fu esposta al pesante fuoco di due batterie sul lato di Baradera, dei cannoni dei forti San Luis e San Giuseppe, e delle fiancate di quattro navi di linea, schierate all’entrata del porto, a bordo di una delle quali si poteva osservare la bandiera di don Blas de Lezo» Beatson, Naval and military memoirs, p. 91] nel cui successo non sperai mai.
Però avrei posto fine all’impresa dei nemici in quell’assedio se don Sebastián de Eslava (come gli sollecitai) avesse voluto opporsi allo sbarco loro e delle loro batterie e, anche se non lo avesse fatto subito, se avesse ordinato una sortita generale per distruggerle, visto che abbiamo osservato come i nemici non abbiano provato a forzare il porto prima di aver distrutto con le loro batterie di terra il castello e le navi […] e senza subbio se avessimo evitato il danno che invece ci hanno causato da terra, né il castello né le navi sarebbero state perse, e i nemici si sarebbero ritirati da quel luogo.
Diario di Blas de Lezo, 5 aprile 1741.
A peggiorare ulteriormente la situazione, il viceré aveva deciso di affondare le uniche 6 navi a loro disposizione per ostruire le vie di accesso al nemico. Quattro erano colate a picco per impedire agli inglesi di liberare il canale di Bocagrande, e altre due per difendere la baia interna. Blas de Lezo, fortemente contrariato, cercò di opporsi alla risoluzione, ma il resto degli ufficiali acconsentì.
Inutile dire che, come era stato previsto dall’ammiraglio spagnolo, il blocco rallentò di poco l’avanzata degli aggressori. Le truppe in difesa, dopo aver fatto saltare il forte di Manzanillo (considerato ormai indifendibile) e aver evacuato quello di Santa Cruz, non poterono far altro che ritirarsi nell’ultima fortezza rimasta: quella di San Felipe de Barajas e nella sua appendice avanzata, San Lazaro.
Lì si sarebbe combattuto per le sorti di Cartagena e, di conseguenza, per quelle dell’impero spagnolo.
Dall’altro lato gli inglesi avevano certamente la strada spianata verso la vittoria, ma un tale successo non era costato poco: forzare il blocco di Bocachica aveva avuto un prezzo che, seppur non molto alto, deve essere preso in considerazione.
Oltre a questo, i soldati che erano riusciti a raggiungere terra e a piazzare le tende e le artiglierie d’assedio iniziarono per primi ad accusare i sintomi di una malattia tropicale che presto avrebbe violentemente colpito molti degli assedianti.
Ciò nonostante, l’entrata nella baia interna prefigurava un successo quasi sicuro per la flotta inglese tanto che, secondo una fonte spagnola, Vernon avrebbe a quel punto già avvisato Londra della vittoria (Cesáreo Fernández Duro, Armada Española: desde la unión de los Reinos de Castilla y León, vol. VI, 1900, p. 249).
Il castello di Santa Cruz (o Castillo Grande) fu catturato immediatamente assieme a molte delle sue artiglierie e occupato da una guarnigione inglese, mentre alcune navi poterono attraccare e far sbarcare la fanteria.
L’idea di Vernon sarebbe stata quella di mantenere la strategia precedente, vale a dire: montare una batteria di terra, bombardare il forte e poi catturarlo con la fanteria. Tuttavia il genio militare espresse forti perplessità a riguardo, in quanto il terreno circostante al forte non si prestava al posizionamento di artiglierie in breve tempo.
Inoltre un gruppo di prigionieri e di disertori aveva precedentemente segnalato che le mura non erano così alte da impedire gli inglesi di utilizzare le loro scale e, allo stesso modo, non mancarono di segnalare la presenza di una porta in legno sul lato sinistro del forte che, molto probabilmente, avrebbe potuto essere forzata agevolmente.
La sera dell’8 aprile pertanto, il consiglio di guerra inglese optò per un energico attacco frontale con la fanteria. Il piano era il seguente: l’attacco sarebbe avvenuto di notte in due parti distinte contemporaneamente. Un gruppo (composto per la maggior parte da granatieri inglesi e da soldati americani) avrebbe dato l’assalto alle mura portando le scale lungo una strada accessibile, mentre una colonna guidata dal colonnello Grant avrebbe attaccato la porta di sinistra.
Entrambi gli attacchi non ebbero però l’esito auspicato.
A causa dell’oscurità e, forse, dall’imperizia delle guide, il gruppo di granatieri e soldati americani non riuscì a raggiungere la strada ma finì a cercare di salire la collina in un terreno fortemente scosceso. La colonna fu costretta a rompere i ranghi e ad annaspare nel tentativo di salire la collina, mentre subivano il fuoco di moschetteria spagnola senza poter reagire in alcuna maniera.
Poco dopo l’ufficiale in comando, resosi conto che era avvenuto quanto di più sbagliato potesse succedere, diede l’ordine di ritirarsi. Dall’altro lato, il colonnello Grant, a capo della colonna che avrebbe dovuto assaltare la porta, fu ferito mortalmente poco dopo essere salito sulla collina, assieme alla guida e a molti altri uomini, cosa che scoraggiò immediatamente il resto dei soldati dall’avanzare oltre.
Questi primi assalti lasciarono sul campo (secondo le fonti inglesi) 179 uomini tra soldati e ufficiali mentre 16 furono fatti prigionieri e 10 morirono a seguito delle ferite, tre dei quali (ci tiene a precisare il cronista inglese) perirono nonostante furono trattati con grandissima umanità da parte degli spagnoli.
Per il giorno dopo, il 10 aprile, si siglò un momentaneo cessate il fuoco, in modo che gli inglesi avessero il tempo di seppellire i cadaveri e di mandare il numero (costantemente crescente) di malati a bordo delle loro navi. Il giorno dopo, il genio militare riuscì a piazzare due mortai sul campo avanzato costruito dagli inglesi per assediare il forte.
Dal 12 al 20 aprile gli inglesi continuarono a bombardare la fortezza di San Lazaro (postazione avanzata di San Felipe) nella speranza di farla cedere prima del morale delle proprie truppe.
La subitanea sortita ordinata da Eslava (forse su suggerimento di Blas de Lezo, come aveva auspicato ancora il 5 aprile), che sorprese gli inglesi alle spalle e fece svanire l’ultimo barlume di tenacia dell’esercito inglese (già lungamente fiaccato dai numerosissimi casi di malaria), fece andare definitivamente in rotta la prima linea di assedianti, che si ritirarono verso la baia.
Il cronista spagnolo di fine Ottocento (studioso del lavoro dell’inglese Beatson, visto che lo riporta in appendice) narra, lapidario, quanto segue:
Nei cinque giorni seguenti finsero di continuare l’assedio, temendo un attacco durante i preparativi della ritirata; tuttavia il 27 si notarono chiaramente i segnali del ritiro imminente: le bombarde si unirono alle navi; iniziarono a imbarcare gli effettivi, evacuarono i punti occupati, e successivamente le navi lasciarono la baia, dopo aver però bruciato quelle che non erano più utilizzabili [per mancanza di equipaggio]. Il 20 maggio scomparirono del tutto.
Cesáreo Fernández Duro, Armada Española: desde la unión de los Reinos de Castilla y León, vol. VI, 1900, p. 249-250.
La parte del leone dunque, la fece sicuramente la malaria, che colpì duramente gli inglesi (in sovrannumero rispetto agli spagnoli) e che, dopo l’assedio, uccise l’eroe di Cartagena: Blas de Lezo, morto il 7 settembre 1741. La malattia aveva privato l’impero di uno dei suoi più celebri ammiragli, ma aveva anche permesso un’insperata vittoria in una fortezza cruciale come Cartagena de Indias.
A Vernon, forse reo di tracotanza per aver dato per certa la vittoria quando non lo era affatto, non restò che dirigere la sua flotta verso Cuba, cercando un teatro migliore dove proseguire con le operazioni di guerra. Robert Beatson, della cui erudizione ci siamo serviti fino ad ora, lo rimprovererà severamente, dicendo che:
Avrebbero dovuto considerare che le periodiche piogge in quel continente iniziano circa verso la fine di aprile e che il cambio che avviene nell’atmosfera è sempre accompagnato da malattie epidemiche; il clima inoltre diventa insalubre per coloro che non vi sono abituati; ma particolarmente per coloro che sono esposti alla fatica e all’umidità della notte; tutte circostante che l’ammiraglio avrebbe dovuto tenere in conto e che erano senza dubbio sufficienti a farlo desistere da scegliere Cartagena come luogo adatto per iniziare le sue operazioni.
Robert Beatson, Naval and military memoirs of Great Britain, from 1727 to 1783, vol. I, London, 1804, p. 86-87.
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