Questa è la storia di una rivolta nell’Impero Ottomano. Una delle più decise e supportate dalla popolazione, portata avanti dal filosofo ed ex-membro del clero ortodosso Dionisio.
Dioniso nasce attorno al 1560 a Paramythia, da genitori epiroti. Gli Ottomani hanno conquistato la città circa un secolo prima (1449) e l’hanno rinominata Aydonat, inserendola nell’unità amministrativa del Sangiacco di Ioannina. La dominazione turca dell’Epiro, così come quella degli interi Balcani, è particolarmente feroce. Le città prendono nuovi nomi, è vietata la manifestazione di tradizioni precedenti e tutti i cittadini cristiani ed ebrei assumono lo status di dhimmi, ossia aventi minori diritti dei cittadini musulmani. Particolarmente inviso alla popolazione greca è il c.d. devshirmeh, il “tributo dei bambini”, in greco παιδομάζωμα (raduno dei bambini). Si tratta del famoso istituto con cui gli Ottomani costringevano le famiglie cristiane dei Balcani a consegnare loro 1 maschio su 5 tra i nati in seno a una comunità con una cadenza annuale di circa due anni. Questi bambini venivano convertiti forzatamente all’Islam e inseriti spesso nel corpo dei Giannizzeri.
Ma i cristiani sottomessi dei Balcani venivano colpiti anche dal punto finanziario. In A Historical and Economic Geography of Ottoman Greece: The Southwestern Morea in the 18th Century (Hesperia Supplement 34, 2005), leggiamo che in Epiro, attorno al 1580, ogni famiglia cristiana doveva corrispondere la Jizya (la tassa imposta ai non-musulmani residenti in un territorio governato da questi ultimi) pari a 250 akçes – la moneta d’argento dell’Impero ottomano – ogni anno, che si andava ad aggiungere alle tasse sul rendimento agricolo, superiori a quelle pagate dagli abitanti musulmani.
UNA DOMINAZIONE FEROCE
Quando l’Albania cede definitivamente a Maometto II, inizia uno dei periodi più difficili per il paese. I nuovi dominatori impediscono ogni espressione della cultura albanese e fanno stabilire decine di migliaia di turchi nelle città spopolate. I Cristiani subiscono le violenze e le tasse più dure. Molti di loro, per non vivere nella miseria e nel terrore del genocidio, abbracciano solo esteriormente l’islam, diventando criptocristiani. Molti, però, non vogliono rinunciare a ciò per cui hanno combattuto negli ultimi decenni. Così, alle tre ondate migratorie verso il Sud Italia della popolazione albanese avvenute prima della morte di Giorgio Castriota Scanderbeg, ne seguono altre cinque fra il 1478 e il 1774. A tutt’oggi gli Arbëreshë, gli Albanesi d’Italia (quasi 100.000 persone), continuano a tramandare le stesse tradizioni vecchie di secoli, al cui centro rimane la fede cristiana di rito bizantino. A parte l’adozione, nella maggior parte dei casi solo nominale, della fede islamica, gli Albanesi rimasti nella terra dei loro avi (specie nell’entroterra rurale) rimangono ostili ai governanti ottomani fino alla liberazione del paese, nel 1912.
In questo contesto, consapevoli delle difficili sfide che dovrà affrontare Dioniso – che si dimostra interessato alle cose religiose e allo studio – i genitori lo mandano a studiare a Padova, dove segue lezioni di medicina, logica, filosofia e astronomia.
Ritornato in Epiro, diviene un membro della Chiesa Ortodossa. Poco dopo si stabilisce a Costantinopoli, dove si trova sicuramente nel 1582, ma dopo pochi anni viene ordinato vescovo di Larissa, in Tessaglia. Dopo la vittoria cristiana di Lepanto (1571), l’Acarnania e la Tessaglia sono in fermento. Una violenta rivolta occorre nel 1585 e la situazione rimane estremamente tesa anche negli anni successivi. Dioniso è un uomo liberale, di ampie vedute, e particolarmente attaccato all’idea che, prima o poi, gli Ottomani saranno sconfitti. Il suo primo tentativo di creare un esercito popolare per realizzare i suoi propositi è del 1600.
Raduna diverse centinaia di contadini, esasperati dall’oppressione fiscale dei conquistatori, e riesce ad avere la meglio nei primi scontri con le guarnigioni nemiche. Alla fine, però, la sconfitta è inevitabile. Il religioso che lo accompagna, Sefarim, viene bruciato vivo dagli Ottomani. La sua carriera ecclesiastica giunge così al termine: la Chiesa Ortodossa non può fare nulla contro le pressioni del Sultano anche se le motivazioni ufficiali del suo allontanamento dalla Chiesa Ortodossa sono, ovviamente, altre, ossia l’aver contattato entità demoniache e praticato l’astrologia.
Dioniso fugge nella Repubblica di Venezia, dove cerca fondi per mettere in piedi un’armata più consistente. Poco dopo, raggiunge addirittura la Spagna, dove entra in contatto con un discendente dei Paleologo interessato a ripristinare l’Impero Bizantino. Dioniso riceve tante promesse, ma poco denaro. Torna in Epiro e, da lì, organizza il suo piano di ribellione.
UNA SOMMOSSA COEVA
Lo storico Phokion Kotzageorgis, studioso dei movimenti di liberazione balcanici dall’imperialismo ottomano, scrive che, nello stesso periodo, vi fu un altro tentativo di rivolta, organizzato da un uomo di Chiesa già protagonista di un altro tentativo di sollevazione nel 1596):
“Il più serio tentativo di ribellione in quel periodo – quello dell’Arcivescovo Athanasios Rizeas – ebbe luogo in Macedonia. Il primo contatto di Athanasios con gli Spagnoli ebbe luogo nel 1601, e fu lui stesso a tentare di fare una distinzione tra i suoi piani e quelli di Dionysios Skyosophos, che aveva iniziato una rivolta in Tessaglia quello stesso anno. Egli cercò di assicurarsi il supporto della Spagna e del Papa, creando, nel 1612, uno specifico piano d’attacco. In base a questo, le “potenze occidentali” avrebbero dovuto sbarcare inizialmente nei pressi di Preveza e da lì si sarebbero mosse verso l’odierna Macedonia occidentale, dove 12.000 locali in armi li avrebbero aiutati a riconquistare la regione.”
Alla fine però, le esitazioni dei suoi alleati fecero naufragare la sommossa.
Nel 1611 ci sono solo lui, ora cinquantenne, e un centinaio di uomini a disposizione, con i quali riesce a prendere due villaggi di coloni ottomani. Il suo nome attraversa le montagne, e attorno a lui si stringono altri 800 cristiani, armati di attrezzi agricoli e di 40 archibugi.
A questo punto, Dioniso immagina di poter mettere a segno un colpo ben più eclatante: la conquista della città fortificata di Ioannina. I quasi 1000 cristiani ortodossi, sebbene male armati, mettono a ferro e fuoco la città e uccidono diversi soldati turchi, ma il governatore Osman Pasha riesce a ritirarsi nel castello. Lì attende per qualche ora, mantenendo lo calma. Dispone di truppe ben addestrate e lascia ai suoi uomini tutto il tempo per armarsi e preparare i cavalli. All’alba, esce dalla fortezza caricando i rivoltosi, che si gettano in una fuga precipitosa e finiscono massacrati.
I primi ad essere catturati sono il secondo e il terzo in comando, Giorgio e Lambros. Osman fa inchiodare Giorgio a una croce e poi lo fa bruciare, mentre a Lambros chiede di convertirsi all’Islam e mettersi al suo servizio. Al rifiuto di quest’ultimo, gli fa tagliare naso e orecchie prima di farlo bruciare vivo. Dioniso finisce le mani dei Turchi tre giorni dopo, mentre cerca di riorganizzarsi assieme ai pochi uomini rimasti.
Davanti a Osman Pasha, Dioniso non trema. È in questo frangente che pronuncia le famose parole:
“Ho combattuto per liberare le persone dalle tue torture e dalla tua tirannia“.
Il carnefice ottomano inizia a scorticarlo quasi immediatamente. Osman vuole che l’epirota rimanga in vita il più a lungo possibile e, alla fine, Dioniso sopravvive al supplizio per cinque ore.
La sua pelle viene inviata a Costantinopoli dove viene riempita di paglia e portata in processione per la città (come accaduto a Marcantonio Bragadin a Famagosta).
Dioniso era conosciuto come il “Φιλόσοφος”, “il Filosofo”. Come ulteriore umiliazione, il Sultano fa attaccare un cartello al suo cadavere imbalsamato con scritto “Σκυλόσ (cane)- οφος”.
Tutti gli abitanti di Ioannina vengono cacciati dalla città, mentre l’antica chiesa di San Giovanni Battista, del periodo giustinianeo, viene distrutta dopo il massacro di tutti i monaci. Al posto della chiesa, Osman ordina la costruzione della Moschea di Aslan Pasha.
Dopo essere diventata il centro dell’Illuminismo epirota nel XVIII secolo, Ioannina viene riconquistata dai cristianinel 1913. La Moschea di Aslan Pasha non viene distrutta, ma trasformata in un museo.
I cittadini di Ioannina ancora oggi onorano il coraggio del vecchio Dioniso, cui è dedicato un busto nei pressi del luogo in cui passò i suoi ultimi giorni.
Nel caso qualcuno di voi voglia approfondire il contesto storico di questi eventi, consiglio vivamente di leggere questo capitolo tratto da un importante volume del prof. Phokion Koutsogeorgis, dell’Università di Tessalonica, ora disponibile gratuitamente in lingua inglese.
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Paramythia era una citta abbitata da Albanesi, la regione si chiama çameria, comprendeva dentro di se anche la regione dei Sulioti (i comandanti della rivolta anti ottomana che diedero l’indipendenza ala greccia), Albanesi orthodossi. A volte si fa l’errore di chiamare greci tutti i cristiani orthodossi, invece quall’area, era abbitata dai epiroti Albanesi!!! Articolo interesante, vi seguo da un po.
E vero, si fa questo errore con li ortodossi albanesi!
Confermo. Anche da arbereshe posso testimoniare che in Calabria gli Albanesi delle comunità albanofone sono ancora oggi detti “Greci”, sicuramente in virtù della loro appartenenza alla confessione di rito bizantino ma che riconosce il Papa.
Ottimo, completo e di grande interesse l’articolo.
Meraviglioso ogni volta addentrarsi nei particolari meno noti, ai comuni mortali come me, che dipingono a tinte vivaci la storia studiata a scuola ovviamente sommariamente.
Complimenti per la passione.