La Picca: la Regina delle Battaglie Rinascimentali

La Picca è un’arma di fanteria divenuta famosa grazie alle falangi macedoni di Alessandro Magno. Per mezzo delle loro formidabili Sarisse, i disciplinati opliti della Macedonia portarono il vessillo del loro Re fino agli estremi confini del mondo antico.

Dopo aver conosciuto l’oblio dell’Età di mezzo, la Picca riappare in epoca Rinascimentale, fra la fine del XV° e l’inizio del XVI° secolo, dove diviene l’arma di elezione di reparti militari strutturati e specializzati nel suo uso, come quelli Svizzeri e Lanzi; successivamente sarà armamento d’ordinanza, assieme all’archibugio, dei tercios, le formazioni miste della fanteria Spagnola del Siglo de Oro.

Del Combattere de Picha overo Lancioto da Fante a piede.

Marozzo Cap. 182 – Libro Quarto – Opera Nova 1536

È con queste parole che il Maestro d’Armi Rinascimentale Achille Marozzo introduce nel suo trattato l’utilizzo della picca, una delle armi sovrane dei campi di battaglia del XVI° secolo.

Questa lunga arma inastata acquista una grande efficacia bellica nelle formazioni in “Ordine Chiuso”, ovvero i disciplinati Quadrati di Picche; sono queste truppe altamente specializzate ad aver reso la fanteria nuovamente la regina dei campi di battaglia, dopo molte centinaia di anni di predominio (almeno formale) della cavalleria.

In particolare, le Guerre d’Italia sono state il teatro di questa sfida millenaria tra le due “classi”, l’altare sul quale la Storia ha consacrato il suo vincitore: la Fanteria, nella sua rinnovata e più efficiente espressione. Sono innumerevoli le cronache che dimostrano la grande efficacia dei Quadrati di picche, sia in funzione di contrasto alla cavalleria sia nell’impiego contro altre fanterie.

Nessun Condottiero esperto di res bellica avrebbe intrapreso una guerra senza la “secureza de aver quei quadrati de svizzeri o lanzichenechi che vengono tanto buoni nei casi de bisogno”. Il valore delle formazioni specializzate di picchieri divenne in breve tempo leggendario; molti sono i casi in cui questi reparti venivano assoldati dai Capitani al solo scopo di essere esibiti sul campo di battaglia, nella certezza di galvanizzare le proprie truppe e intimidire gli avversari.

Ne abbiamo una dimostrazione durante l’assedio di Milano del luglio 1526, dove il Duca della Rovere rifiuta di procedere con l’assalto, in quanto ancora sfornito dei 10.000 Svizzeri che aveva mandato ad assoldare:

El duca (di Urbino) se confida assai ne’ Svizzeri, persuadendosi che i’nostri senza questa spalla non stiano per stare saldi… con Loro (gli Svizzeri) si potrà essere certi se si doverà venire alle Piche per la paura che fanno a li inimici.

Dobbiamo tenere in considerazione che il successo dei Quadrati di fanteria non era esclusivamente dovuto alla forza dei Picchieri, ma anche a tutte quelle truppe specializzate di supporto che li accompagnavano. Erano questi gli “assi nella manica” durante le battaglie: gli Alabardieri, i Rotellieri e i temuti soldati armati di spadoni a due mani, che avevano l’arduo compito di creare scompiglio fra gli avversari, aprendo varchi nelle formazioni nemiche grazie al sapiente brandeggio delle proprie lame.

Gli Archibugieri completavano le formazioni miste, in una percentuale che andrà sensibilmente aumentando nel corso del XVII° secolo.

La Picca resta in ogni caso la spina dorsale dei Quadrati di fanteria e in base al periodo e al modo di utilizzo poteva avere dimensioni diverse, da un minimo di 3.5 mt fino a superare i 6 mt; stiamo quindi parlando di un’ arma estremamente ingombrante e di complessa gestione, soprattutto se consideriamo il suo impiego nel contesto di una battaglia, dove il fante è soggetto a diverse forme di pressione fisica e psicologica.

L’utilizzo doveva quindi formarsi secondo un rigido addestramento:

Il maneggio della picca era difficile ed esigeva un lungo apprendistato e la marcia a passo cadenzato…Tra i 16 e i 18 anni si apprendeva il maneggio della picca e la disciplina della formazione: scuola rude dove i più deboli venivano eliminati. Veniva curato anche l’addestramento per resistere a lungo nella corsa e per agire nel corpo a corpo contro i cavalieri. In questo intervento gli addestrati scivolavano in mezzo ai cavalli galoppanti dei nemici, afferravano parando i colpi, le briglie dei cavalieri e li tiravano giù dalla sella.

Lo sviluppo delle doti fisiche doveva procedere di pari passo con un perfezionamento tecnico: i “segreti” del mestiere venivano trasmessi solo ai componenti della propria famiglia o della propria borgata di appartenenza. Nulla rimane di questa maestria, perché nessuno ha lasciato per iscritto il frutto di questa tradizione.

Il maneggio della Picca era un segreto custodito gelosamente in famiglia; basti pensare agli svizzeri che combattevano fianco a fianco con fratelli, cugini e zii, e insieme a concittadini provenienti dalle stesse città o villaggi; questo sodalizio tra conterranei e consanguinei, ovviamente, cementava un fortissimo spirito di corpo oltre a profonde sinergie nel combattimento in formazione. Si formavano in questo modo interi battaglioni, composti da genti dure, avvezze ai rigori della vita militare, professionisti che avevano fatto della Guerra il loro Mestiere.

Altro fattore di successo di questi formidabili guerrieri era la rapidità di manovra e l’alto spirito combattivo. Non era sufficiente disporre sul campo di battaglia molti uomini che sapessero usare la Picca in Formazioni chiuse e serrate, dovevano anche essere estremamente flessibili e aggredire tempestivamente l’avversario con ingaggi fulminei, coordinando la formazione anche nel caos della battaglia e temperando la propria aggressività.

Furono sempre gli svizzeri i pionieri di tale strategia: per molte centinaia di anni le fanterie hanno svolto un compito prevalentemente di presidio statico del campo battaglia “piantando i loro scudi a terra e formando un muro con le lance protese, così da creare supporto alla cavalleria”. Così vengono descritte le Fanterie Lombarde del XIII sec. Stiamo parlando quindi di un assetto di battaglia statico, dove la fanteria aveva quasi l’esclusivo compito di creare sbarramenti e offrire riparo alla cavalleria, dietro le cui linee poteva riorganizzarsi fra una puntata offensiva e l’altra. Nel Rinascimento, come abbiamo visto, avviene invece la storica inversione dei ruoli.

Della maestria con cui questi picchieri utilizzavano l’asta, coordinandosi nelle formazioni serrate, rimangono ben poche testimonianze; tuttavia, l’analisi comparata di alcune fonti può offrirci dei validi strumenti per fare chiarezza e tentare di ricostruire il loro sistema di combattimento, le modalità di addestramento e la coordinazione di gruppo grazie alle quali questi veterani delle guerre rinascimentali sono divenuti così famosi oggi e temuti al loro tempo. Alcune cronache e alcuni fonti iconografiche (dipinti e incisioni) possono fornire informazioni circa i due principali modi di tenere la picca; una più di tutte è da ritenersi preziosa ai fini del nostro studio, dato che si tratta di una testimonianza diretta dal campo di battaglia.

Biagio de Monluc, condottiero e cronista Francese, ci offre una descrizione piuttosto chiara sul modo di impugnare la Picca durante la battaglia di Ceresole del 1544. Il Monluc, al comando della fanteria Guascona che stava per scontrarsi coi lanzichenecchi, così gridò ai suoi uomini: “Compagni miei, può darsi che non ci siano qui uomini di guerra che si siano trovati in battaglia. Se noi prendiamo la picca verso la fine e combattiamo con tutta la sua lunghezza, siamo sconfitti! poiché gli Alemanni sono più abili di noi in questa pratica. Ma bisogna impugnare la picca a metà come fanno gli svizzeri, e abbassare la punta per infilzare e passare avanti e voi verrete a sorprendere i nemici”.

Il Capitano e Maestro nell’Arte delle Armi, Pietro Monte, durante la battaglia di Rio Secco del 1508, sapendo che le sue fanterie veneziane si sarebbero scontrate con quelle alemanne, preferì un’altra strategia e ordinò che le picche venissero allungate di 60 cm, così da avere vantaggio sull’avversario; questa astuzia gli garantì la vittoria sul campo. Se incrociamo descrizione dettagliata del Monluc con questo riferimento iconografico, possiamo disporre già di una visione piuttosto completa dei modi in cui si impugnava la Picca.

picca picchieri battaglia ariotta
Hans Funk Vetrata 1532 ca. Battaglia dell’ Ariotta 1513. Lato sinistro picchieri svizzeri contro i colleghi Lanzichenecchi

L’Oplologia è un altro elemento che può avvalorare lo studio comparato delle fonti; è infatti fondamentale toccare con mano gli attrezzi del mestiere per potersi approcciare più correttamente al “sistema” di combattimento delle fanterie rinascimentali. Conoscendo le caratteristiche tecniche dell’arma, potremo avere un’ idea più chiara, tale da avvalorare le nostre ipotesi e interpretazioni.

Purtroppo, il limite di tutti i reperti inastati è ovviamente il deperimento del legno, materiale organico che sopravvive raramente sino ai giorni nostri. I pochi reperti superstiti e le svariate testimonianze dell’epoca (parliamo del primo quarto del XVI sec) ci parlano di aste in solido frassino che partivano dal calzo (parte finale dell’asta), di un peso e un diametro importanti, che andavano via via rastremandosi fino a dove l’asta si innestava nella gorbia della punta in metallo; il tutto era rinforzato da bandelle laterali atte ad evitare che la punta si scalzasse e contemporaneamente a proteggere il legno dagli urti del combattimento.

Una componente molto importante da tenere in considerazione è la produzione della picca, che, essendo un’arma di considerevole lunghezza e dagli specifici requisiti tecnici, necessitava di artigiani dalla grande esperienza nella produzione di aste e ferri per armarle. Le fonti a riguardo sono molto povere, ma anche qui i grandi Umanisti del passato hanno lasciato testimonianze sulla produzione di queste armi. La prime informazioni che emergono portano a pensare che le coltivazioni del legname per queste lunghe aste fossero regolamentate, come accadeva già per il legname destinato alla costruzione dei remi per le Galere da guerra, con l’individuazione di porzioni di boschi o foreste contrassegnate per la loro produzione.

picca picchiere
Ricostruzione di picca Alemanna del 1520_rievocatore Lanzichenecco: peso della picca in Frassino 10kg circa

Una fonte molto interessante è costituita dalla Relazione del Provveditore Veneziano Giovanni Da Lezze, che redige un rapporto dettagliato dei siti produttivi di Bergamo, in cui raccoglie numerose informazioni legate all’approvvigionamento di armamenti per conto della Serenissima Repubblica di Venezia. Risulta interessante considerare la capacità produttiva di un Follo (bottega) di un armaiolo, e trovare tra le sue opere armi inastate, fra cui la picca: “Una fusina de arme da talio lavora ogni giorno con un huomo ciovè spade o storte n.25…pugnali et daghe n.46… spontoni n.75… alabarde & Piche, spiedi, cortellazzi et altre simili arme n.18…”.

La fonte è ovviamente da interpretare; per “homo” si intende solitamente il Mastro Armaiolo, che disponeva di tutti quei lavoratori, più o meno specializzati, i quali componevano il personale della fucina capace di produrre questi ingenti quantitativi di armi. La fornitura di armi inastate era intesa già compresa del legno sul quale montava il ferro, con bandelle ed eventuali rinforzi; era quindi compito dell’Armaiolo occuparsi dell’individuazione della materia prima e della lavorazione del frassino stagionato per creare la robusta asta. Bergamo e Brescia erano famose per la produzione di armi, fra cui le Picche, e gli Estimi segnalano un gran numero di Mastri Armaioli specializzati nella produzione di armi inastate, chiamati “Mastri Lanzari”, la cui massima presenza parte dall’ultimo quarto del XV° sec. e perdura fino alla prima parte del XVII° Sec.

E’curioso anche scoprire le procedure per la realizzazione di un’asta lunga 4/6 metri, perfettamente dritta e di adeguata robustezza.

La fonte che riporta questo particolare è una stampa Tedesca di inizio XVI° sec. dov’è mostrato un artigiano che, tramite un attrezzo particolare, raddrizza dei lunghi arbusti destinati alla produzione di aste per picche; questa lavorazione somiglia moltissimo a quella utilizzata fino a pochi anni fa per la produzione dei legni per gli attrezzi agricoli nelle comunità di campagna:

picca costruzione
Stampa proveniente dalle cronache Svizzere di Johan Stumpf del 1586 -il costruttore di picche- fonte trovata da HROARR di R. Norling

Rimane dunque un ultimo aspetto da affrontare, cioè l’uso prettamente tecnico di un’arma così particolare, dalle caratteristiche uniche in termini di peso e di ingombro. Abbiamo visto come i reparti specializzati impugnavano la Picca e come erano organizzati, ma non sappiamo ancora come effettivamente venisse usata nel combattimento in formazione. A far luce su questo importante aspetto non potevano di certo mancare i trattatisti Rinascimentali, che espongono precisamente l’uso di tali armi.

Nel periodo cinquecentesco troviamo uno dei più grandi esponenti in quest’Arte, il M° Achille Marozzo, che dedica un intero Libro nella sua “Opera Nova” del 1536 all’uso delle armi inastate. Nello specifico, ci riferiamo al Cap 182 – Libro Quarto “Dello abattimento de picha overo lancioto da solo a solo.”, precisando nell’ introduzione “da Fante a piede”. Siamo in presenza di un reperto di grande importanza, la prima testimonianza scritta di un sistema d’utilizzo della Picca da fante riferito al periodo di nostro interesse: le formazioni di fanteria del primo Cinquecento. Molti sono i Maestri Italiani che espongono l’utilizzo di Armi inastate nel corso del tardo medioevo e del primo Rinascimento, come ad esempio il M° Fiore dei Liberi o il M° Filippo Vadi, ma Marozzo è il primo Autore a trattare in maniera sistematica l’uso della Picca. Anche nei paesi Germanofoni altri Maestri dopo di lui, affrontano l’impiego di aste molto lunghe, come il celeberrimo M° Joachim Meyer (Svizzero fra l’altro) nel suo splendido trattato “Gründtliche Beschreibung der kunst des Fechten” del 1571.

Quello che affiora nel trattato “Opera Nova” è un sistema di assoluta essenzialità, come del resto non sarebbe potuto essere altrimenti; un’arma così lunga e dal peso considerevole consente solo uno spettro di azioni limitato, un nucleo di pochi gesti, semplici e asciutti. La raffinatezza del sistema schermistico di Marozzo trova comunque modo di esprimersi anche in questa economia gestuale: il Maestro infatti compensa la limitazione dei movimenti complessi dell’Arma sviluppando alcuni passaggi di straordinaria bellezza ed efficacia.

Oltre alle classiche stoccate ascendenti e discendenti, e alle parate che urtano lateralmente l’asta avversaria, troviamo un elegante “Camuffo” di Picca, ossia quel movimento che, passando sotto all’asta dell’avversario, cambia il suo posizionamento tramite una cavazione. “Camuffando la mano” ci insegna invece il cambio della mano avanzata rispetto a quella arretrata, con conseguente sostituzione della spalla avanzata, mutando nello stesso tempo anche la gamba avanzata per eseguire un cambio di guardia. Altra raffinatezza compare nel passeggio chiamato “de Squillo”, cioè l’incrocio della gamba posteriore dietro quella avanzata, così da defilare la propria figura e offrire minor bersaglio ai colpi del nemico.

Nello stesso tempo in cui eseguiamo questo passo, che permetterà di trovare più agevolmente il fianco dell’avversario grazie ai gradi acquisiti, tireremo una “lancionata”. Questa sinergia tra il passeggio e un asciutto, razionale brandeggio dell’arma inastata, dà vita a un sistema estremamente efficace, che fornisce gli elementi essenziali per poter ricostruire l’uso bellico della Picca da parte dei reparti specializzati.

L’aspetto curioso che si riscontra leggendo il Marozzo è il modo in cui impugna la Picca, che pare essere alla “lanzichenecca”, ovvero con la mano arretrata vicina al Calzo dell’asta, o pedale, e non a metà (come presumibilmente facevano i reparti Svizzeri descritti precedentemente nella cronaca di Biagio de Monluc). Per completare il sistema, il Maestro contempla anche la possibilità di andare a quello che viene chiamato “Gioco Stretto”, quindi effettuare delle prese sull’asta avversaria.

Le prese vengono esposte marginalmente nel capitolo della Picca, ma ne troviamo menzione nel cap. 183 nel “De lo abattimento de spiedo da persona a persona.” dove, dopo essere andato alle strette con l’avversario, consiglia di estrarre la Spada o il pugnale e di colpire il suo fianco o di tirare un taglio alle gambe. In questo interessante passaggio, si giustifica la presenza e l’uso militare della famosa “Katzbalger” (al fianco di ogni lanzichenecco) o del classico pugnale da cinta comunemente in dotazione ai fanti rinascimentali.

Mentre le fanterie marciano attraverso le guerre del Rinascimento e del sanguinoso Seicento, la Picca continua a rimanere l’arma di linea più impiegata. I Trattatisti si sbizzarriscono in bellissimi compendi in cui vengono esposte tutte quelle essenziali maniere in cui la Picca dev’essere tenuta, in ogni fase della campagna militare. 

Emerge che il Capitano deve assicurarsi il buon addestramento dei soldati novizi su come si porta la picca: “Insegnerò loro a portare la picca in modo perfetto, tenendo la mano all’altezza della spalla e il gomito alto, con la mano destra al fianco o al pugnale; a camminare a passo sostenuto, e fare in modo che marciando il calcio della picca non passi la giuntura del ginocchio della fila avanti. Quando poi deve essere usata contro il nemico, ficcare bene il calcio in terra, in modo che sia più stabile e sicura. o durante una ritirata”

Tutti questi aspetti sono accuratamente descritti da Maestri come Francesco Alfieri, che ne parla nella sua opera del 1641, o come il cerimonioso ed elegante Maestro d’Armi Marin Bresciani, che scrive il suo Trattato “li Trastulli Guerrieri” nel 1668, dove, oltre a una minuziosa descrizione di come un buon soldato debba tenere la picca in ogni occasione (dalla marcia allo schieramento, fino alla ritirata strategica), espone quelle che chiama le “Volate”, una rassegna di abbellimenti, virtuosismi e prodezze.

Era costume diffuso al tempo che un Capitano di fanteria Gentiluomo, dovendo dare prova della propria bravura e perizia nell’uso della picca, la lanciasse in aria, facendola volteggiare per poi recuperarla con delle meravigliose acrobazie; talvolta si impiegava anche la spada per raccogliere la picca e per fare eleganti reverenze al degno pubblico.

Picca trattati marozzo alfieri bresciani
Immagini dei trattati di picca di: 1. Achille Marozzo. 2. Francesco Alfieri. 3. Marin Bresciani.

La Picca, come abbiamo visto, è stata indubbiamente una delle Armi protagoniste della Storia militare dell’Occidente, un’ innovazione tecnologica che consentì un mutamento radicale nella geografia sociale dei conflitti, riabilitando le fanterie deprezzate dalla guerra medievale.

All’alba della modernità, essa riapparve non più come l’arcaica Sarissa alessandrina, ma come il simbolo di un Mondo Nuovo: il Destino delle nazioni d’Europa, dalla groppa di un cavallo, si era sollevato sulla punta di una picca. Le masse erano entrate nella Guerra.

FINIS. LAUS DEO. AMEN

“Che i prodi si riconoscon già dalle lance che vibran stoccate, poiché gli antichi fasti dei Dorici guerrieri furon sempre d’esempio agli occhi dei cuori ardenti di Gloria di ogni tempo”. MdR

Moreno Dei Ricci per Zhistorica, Centro Studi GAIRETHINX, Sala d’Armi Guardia Di Croce, Scuola di Arti Marziali OPERA NOVA

Dedico questo Articolo a tutti i miei Fratelli d’Armi della Scuola di Arti Marziali “OPERA NOVA” e Sala d’Armi Guardia Di Croce, che con passione e costanza contribuiscono a rendere tangibili queste parole attraverso lo studio dei gesti degli antichi Maestri nell’Arte delle Armi. OLTRE!

Bibliografia Essenziale:

  • Francesco Guicciardini [Historia di Italia – 1561]
  • Giovanni Da Lezze [Descrizione di Bergamo e del suo territorio. 1596]
  • Biagio de Monluc [Commentaires del 1577 ca]
  • Achille Marozzo Bolognese [Opera Nova del 1536 – conservato nel MAM di Brescia]
  • Joachim Meyer [Gründtliche Beschreibung der kunst des Fechten ediz. Del 1571. – conservato nel MAM di Brescia]
  • Francesco Alfieri [La picca – In Padoua per Sebastiano Sardi, 1641. – conservato nel MAM di Brescia]
  • Marin Bresciani [Li Trastulli Guerrieri 1668 – Conservato nel MAM di Brescia]
  • Giuseppe Nova. Elaborazione dati a cura di L. Boschetti e M. Dei Ricci [Ricerche Archivio di Stato di Brescia – Estimi delle Corporazioni S. Faustino/Giovanni/cittadella Nuova/cittadella Vecchia – Armaioli di Brescia]
  • Francesco Rossi [Armi e Armaioli Bresciani del ‘400 – edizione 1971 commentari dell’ateneo di Brescia]
  • A.A. Settia [Comuni in guerra: armi ed eserciti nell’Italia delle città]
  • Roberto Gotti [Caino – edizione 2012]
  • Mario Troso [Le armi in asta delle fanterie europee dal 1000 al 1500 / L’ultima battaglia del Medioevo. La battaglia dell’Ariotta, Novara 6 giugno 1513 / Italia! Italia! 1526-1530. La prima guerra d’indipendenza italiana]

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