Pisa e gli Arabi. Un contrasto andato avanti per molti decenni e all’origine di un mito, quello di Kinzica, che vive ancora oggi.
Stretto tra migliaia di volumi dedicati (giustamente) a Genova e Venezia, l’approfondimento storico sulle fortune marinare di Pisa ha sempre stentato a raggiungere le ampie platee che meriterebbe. Eppure Pisa è rimasta, per lungo tempo, la potenza militare e commerciale più consistente del Tirreno. Prima di dedicarci agli anni di fuoco che videro Pisa opporsi all’invasione araba della Sardegna, è bene seguire le vicende della città toscana a partire dalla fine del VI secolo, quando le masnade longobarde (tema rilevante anche ai fini di Kinzica) occupano buona parte della penisola.
Per quanto riguarda l’egemonia longobarda su Pisa, alcuni storici pensano che Pisa abbia comunque mantenuto i suoi organi governativi. Certo è che, nel 603, la città toscana è ben conosciuta per la sua forza marittima ed è schierata con i Longobardi contro l’Esarca di Costantinopoli. In quell’anno, riceve addirittura la visita di un messo di Gregorio Magno, inviato per cercare la pace tra Greci e Longobardi. La lettera di Gregorio Magno (Epist. 35. Smaragdo patricio et Exarco) che ci comunica questo dettaglio recita:
“Abbiamo mandato un inviato nostro a Pisa, il più indicato a trattare una pace o una tregua con i Pisani, ma non abbiamo ottenuto nulla. I Pisani usciranno a breve con i loro dromoni per attaccare i sudditi dell’Imperatore”.
Il pericolo maggiore per le navi pisane, inizialmente rappresentato dalle navi greche, diventa, tra il settimo e il nono secolo, l’espansionismo islamico. Dopo aver messo in ginocchio l’impero d’oriente e distrutto quello sasanide, gli Arabi rompono la continuità istituzionale e religiosa del Mediterraneo, che, dopo quasi mille anni, cessa di essere il Mare Nostrum. Quando anche Cartagine e la costa Nordafricana cadono in mano degli Arabi, le coste italiane diventano una loro terra di preda. Per Pisa, il pericolo maggiore arriva però dagli Arabi che, all’inizio dell’ottavo secolo, hanno conquistato buona parte della penisola iberica.
Carlo Magno è uno dei sovrani più interessati alla costituzione di una marina forte, in grado di contrastare i Saraceni e commerciare con la costa opposta del Mediterraneo. Attorno all’800 (gli Annali Pisani riportano l’801 e il Fanucci il 782), un’ambasciata araba raggiunge il Porto Pisano, ma non vi trova Carlo Magno, già spostatosi a Genova. Lì riesce a ricevere gli Arabi, che gli fanno dono di merci preziose ed esotiche (e portano anche l’immancabile elefante).

Il potere di Pisa sul Tirreno cresce in modo consistente tra l’VIII e l’inizio del IX secolo. Il suo rapporto con le flotte islamiche (uso questo termine, in modo improprio, per parlare allo stesso tempo di arabi mediorientali, arabi e berberi nord-africani e arabi spagnoli) diventa sempre più di aperto scontro. Analogamente a quanto accade con Amalfi (cui Pisa è, dal punto di vista commerciale, molto legata), gli Arabi sono spesso apprezzati partner dal punto di vista commerciale, ma da quello istituzionale e militare diventano ben presto i nemici più temuti.
A partire dalla fine del VII secolo, i primi pirati arabi raggiungono le coste sarde, e mettono a sacco varie città e villaggi costieri per buona parte dell’VIII secolo. Posta geograficamente a poca distanza da Pisa, la Sardegna rappresenta uno snodo importante per le navi pisane, ma gli Arabi rendono sempre meno sicura la navigazione e spingono diversi centri abitati dell’isola a spostarsi verso l’interno.
Dopo aver sostenuto scontri in mare e subito diverse razzie (non a caso, il termine razzia deriva dall’arabo “ghaziyya”) costiere, i Pisani sono forse la prima forza europea a immaginare una vendetta clamorosa. Nell’828, a un secolo circa dalla vittoria di Carlo Martello a Poitiers, Pisa decide tentare un’incredibile prova di forza. Assieme ad altre città toscane e lombarde, mette insieme una grande flotta e, con il beneplacito del Papa, si spinge fino alla costa Berbera, nei pressi dell’attuale Mahadia (la Città d’Africa presa, sette secoli dopo, da Astorre Baglioni).
I soldati italiani, tra lo stupore degli Arabi, irrompono in città. Lo scontro è violentissimo e i morti si contano a migliaia. Probabilmente, alla fine sono gli Arabi ad avere la meglio, costringendo i Pisani a ritirarsi, ma l’impresa, dal punto di vista del morale, è riuscita. Ora gli Arabi sanno che Pisa può colpirli in casa loro, e che ci sono altre città costiere italiane (la già citata Amalfi su tutte) che possono mettere a dura prova le loro difese.
Ciononostante, le forze arabe acquisiscono un controllo sempre più consistente sul Tirreno. La stessa città di Roma, che nelle cronache islamiche del tempo è rappresentata come un deposito di immensi tesori, subisce un grave saccheggio nell’846, e si salva solo grazie all’imponenza delle Mura Aureliane (fatto, questo, che convinse Papa Leone a costruire le Mura Leonine). Luni, a poca distanza da Pisa, viene completamente rasa al suolo dai pirati saraceni nell’849, e neanche la vittoriosa Battaglia di Ostia, dello stesso anno, spinge i nuovi padroni del Mediterraneo a desistere.
I mari della Sardegna, specie dopo la progressiva e sanguinosa conquista della Sicilia da parte degli Arabi (Rometta, l’ultima roccaforte bizantina, riuscì a resistere fino al 965, a 140 anni di distanza dallo sbarco dei primi soldati saraceni), rimangono estremamente pericolosi. Pisa, che inizia ad avere propri quartieri in diverse città che si affacciano sul Mediterraneo, corre il rischio, assieme alla nascente potenza genovese, di trovarsi un nemico agguerrito a poche miglia di distanza.
Tra le città del Califfato di Cordova, Denia, sulla costa a ovest delle Baleari, è tra quelle dotate di una buona flotta. Il controllo della rotta delle Isole, che unisce geograficamente le Baleari stesse, la Corsica e la Sardegna, è considerato importantissimo anche dagli Arabi. Nonostante, e forse, anzi, proprio a causa del progressivo crollo delle istituzioni califfali all’inizio dell’XI secolo, un politico e militare arabo, conosciuto nelle cronache italiane come Musetto, accarezza il sogno di conquistare e governare l’intera rotta delle isole. Musetto, di origine slava (forse catturato da bambino), governa Denia fin dalla morte del suo capo Almanzor.
In Storia dei Tre Celebri Popoli Marittimi Dell’Italia, Veneziani, Genovesi e Pisani. Volume II (1818), Giovanni Battista Fanucci spiega la situazione in modo che oggi definiremmo “politicamente scorretto”:
Di quei Mori Musatto ne era il re e il condottiero, arabo potente in Affrica, già fatto padrone delle isole Baleari e di Denia sulla costa della Spagna presso Valenzia, da dove traeva e ciurme da navi, e popolaccio saraceno dato alle piraterie.
Lo stato di guerra civile che travolge la Spagna islamica all’inizio dell’XI secolo produce anche un gran numero di fazioni sconfitte, sfollati e predoni. Giustamente, il Martini si chiede quanti di questi soggetti abbiano deciso di imbarcarsi sulla flotta di Musetto. La data dell’invasione non è affatto chiara, ma sembra che il primo sbarco di massa sia avvenuto nell’anno 1000. Musetto, stando ad alcune fonti, ha un centinaio di navi e diecimila uomini, anche se dimezzare i numeri sembra (in questo e in altri casi) un esercizio proficuo ai fini di una corretta ricostruzione.
I Sardi si difendono da soli. Subiscono gravi perdite, ma riescono a infliggere alcune sconfitte ai Saraceni. I Giudici Bosone d’Arborea e Comita di Torres rispondono colpo su colpo per mesi, e in un’occasione è la figlia di Comita, Verina (il cui marito è stato appena ucciso dagli Arabi), a spronare i suoi all’attacco. I Saraceni contano duemila morti e, alla fine, battono in ritirata.
Musetto però è un uomo orgoglioso e un condottiero tenace. Nel 1002 si porta nuovamente in Sardegna, e questa volta riesce a conquistarne una parte. La Barbagia, che, con un eccesso di semplificazione, possiamo definire la zona della Sardegna centro-orientale che converge verso il massiccio del Gennargentu, diventa il rifugio di Giudici e Vescovi. Una zona impervia, inespugnabile, dove la popolazione autoctona sarda ha resistito ai Cartaginesi, ai Romani, ai Vandali e ai Greci. Ancora nell’XI secolo, probabilmente, sopravvivono lì sacche di paganesimo sfuggite all’opera evangelizzatrice degli inviati di Gregorio Magno e dell’Imperatore d’Oriente.
Con la Sardegna e la Corsica praticamente in mano alle masnade di Musetto, a temere per la sopravvivenza della costa tirrenica della penisola è anche il Papa, che, nel 1003, chiede ai Pisani di intervenire. A Pisa, ovviamente, la Sardegna interessa molto. Oltre alle risorse naturali, l’isola sarebbe una barriera naturale alle incursioni saracene. Il rapporto geografico tra Pisa e Sardegna è, tra l’altro, molto simile a quello che intercorre tra Genova e la Corsica.
Tornando al 1003, i Pisani sono restii ad intervenire in modo decisivo in Sardegna, come chiesto dal Papa, per due ragioni principali: (i) le posizioni occupate da Musetto in Sardegna sono molto più solide di quelle corse; (ii) la città di Lucca, rivale di Pisa, è una minaccia troppo concreta per pensare di impiegare molti soldati in mare. Ad ogni modo, uno dei consoli pisani, Filippo Visconti, incendia gli animi dei suoi concittadini e li convince all’azione.
La flotta pisana, guidata dall’ammiraglio Orlandi, intercetta quella araba a circa dieci miglia dal porto di Civitavecchia. Pur essendo in minoranza numerica, i Pisani riportano una grande vittoria, impadronendosi di diciotto vascelli nemici e facendo centinaia di prigionieri. E’ un momento di pura esaltazione, e l’Orlandi, probabilmente, pianifica di puntare dritto verso la Sardegna, ma le forze pisane sono costrette a tornare verso la città per respingere (con successo) un’incursione di Lucca.
L’attacco alle basi sarde di Musetto è solo rimandato. Nel 1004, la flotta di Pisa sbarca a S.Lucia e saccheggia le proprietà arabe, poi si dirige a razziare Olbia. Musetto però non è uno sprovveduto, e fa convergere forze di terra e di mare da Cagliari per circondare i Pisani. Questi ultimi riescono però a imbarcarsi e a tornare sull’altra sponda del Tirreno, rientrando in città carichi di bottino.

Gli Arabi sono pienamente consapevoli del pericolo che corrono. Le loro basi sono sì abbastanza stabili, ma controllano solo una piccola parte del territorio sardo e, soprattutto, devono fare i conti con la profonda ostilità della popolazione. A quanto sembra, alle bande di Muscetto si aggiungono pochi altri contingenti da Spagna, Baleari e Nordafrica. Le taifas, gli stati sorti in Spagna dopo la caduta del califfato, sono in guerra costante tra loro (cosa che agevolò la Reconquista), mentre gli Arabi e i Berberi nordafricani non sono particolarmente amichevoli nei confronti dei loro cugini. Musetto ha intenzione di rispondere al duro colpo inflittogli da Pisa con un’azione altrettanto spericolata.
E trova il momento giusto l’anno successivo, quando i Pisani sono impegnati con altri pirati Arabi, quelli che dalla Sicilia, sotto il loro controllo, infestano le acque calabresi dopo aver preso proprio Reggio Calabria. Pisa, la potenza tirrenica in ascesa, espugna proprio Reggio e massacra tutti i Saraceni con grande giubilo della popolazione locale. La voglia di rivalsa e la fame di bottino dell’ammiraglio Pandolfo Capronesi e dei suoi uomini porta le navi pisane a trattenersi oltre il dovuto nelle acque del sud.
I Pisani liberano Amantea, Tropea e Nicotera, roccaforti arabe in Calabria, e tornano indietro con un ricco bottino. Quando approdano però, il 6 Agosto, invece di essere accolti dalla popolazione in festa, si trovano davanti uno spettacolo terribile. Parte della città è stata devastata da un’incursione di Musetto, che ha razziato e incendiato.
Il comandante arabo non è riuscito a portare a termine il suo proposito di distruggere la città solo grazie all’intervento di una donna avvolta nel mito, quella che Paolo Tronci, nei suoi Annali di Pisa (1829) chiama “Chinsica Sismondi o Gismondi”. Chinsica, chiamata anche Kinzica, sentendo urlare “al fuoco, al fuoco” corre dai governanti di Pisa e fa suonare le campane. Uomini, donne e anziani scendono in strada e si uniscono ai soldati rimasti in città. A questo punto, gli Arabi desistono e tornano in tutta fretta alle navi, facendo rotta verso la Sardegna.
Sull’effettiva data di questo saccheggio e dell’intervento di Chinsica si è molto dibattuto. Alcuni storici reputano che l’episodio debba essere spostato al 1016, nel corso di un’altra scorreria araba, ma, allo stato attuale della ricerca, è difficile optare per l’una o l’altra data. In questo articolo, ho preferito seguire la linea cronologica degli Annali Pisani. Si è dibattuto anche sul nome di Chinsica/Kinizica, per lungo tempo (e infondatamente) considerato di origine araba soprattutto in ragione del fatto che, a Pisa, erano presenti mercanti mediorientali e nordafricani.
In realtà, però, la presenza di stranieri è attestata dall’XI-XII secolo e sia il cognome (Sismondi/Gismondi) sia il nome stesso, derivante dal longobardo Kinzic, non lasciano dubbi sull’origine germanica. L’opera di Maria Giovanna Arcamone (in Chinzica : Toponimo Pisano di origine Longobarda, in Bollettino storico pisano, Bd. 47 (1978) e dell’archeologa Simona Betti sono, in questo senso, assolutamente convincenti.
Nel 1005 dunque, diventa chiaro che Pisa e lo “stato” (o meglio, le “enclavi portuali”) di Musetto in Sardegna non potranno coesistere. In pochi anni, le forze italiane e quelle arabe si scontreranno ancora, stavolta con esito definitivo, ma questa è un’altra storia. A partire dal 1006, a detta del Tronci:
“Pisa rinacque più bella dalle sue rovine, ed allettò fin dai primi momenti la speranza e il desiderio di rifarsi sui Saraceni delle perdite sofferte, e di lavarne l’onta nel loro sangue.”
Bibliografia |
- BERTOLOTTI, Davide. Gli Arabi in Italia. 1838 (pgg 90-119)
- TRONCI, Paolo. Annali Pisani. 1829 (pgg 142-172)
- FANUCCI, Giovanni B. Storia Dei Tre Celebri Popoli Marittimi Dell’Italia, Veneziani, Genovesi E Pisani.Volume I, 1818. (pgg.87)
- FANUCCI, Giovanni B. Storia Dei Tre Celebri Popoli Marittimi Dell’Italia, Veneziani, Genovesi E Pisani.Volume II, 1818. (pgg 30 on)
- MARTINI, Pietro. Storia delle Invasioni Degli Arabi e Delle Piraterie Dei Barbareschi in Sardegna, 1861 (pag. 160)*
*Il Martini, pur avendo scritto un’opera straordinaria, ha usato tra le sue (numerose) fonti anche le famose Carte di Arborea, una serie di falsi del 1845 condannati anche dal Mommsen in persona.
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Molto interessante
Grazie
Molto gentile Piero!
Articolo bellissimo, come molti del resto che ho visto qui. Mi permetto di segnalare un refuso: “Dopo aver messo in ginocchio l’impero d’oriente e distrutto quello sasanide, gli Arabi rompono la continuità istituzionale e religiosa del Mediterraneo, che, dopo quasi mille anni, cessa di essere il Mare Nostrum. Quando anche Cartagine e la costa Nordafricana cadono in mano agli Arabi, le coste italiane diventano una loro terra di preda. Per Pisa, il pericolo maggiore arriva però (?)dagli Arabi che, all’inizio dell’ottavo secolo, hanno conquistato buona parte della penisola iberica.” Era già stato affermato in maniera chiara che il pericolo erano gli arabi, dunque quel “però” non ci sta o forse c’è qualche altro errore di battitura? Inoltre ho una richiesta: è possibile un articolo (o più) proprio sulla sardegna nei primi secoli del Medioevo? Non so se esiste già qualcosa del genere su questa pagina.
Grazie per la segnalazione Michele! Quanto alla Sardegna, ci saranno sicuramente altri articoli sull’argomento, anche se bisogna prestare molta attenzione alle falsificazioni di metà XIX secolo di cui ho parlato nell’articolo.
Ciao Zwei! Complimenti come al solito per l’articolo.
Hai in programma, in futuro di trattare la battaglia di Poitiers a cui spesso fai riferimento?
Mi ha sempre incuriosito anche se oggi è stata un po’ declassata a grande scorreria più che a battaglia definitiva per fermare l’islam.
Una battaglia molto importante, ma non penso che ne parlerò!
molto interessante , anche se in alcuni punti spunta un certo ” retrogusto di maragoniana memoria” . scherzi a parte, ho apprezzato molto quello che ha scritto.
Ahhaha, grazie Gianluca!
Articolo molto bello e interessante, ripropongo comunque una suggestione/mito dei cosiddetti “Pastori Alfei”
Chinzica o Kinzica, anche se è opinione piuttosto diffusa che il toponimo derivi dall’arabo, sembra più probabile, in base a studi etimologici (e per ragioni cronologiche, visto che appare già in epoca altomedievale) che derivi dal longobardo Kinzig, termine riferibile ad una depressione del terreno, ovvero ad un livello più basso della sponda meridionale del fiume Arno rispetto all’altro, dove era la cives Alfea.
Il nome Chizkiya (tipicamente ebreo) può inoltre essere utilizzato sia per i maschi che per le femmine, come ad esempio il nome sassone Andrea. Il significato è: potere di Dio.
Una delle leggende della pisana Chinzica, moglie di un Sismondi, era che fosse una principessa.
Forse discendente di quel Zakkai, da cui discenderebbero anche i Pagano, detti Eb(u)riaci, secondo alcune genealogie presenti in web, che misero poi a disposizione la propria flotta per la crociata delle Baleari nel 1013?
L’ammiraglio Ugo I di Pagano, pisano, da Vecchiano, e’ citato nella presa delle Baleari (in Annali Pisani del Tronci e nel Libro di Maiorca e nel “Liber maiolichinus de gestis pisani populi”, traduzione di Pietro Loi di un manoscritto conservato presso la Biblioteca Universitaria di Pisa, ed. Giardini, Pisa, 1964).
Per gli “eruditi” pisani (Pastori Alfea) l’ammiraglio Ugo Eb(u)riaci, era Ugo I di Pagano da Vecchiano, che mise a disposizione la sua flotta per la crociata delle Baleari, il figlio, Ugo II, costruì i castello di Goceano in Sardegna, la cui figlia sposò Gonario II Lacon Gunale, templare, morto nella abbazzia di Clairvaux nel 1182.
Grazie Ago!
Mi piace leggere i tuoi articoli, sempre interessanti.
Nell’attesa di leggere qualcosa su Amalfi, ti segnalo che si è perso un pezzo di un periodo alla fine di:
“I Sardi si difendono da soli. Subiscono gravi perdite, ma riescono a infliggere alcune sconfitte ai Saraceni. I Giudici Bosone d’Arborea e Comita di Torres rispondono colpo su colpo per mesi, e in un’occasione è la figlia di Comita, Verina (il cui marito è stato appena ucciso dagli Arabi), a spronare i suoi all’attacco. I Saraceni contano duemila morti e, alla fine, battono in ritirata. L’unico problema di questa ricostruzione(?)”
I Saraceni africani hanno un legame con gli Ziridi e il loro re Moezz-Ebn-Badis? Erano conosciuti anche per le loro campagne marittime