La Battaglia di Avarayr, per quanto distante nel tempo, rappresenta la summa della vis pugnandi armena.
Troppo spesso gli studiosi occidentali del tardo antico dimenticano i grandi avvenimenti accaduti al di fuori dei confini romani. Non parlo del grande Impero Cinese, nè del periodo Kofun giapponese, ma del’Impero Sasanide, l’unico nemico di Roma con un esercito al suo livello, un potere centralizzato, una struttura amministrativa complessa, e dell’Armenia, regno autonomo, poi provincia, e ancora regno autonomo.
Prima di essere completamente annientato dall’impeto islamico, l’Impero Sasanide raggiunse delle dimensioni enormi ed intrattenne rapporti con gli Imperi e le popolazioni limitrofe, divenendo un tramite importante nei commerci occidentali con le regioni orientali.
Non tutti sanno che, un mese prima che Ezio affrontasse gli Unni ai Campi Catalaunici, sconfiggendoli grazie all’alleanza con alcune popolazioni germaniche, si era combattuta una battaglia dai numeri impressionanti fra l’Impero Sasanide e la sua ultima provincia, l’Armenia Orientale, ad una manciata di chilometri dal confine con l’Armenia Occidentale (Armenia Minore), divenuta parte dell’Impero Romano.
Ai Campi Catalaunici le stime più ottimistiche parlano di 50.000 combattenti per parte, mentre alla Battaglia di Avarayr ne prese parte, forse, un numero anche maggiore. Sono, comunque, del tutto inverosimili le stime che parlano di 200.000 o addirittura 360.000 guerrieri. Una cifra vicina ai 100.000 complessivi potrebbe essere, invece, più realistica.
L’Armenia aveva alle spalle una lunga storia come stato indipendente e come protettorato romano. In sostanza, solo Traiano l’aveva ridotta a una vera e propria provincia (per pochi anni). La posizione degli Armeni era poi complicata dal punto di vista geografico e politico, visto che si trovavano schiacciati fra due grandi imperi, ma riuscirono quasi sempre a ritagliarsi uno spazio con il loro stato “cuscinetto”.
2. Cenni storici
Nel III secolo a.C., l’Armenia era uno stato mediorientale solido e indipendente. Il suo unico vero problema era rappresentato dalla posizione geografica: a est l’Impero persiano, a ovest la Repubblica Romana, sempre più potente ed interessata ad estendere la propria egemonia alla parte orientale del mediterraneo. L’Armenia non cedette.
Fu sconfitta pesantemente dai Romani nella Battaglia di Tigranocerta (69 a.C.), ma il grande sovrano Tigrane continuò a regnare come alleato di Roma fino alla sua morte, nel 55 a.C. L’Armenia rimase a lungo nell’orbita dell’impero romano, ora come vassallo, ora come alleato, ma mantenne sempre la sua unicità.
Fu addirittura il primo stato a dichiarare il Cristianesimo religione ufficiale, nel 301, dodici anni prima dell’Editto di Costantino e quasi un secolo prima di quello dei Teodosio.
Fra l’adozione del cristianesimo e la fine della dinastia Arsacide passarono quasi centotrenta anni (301-428), durante i quali il cristianesimo divenne l’importante collante sociale di un popolo geloso della propria indipendenza e unicità.
Proprio nel 428 i nobili locali (nakharars) rovesciando la dinastia Arsacide dopo quattro secoli di regno, consegnarono il paese ai Sasanidi.
3. Le origini del conflitto
Yazdegert II aveva intenzione di estendere lo zoroastrismo all’Armenia, tanto che convocò a Ctesifonte i più importanti nobili locali per convincerli a tagliare i legami con le chiese occidentali. Non ebbe gran successo, e il Gran Vizir Mihr-Narseh fu costretto ad emanare un editto con il quale, in sostanza, dava un ultimatum alla nobiltà armena: zoroastrismo o persecuzione.
I nobili, sia quelli della fazione filo-romana che quelli della fazione filo-sasanide, si riunirono in assemblea presso Artashat nel 449. Alla riunione presero parte anche diversi vescovi e altri personaggi di rilievo. Ne uscì un rifiuto netto, unanime, dello zoroastrismo.
Yazdegert II andò su tutte le furie. Non poteva sopportare un simile rifiuto. L’Armenia era sua e doveva sottostare alle sue decisioni, al suo Dio. Chiamò i nobili armeni a Ctesifonte per la seconda volta, giurando che avrebbe distrutto le loro case e ammazzato i loro figli se non si fossero inginocchiati ad adorare il sole nascente assieme a lui. I nobili lo assecondarono e furono rispediti in Armenia con 700 Magi (i sacerdoti di Zoroastro) per procedere alla conversione dell’intero popolo armeno. Una pessima, pessima idea.
I Magi tentarono di sovvertire le usanze di un popolo già civilizzato senza preoccuparsi delle conseguenze. Ai preti cristiani fu proibito l’insegnamento, fu abolito il matrimonio in favore della poligamia, furono eliminate le limitazioni ai rapporti fra consanguinei (venne ampiamente permesso il matrimonio fra padre e figlia o fra nonno e nipote), fu addirittura introdotta la pratica di lavarsi le mani con il piscio di vacca per evitare la “contaminazione” dell’acqua.
Il primo segno di rivolta fu guidato da un prete, Ghevond, che si mise alla testa degli abitanti del suo villaggio, armati di bastoni e forconi, e mise in fuga diversi Magi.
Ma ormai tutto il popolo armeno era in subbuglio. Tutti vedevano in Vartan, Sparapet dal 432 e nobile della casa dei Mamikonian, il leader militare da seguire. Era infatti tradizione che il generale supremo degli armeni provenisse da quella casata, ma non solo, Vartan era anche un filo-romano, insofferente ai soprusi dei sasanidi.
L’esercito armeno fu diviso in tre armate. La prima, guidata da Nershapuh, fu inviata a coprire il confine a nord; la seconda, quella di Vassak (capo della fazione filo-sasanide), rimase stabile nel Sewniq, la provincia montuosa al confine con l’Impero Sasanide; la terza, capitanata da Vartan, fu schierata a difendere l’Albania caucasica.
Nessun aiuto dai Romani. Impossibile per l’Imperatore privarsi di migliaia di soldati con Attila che imperversava fra due metà dell’Impero. Gli Armeni dovevano vedersela da soli.
Inizialmente gli Armeni ottennero diversi successi militari. Nulla di eclatante, ma servirono a dar loro morale. D’altro canto, lo stesso morale acquistato negli scontri di frontiere crollò a pezzi quando Vassak decise di schierarsi con i Sasanidi. Vartan tornò immediatamente nel Sewniq con il suo esercito, sconfisse i contingenti sasanidi, ma non riuscì a raggiungere Vassak, che si era rifugiato in una impenetrabile fortificazione del Sewniq. Ormai era inverno, e nessun esercito poteva combattere con la neve fino alle ginocchia.
Vartan congedò le truppe (forse fino alla primavera) e al tempo stesso cercò una mediazione con Yazdegert II. Questi era appena tornato da una spedizione fallimentare nel Kushan, quindi accettò l’obbedienza politica degli armeni in cambio delle libertà religiosa. In realtà l’Imperatore Sasanide stava solo prendendo tempo, visto che la sua armata, guidata dal del Gran Vizir Mihr-Narseh, attraversò il fiume Arax solo pochi mesi dopo, nella primavera del 451.
L’esercito di Vartan fu costretto a percorrere 120 miglia in 5 giorni per raggiungere il nemico.
4. La battaglia
Vartan era riuscito a mettere insieme un contingente importante. Circa 66.000 tra fanti e cavalieri, compresi parecchi volontari civili. La spina dorsale dell’esercito era formata dalla cavalleria leggere e da quella pesante (armata come i clibenarii), ma le cronache riportano anche un gran numero di arcieri e lancieri. Una forza in grado di reggere il campo con qualsiasi esercito occidentale, ma forse non abbastanza grande da respingere il mostruoso esercito sasanide.
Yazdegert e Mihr-Narseh infatti avevano messo insieme un’armata capace di far impallidire quella di Serse. Elefanti da guerra con torrette per gli arcieri, cavalleria Savaran, arcieri a cavallo, fanteria pesante, addirittura un contingente unno, per non contare i 30.000 armeni di Vassak, pronti a combattere contro i propri fratelli. In tutto, forse, quasi 70.000 uomini (ovviamente 300.000 per le fonti armene).
Il 26 maggio 451 i due schieramenti erano divisi dal fiume Tghmout. A prescindere dall’epilogo di quella giornata, la storia dell’Armenia sarebbe cambiata drasticamente. Vartan lo sapeva, quindi pronunciò un discorso adrenalinico sull’obbligo di difendere la loro terra e la loro fede, che si concluse con queste parole:
Chi credeva che il Cristianesimo fosse per noi un abito, ora saprà che non potrà togliercelo, come il colore della nostra pelle.
Nel frattempo, i sacerdoti (sembra fossero diverse centinaia) distribuivano l’Eucarestia e le benedizioni.
La cavalleria armena attraversò il fiume con una prima carica, creando scompiglio nell’ala destra del nemico, formata dalla cavalleria “ausiliaria”. Le linee arretrate dei sasanidi però si riorganizzarono, e alla fine riuscirono a far ripiegare l’ala sinistra armena. Nel frattempo, gli armeni erano riusciti a mettere in difficoltà tutto il fronte d’attacco sasanide. Vartan stesso, vedendo la ritirata dell’ala sinistra, decise di prestarle soccorso. Riuscì a sfondare, ritrovandosi all’interno delle linee nemiche. Una scelta avventata la sua. Sfondare le linee nemiche solo per ritrovarsi davanti una tenaglia di avversari non può certo definirsi una strategia sensata. Ed infatti Vartan trovò ad attenderlo la morte. Un vero e proprio martirio che lo vide combattere fino all’ultimo. Caduto il loro generale, gli Armeni si videro persi. Le fonti ci dicono e si ritirarono nei castelli e nelle fortificazioni montane.
In effetti il numero dei caduti sul campo sembrerebbe supportare una cessazione quasi improvvisa della battaglia e la mancanza di una ritirata scomposta (è in quel momento che si facevano la maggior parte delle uccisioni). In tutto morirono circa 3.500 persiani e poco più di mille armeni. 1.036 martiri. Vartan divenne San Vartan, uno dei tanti santi degli albori con pochi testi sacri e tanto acciaio per le mani.
5. Conseguenze
Pur uscendo vittorioso dalla battaglia, Yazdegert comprese che gli Armeni avrebbero provocato tanti e tali problemi alle sue forze militari da costringerlo a continue (costosissime) battaglie. La concessione della libertà di culto, che molti autori considerano una conseguenza diretta della battaglia di Avarayr, venne concessa solo 33 anni dopo. Ne consegue che per tre decenni di guerriglia fra filosasanidi, con Vassak in testa, e nazionalisti, guidati da Vahan (nipote di Vartan), continuarono a scuotere il paese. Solo nel 481, sfruttando i continui conflitti che doveva affrontare il sovrano sasanide Peroz I, Vahan riuscì ad organizzare una vera e propria rivolta contro i Magi.
Così, nel 484, Vahan Maminokian e Peroz I (che morì di lì a poco) firmarono il Trattato di Nvarsak, con il quale gli armeni conquistarono definitivamente la libertà di professare il cristianesimo.
Gli Armeni continuarono a lungo la loro lotta per l’indipendenza, ottenendola e riprendendola a più riprese fino alla definitiva conquista musulmana. Furono proprio gli Ottomani, nel momento del crollo definitivo del loro impero (I guerra mondiale) a dare il colpo più pesante a questo popolo di ruvidi lottatori. Uno dei genocidi più terrificati di sempre. Uno dei più silenziosi. Ma questa è un’altra storia.
Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta il 15 Giugno 2010.
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Veramente molto interessante. Bell’articolo, bravo.
E’ bello vedere quante vicende storiche interessanti e battaglie avvincenti siano state combattute al di fuori del mondo mediterraneo.
Giusto per cuorisità, Zwe, che tu sappia è mai stato scritto qualche romanzo in relazione a questi fatti?
Attaccare al di là del fiume, follia!
Al di là della superiore esperienza strategica dei Sasanidi, nonchè degli effettivi, un attacco del genere è suicida se non si hanno rinforzi al di là del fiume (penso a – quasi due millenni prima – Qadesh, dove Ramses non perse l’esercito per pura fortuna)
i turchi, dopo esser stati sconfitti dai russi sul fronte caucasico, durante la loro ritirata fecero pulizia etnica degli armeni, fu il primo genocidio mai perpetrato nella storia del ventesimo secolo
fecero lo stesso in Bulgaria nel 1877/78. Tradizione antica.
Spero di riuscire a parlarne a breve
Mi sa che ho perso diversi post (aggiorni troppo in fretta!), recupero da questo. Molto interessante. I clibenarii che dici sono i Clibanarii, giusto? In pratica più o meno sempre cavalleria pesante. Ed in effetti le perdite persiane furono massicce, forse se Vartan non avesse sfondato alla fine i persiani stessi avrebbero ceduto per i buchi che si erano creati. Ma penso che avessero comunque altri ausiliari pronti, nel caso.
Sì questo è sicuro, come per tante altre battaglie di svolta. E Vartan non sarebbe diventato San Vartan martire, dato che sfortunatamente per diventare martire… bisogna morire!
Zweilawyer scrive:
giugno 24, 2010 alle 12:15 pm
Una cosa dovevano fare: massacrare i musulmani. Hanno agito bene direi, la loro civiltà è scomparsa nel tentativo.
Ecco, alla fine un errore lo dovevo fare =( scusami Azzarol, ho saltato il tuo commento, lo aggiungo qui sotto:
azzarol scrive:
giugno 24, 2010 alle 6:00 am
ah mi sono dimenticato di scrivere che odio i parti solo per il culo che hanno fatto a roma e per il culo che hanno avuto in molti casi (vedi cesare e idi di marzo, preparazione spedizione in partia)
Grazie Alex, nonostante sia piuttosto bene è uno degli articoli che mi hanno più appassionato.
…E mentre cerchi qualcosa sul Genocidio armeno, trovi una meravigliosa perla.
Articolo bellissimo Zwei. ^^
Grazie Ishamael,
anche se l’articolo verte su un evento accaduto quindici secoli prima del genocidio, credo si capisca bene, anche dalle parole di Vartan, che il senso di appartenenza e l’unicità armene sono un qualcosa di unico. Anzi, mi sarebbe piaciuto fare un parallelo fra Armeni ed Ebrei, accomunati da persecuzioni, battaglie combattute per difendere il proprio credo, diaspore e dal generale fastidio provato da alcuni popoli per il solo fatto di averli come vicini di casa.
Purtroppo per fare qualcosa del genere dovrei trovare il tempo necessario da dedicare a uno studio matto e disperatissimo.
Bell’articolo!ti seguo già da un po’!
Unica perplessità: non è un po’ prestino parlare di “nazionalismo“ armeno per eventi avvenuti nel 5 secolo d.c.?
Mi permetto di farti questo appunto, memore di traumatiche esperienze universitarie in cui venni tacciato di avere una insana tendenza all’anacronismo terminologico!
Sempre in gamba!non vedo l’ora di leggere il prossimo articolo
Nino, è positivo il fatto che la maggioranza di SEL non voglia andare con SChulz. Penso che la stessa maggioranza non sarà d’accordo se qualche eventuale eletto di SEL (ma perchè non potrebbe essere eletto uno di PRC?) andasse con SChulz. IN Sel ci sono compagni validi, non sono tutti Svendoli.
Amico mio, ma quale Schulz e Schulz.
Meglio andare con Yazdegert II! Un nome, una garanzia!
Poco più di centocinquantanni dopo l’imperatore Eraclio sconfisse duramente Cosroe, imperatore sasanide. Ma non fu un bene perché l’impero sasanide, fortemente indebolito, fu pochi anni dopo travolto dagli arabi, con tutte le conseguenze che ne scaturirono.
Come al solito un articolo interessantissimo che merita tanti complimenti.
MI permetterei solo di fare una nota (senza offesa per gli amici Armeni). Il background politico che date è quello della storiografia “tradizionale” che da una visione molto agiografica della situazione, che è parte del mito fondante della nazione armena. In breve: la devota nazione armena tutta unita sotto la vera fede cristiana sconfigge l’invasore straniero che vuole imporre con la persecuzione la sua barbara religione pagana e politeista.
In verità sembra che la situazione fosse ben diversa: i due grandi imperi si combattevano per procura appoggiandosi alle fazioni politico – religiose che li rappresentavano. I cristiani finanziati da Roma e i seguaci della tradizionale religione zoroastriana aiutati dai Sassanidi.
Una guerra “civile” armena più che una invasione esterna. Il tutto ovviamente condito da sporadici interventi stranieri sul campo, tradimenti, compromessi, cambi di alleanze e conversioni di comodo dei vari pretendenti. Un epopea affascinante e degna (come giustamente di dite) di un maggiore interesse (e magari di un paio di romanzi storici) di che è poi stata come sempre molto riscritta dai vincitori.
Lo Zoroastrismo “politeista e pagano” ?!? E’ una religione monoteista (anche se il Dio è uno e trino…) ben più antica del cristianesimo. Concordo comunque con la tua visione della vicenda, una guerra interna in cui le potenze straniere aiutavano fattivamente i propri sostenitori