Robert Shirley è stato uno dei personaggi più importanti e, forse, meno conosciuti a livello divulgativo, tra quelli che hanno contribuito a costruire solidi rapporti tra Corona Inglese e Safavidi nel corso del XVII secolo.
Avventuriero dalla storia straordinaria, ha percorso in lungo e in largo Europa e Medio Oriente, intessendo rapporti economici, politici e militari con moltissime personalità dell’epoca.
Chiamarlo “avventuriero” è, probabilmente, una semplificazione. Robert Shirley proviene, infatti, dall’alta nobiltà inglese, ma, come entrambi i suoi fratelli maggiori (Thomas ed Anthony) ha una tensione naturale per l’avventura e la scoperta. Anthony, in particolare, passa la sua esistenza tra scorrerie corsare, addestramento di eserciti orientali e trame di corte.
La connessione degli Shirley con la Persia inizia nel 1598, quando Anthony viene inviato presso lo Shah di Persia con il compito di migliorare le capacità tattiche e tecnologiche dell’esercito safavide. È stato lo stesso Shah a chiedere il supporto inglese, in modo da potersela giocare alla pari (almeno dal punto di vista militare) con gli Ottomani, che hanno già una buona tradizione di rapporti amichevoli, quando non di alleanza militare, con la Francia.
Gli accordi tra lo Shah e gli inglesi sono chiari: hanno 6 mesi (dal 1 Dicembre 1599 al 31 Maggio 1600) per assolvere al loro compito. Anthony, 34enne, porta con sé il fratello minore Robert, di soli 17 anni. Dopo sei mesi, come da accordi, Anthony è pronto a ripartire alla volta dell’Inghilterra, mentre il fratello gli confida di voler rimanere alla corte di Abbas. Anthony acconsente, e Robert rimane lì.
Per otto anni.
Gode della fiducia dello Shah e, inoltre, ha il consenso di quest’ultimo per sposare, nel 1607, una nobile circassa, Sampsonia. In grado di padroneggiare diverse lingue e con una conoscenza ormai perfetta del persiano, Robert ritorna in patria nel 1608, su espressa richiesta di Abbas, in modo da poter concludere un’alleanza anti-ottomana con Re Giacomo I. L’addestramento delle nuove truppe Safafide ha infatti colmato il vantaggio militare degli Ottomani, tanto che la Persia sta ottenendo un successo dopo l’altro nella Guerra Safavide-Ottomana (1603-1618).
Robert passa in Europa i successivi cinque anni, recandosi presso sovrani, principi e papi. Nel 1611 è a Roma, presso papa Paolo V. La sua visita è stata immortalata anche in un dipinto nella Sala dei Corazzieri del Palazzo del Quirinale. Ritorna in Persia nel 1613, ma questa volta rimane solo due anni. Robert ha intessuto troppi rapporti diplomatici per essere “sprecato” in una monotona esistenza a corte. Nel 1616 ha un ruolo importante nell’accordo commerciale raggiunto tra lo Shah Abbas e la Compagnia delle Indie Orientali, che nel 1622 espugnano Ormuz, roccaforte portoghese nel Golfo Persico, e migliorano ulteriormente le loro entrate commerciali.
Nel 1617 è ancora a Roma, assieme all’adorata moglie, per trattare con Papa Gregorio XV la solita alleanza contro i Turchi. Ma Robert ha anche molti nemici. In patria, trova l’ostilità della Compagnia del Levante, in ottimi rapporti politici e commerciati con gli Ottomani, ma ci sono anche Francesi, Spagnoli Portoghesi – questi ultimi due dopo aver compreso che Persia e Inghilterra hanno intenzione di estrometterli dal Golfo Persico – a volerlo vedere fuori dai giochi. Non a caso, in occasione di uno dei suoi viaggi, scampa miracolosamente a un’aggressione portoghese.
Nel primo volume di The Patrician, scritto da John Burke nel 1846, è narrato un curioso episodio relativo agli ultimi anni della vita di Robert Shirley.
Nel 1623, egli si trova a Londra con la moglie come ambasciatore dello Shah di Persia. Per sua sfortuna, però, le lettere che lo accreditano come ambasciatore sono scritte tutte in persiano e, in tutta l’Inghilterra, non si trova un altra persona in grado di tradurle, ad eccezione di lui stesso. Robert viene accolto con tutti gli onori da Re Giacomo, ma, pochi giorni dopo, arriva a Portsmouth un altro ambasciatore di Persia, che viene confermato tale da tutti i mercanti della Compagnia delle Indie Orientali.
Per Robert è un vero e proprio affronto, tanto che decide di recarsi presso l’abitazione del rivale assieme agli uomini del suo seguito, tra cui Lord Cleveland. Dopo averli accolti, il Persiano chiede a Robert di vedere le sue credenziali ma, non appena questi le estrae dalla borsa, lo aggredisce, strappandogliele di mano e facendole a pezzi. Robert è basito, e non reagisce neanche quando il Persiano lo colpisce al volto con un pugno.
A questo punto, Lord Cleveland si mette in mezzo, senza accorgersi, però, che il figlio del Persiano sta per aggredire Robert alle spalle. Questa volta, dopo due ganci al volto, Robert va al tappeto. Lord Cleveland protesta con l’ambasciatore, avvertendolo di quello che rischia comportandosi in questo modo assurdo. Alla fine, i due lord inglesi ragguagliano Re Giacomo su quanto avvenuto e, lavandosene le mani, il Re decide di spedire entrambi i pretendenti al ruolo di ambasciatore in Persia, perché sia lo Shah a decidere.
Ci vogliono due anni e mezzo prima che si riesca a organizzare il viaggio e, nel corso dello stesso, il Persiano muore. Alcune fonti, in realtà, dicono che a morire sono entrambi gli ambasciatori, ma i resoconti di Sir Thomas Herbert confermano invece che Sir Robert Shirley arriva a Casbin (Qazvin, odierno Iran) accompagnato Sir Dodomore Cotton. Il racconto, qui, si fa confuso come la decisione dello Shah, che non si esprime anche perchè, probabilmente, ha appuntato entrambi come suoi ambasciatori, salvo poi scordarselo.
Ad ogni modo, l’ultimo viaggio di Shirley in Persia è proprio questo. Muore pochi giorni dopo, di dissenteria . Ha solo 47 anni. I Persiani lo seppelliscono con tutti gli onori, ben sapendo di aver perso un alfiere importante nello scacchiere geopolitico. Solo trent’anni dopo, la moglie Sampsonia chiede di poter portare i resti del marito con sé, a Roma, dove vuole ritirarsi in un convento. Ancora oggi, le spoglie di Robert sono nella Città Eterna, vicino a quelle della moglie, a Santa Maria della Scala.
Bibliografia |
- J. BURKE, The Patrician (Volume 1), 1846
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