Giorgio Castriota Scanderbeg: Il Dragone d’Albania (I)

Giorgio Castriota Scanderbeg è il personaggio più importante della storia albanese. L’idea stessa di Albania si cementa durante la sua ascesa e riesce a sopravvivere fino al XIX secolo nonostante il giogo turco.

Scanderbeg è al tempo stesso eroe, guerriero, comandante militare, politico, mediatore e, inevitabilmente, le sue biografie sono spesse ammantate da una coltre impenetrabile fatta di mito e leggenda. Dopo uno studio specifico durato mesi, posso concludere che, per certi versi, il vero Scanderbeg supera quello leggendario.

Il primo a scrivere di Giorgio Castriota Scanderbeg è Marino Barlezio di Scutari, religioso albanese conosciuto anche con il suo nome originale Marin Barleti, e con la versione latina Marinus Barletius. La sua opera è dedicata a Ferrante, nipote del Castriota, e quindi la narrazione è ricca di eventi fantastici ed esagerazioni. Berardino Vitali stampa l’opera a Roma, probabilmente nel 1506, e questa è ristampata in tedesco una trentina di anni dopo. Anche l’albanese Demetrio Franco (Dhimitër Frëngu), che ha combattuto al fianco di Scanderbeg, scrive una biografia del condottiero albanese (in latino) intitolata Comentario de le cose de’ Turchi, et del S. Georgio Scanderbeg, principe d’ Epyro (prima pubblicazione a Venezia, nel 1545). Di recente comunque, l’effettiva paternità di quest’ultima opera è stata messa in discussione dagli storici.

Giorgio Castriota nasce nel 1404 (altri riportano il 1405). La sua famiglia appartiene alla casata dei Castriota (Dera e Kastriotitv), fresca di titolo nobiliare. Alcuni testimoni dell’epoca sostengono che il piccolo Giorgio nasce con una voglia a forma di spada sul braccio. Una probabile aggiunta posteriore, così come il sogno fatto dalla madre poco prima del parto: avrebbe dato alla luce una fiera.

Ad ogni modo, il piccolo Giorgio non tradisce questi segnali. Fin da piccolissimo, non sembra interessarsi ad altro che non sia il maneggio delle armi. Eccelle in tutte le attività fisiche, anche grazie all’altezza e alla costituzione massiccia, ma tutti quelli che lo conoscono ne apprezzano anche le virtù morali.

Purtroppo per lui, l’Impero Ottomano è in piena espansione. Il padre, Giovanni Castriota, viene sconfitto più volte da Murad II assieme ad altri nobili greci, ma nonostante i suoi territori vengano sottomessi alle armate islamiche, le sue capacità di governo sono riconosciute dal Sultano, che gli chiede di rimanere come suo vassallo.

Sangiacco d’Albania nel 1431 (wikipedia)

Proviamo a percorrere, per qualche riga, la linea temporale dell’adolescenza di Scanderbeg così come ci è stata tramandata da Barlezio.

Oltre a un tributo annuo, Murad II chiede a Giovanni di consegnargli tutti e quattro i suoi figli come ostaggi (un pegno di fedeltà). Non sappiamo quali sensazioni siano balenate nel cuore di Giovanni in quel momento, ma egli, psicologicamente distrutto, acconsente alla richiesta.

Giorgio Castriota arriva alla corte del sultano a nove anni circa.

Immediatamente, lui e i suoi fratelli vengono convertiti forzatamente all’Islam e circoncisi. A tutti loro, Murad assegna degli ottimi appezzamenti di terreno, ma è il piccolo Giorgio a dare le maggiori soddisfazioni al Sultano, che lo cresce come un figlio proprio. Nel giro di pochi anni, il ragazzo mostra il suo valore nello studio, tanto da essere in grado di padroneggiare correttamente sei lingue: albanese, greco, turco, arabo, italiano e schiavone. Nell’arte del combattimento raggiunge risultati ancora migliori e considera un vero e proprio disonore l’essere sconfitto nella lotta o nel duello.

Giorgio Castriota diventa Scanderbeg (“Scander”, ossia Alessandro, e “beg”, ossia prinicipe, signore). A diciotto anni, Murad lo reputa abbastanza maturo per guidare un contingente di cinquemila soldati contro il governatore della Cilicia. Scanderbeg torna indietro da trionfatore e continua a guidare i soldati di Murad in giro per l’Asia minore.

Scanderbeg si trova ad Adrianopoli, allora capitale dell’Impero Ottomano, quando un guerriero tartaro, convinto di essere il migliore del mondo, inizia a sfidare i più forti combattenti turchi. Egli sostiene che nessuno sia in grado di batterlo, ed effettivamente la sua forza e le sue dimensioni fanno desistere la maggior parte dei soldati ottomani. Il Sultano stesso promette una grande ricompensa a chi riesca nell’impresa di sconfiggerlo.

Ad accogliere la sfida è Scanderbeg. Secondo le testimonianze, egli si reca dal Tartaro e gli parla così:

Benché io pensi che un uomo magnanimo non debba mettere a repentaglio la sua vita o quella dei suoi simili, sono comunque venuto qui per accettare il combattimento. Lo faccio per mostrarti che anche in questo Impero ci sono uomini abbastanza valorosi da umiliare la tua arroganza e per impedirti di tornare in patria e vantarti che nessun Ottomano abbia osato misurarsi con te.

Non conosciamo la risposta del Tartaro, ma è di disprezzo, soprattutto vista la giovane età del suo sfidante. Scanderbeg lo esorta quindi a non esitare oltre e a raggiungerlo nell’arena.

Fra i testimoni dello scontro, che avviene all’interno di un campo delimitato da una palizzata, c’è lo stesso Murad. I due guerrieri si svestono fino alla cinta e impugnano le scimitarre. L’assalto del Tartaro è violento, ma Giorgio devia la lama verso l’esterno e lo colpisce alla gola. Il Tartaro frana a terra e muore dissanguato.

Scanderbeg mostra il suo valore anche in un’altra occasione. Durante il soggiorno di Murad in Bitinia (a Prusa), arrivano alla sua corte due cavalieri persiani, Jaia e Zampsa, intenzionati a entrare nella sua guardia personale. Entrambi sostengono di essere imbattibili nel combattimento a cavallo e sfidano gli uomini di Murad. Nessuno accatta la sfida, neanche Giorgio. Tuttavia, è proprio Murad a chiamarlo per nome e a chiedergli di mettere alla prova i due giovani persiani. L’albanese obbedisce senza esitare e monta a cavallo. Jaia e Scanderbeg rompono le rispettive lance contro la corazza dell’altro e passano a combattere con la scimitarre. Zampsa, vedendo Jaia in difficoltà, accorre in suo aiuto a briglia sciolta. Scanderbeg però lo vede arrivare e gli squarcia il petto con la sua arma, facendolo cadere da cavallo. Jaia, infuriato, lo incalza, ma Giorgio para i colpi e risponde. Alla fine, riesce a colpirlo fra il collo e la spalla, quasi “bipartendolo”.

Entusiasta per la vittoria del suo protetto, Murad II chiede a Scanderbeg di chiamarlo “padre”, perché lui lo avrebbe trattato come un figlio. In realtà i due hanno solo pochi anni di differenza.

Secondo Demetrio Franco, dopo lo scontro, Murad prevede che, quando Scanderbeg raggiungerà l’età perfetta, non ci sarà un solo guerriero in grado di batterlo in tutto il mondo. Lo stesso storico, narrando delle imprese belliche dell’albanese, scrive: “Scanderbeg nell’assaltare il nemico mai disse ad alcuno andate, ma sempre seguitemi”.

Scanderbeg però, pur essendo esteriormente un guerriero Turco, continua a provare (sebbene siano passati molti anni) un grande dolore quando è costretto a versare sangue cristiano. Per quanto possibile, cerca di evitarlo, ma quasi tutti gli avversari dell’Impero Romano professano il credo romano.

Giorgio Castriota viene a conoscenza, nel 1437, della morte del padre, Giovanni Castriota. Per non arrecare un dolore a Murad II, per cui prova sentimenti simili a quelli che intercorrono fra padre e figlio, Giorgio tace il dolore. I sudditi di Giovanni chiedono a Murad di mandare a governare l’Albania uno dei figli del re morto, tutti cresciuti presso la corte di Adrianopoli. Murad però contravviene alla promessa fatta decenni prima e si limita a dare una ricca rendita a Voisava, vedova di Giovanni e madre di Giorgio, e a trasferirla con l’unica figlia non ancora sposata in Macedonia.

Le guarnigioni ottomane prendono possesso di molte città e fortezze albanesi e Murad, per evitare che i figli di Scanderbeg possano reclamare il trono paterno, decide di farli avvelenare. L’unico a salvarsi è Giorgio. Murad evita di ucciderlo per l’affetto che prova nei suoi confronti, ma soprattutto, a detta di molti, per evitare un’insurrezione delle sue truppe, che apprezzano immensamente le doti del guerriero albanese.

Scanderbeg comprende però che dietro la morte dei suoi fratelli c’è un ordine di Murad, e inizia a considerarlo solo un vile assassino, oltre che un soggetto incapace di mantenere la parola data al padre Giovanni. Sebbene Murad, per tenerlo accanto a sé, gli prometta uno stato tutto per lui, più grande e ricco dell’Albania, Scanderbeg ormai sa di non potersi più fidare di lui.

Inoltre, Giorgio Castriota attira su di sé  le invidie della corte del sultano, che insinua proprio in quest’ultimo il dubbio che l’albanese punterà, prima o poi, a sottrargli addirittura il trono. Ed è a questo punto che Giorgio decide definitivamente di liberarsi dalla prigione dorata di Adrianopoli.

Fin qui la leggenda. Ma cosa accade se procediamo a un rigida consultazione e comparazione delle fonti? Al fine di evitare una deriva prettamente accademica dell’articolo, posso dire con certezza che questo immane lavoro è già stato compiuto da un dottorando della Università di Boston alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Theofan Stilian Noli non può essere però menzionato come un semplice dottorando. Parliamo infatti di uno degli uomini più eruditi della storia d’Albania, nonché primo ministro del paese appena liberato dal dominio ottomano. Con tre lauree, sei lingue conosciute in modo quasi perfetto e un enorme numero di documenti da poter consultare in lingua originale, T.S.Noli redige quindi una biografia straordinaria (e ancora insuperata) dell’eroe albanese.

Per il prosieguo dell’articolo attingerò quindi a piene mani dal suo lavoro, cercando di spiegare al meglio i passaggi più complessi.

Le fonti storiche ci danno un’unica certezza: Giorgio Castriota partecipa alle spedizioni militari di Murad II (che regna da 1421 al 1451) e quindi concordano sul fatto che abbia, all’inizio del suo servizio, almeno sedici anni.

In realtà, alcuni documenti sembrano confermare addirittura la presenza di Giorgio in Albania, quindi non alla corte del Sultano, fino al 1426 (all’età di ventidue anni) o al 1430 (ventisei). C’è quindi la concreta possibilità che Giorgio non abbia l’obbligo di risiedere alla corte del Sultano (men che meno come ostaggio), quanto piuttosto sia obbligato a prestare aiuto militare a quest’ultimo assieme ai suoi fratelli.

La storia di un Giorgio cresciuto ad Adrianopoli, sotto le amorevoli cure di Murad II, è smentita da altri dati.

Nel 1436, a Scanderbeg viene concesso il sangiacco di Dibra (qui mi fido di Noli, perché si parla spesso, specie sul web, di 1440) e, nel 1438-1439, Scanderbeg e suo fratello maggiore Stanisha (quello che, secondo la leggenda, viene ucciso dal Sultano), divenuti cittadini onorari di Venezia e Ragusa, sono in Albania.

All’inizio, Scanderbeg rimane fedele a Murad II. La Rivolta Albanese del 1432-1436 è, in questo senso, esplicativa, visto che l’eroe albanese non si schiera contro gli ottomani. Anzi, negli anni successivi egli combatte al fianco del Sultano nelle campagne europee. In quel periodo, la barriera più ostica all’espansionismo ottomano nel vecchio continente è il rappresentata dal condottiero ungherese Janos Hunyadi.

Nel 1441 e 1442, quest’ultimo infligge pesanti sconfitte alle forze armate di Murad II, tanto che lo stesso Papa Eugenio IV decide che è giunto il momento di cacciare gli ottomani dal territorio europeo. La bolla con cui indice la crociata è del 1° gennaio 1443.

E’ proprio durante la Crociata di Varna, e in particolare nel corso della Battaglia di Nish, nel novembre de 1443, che Giorgio Castriota, in quel momento ancora membro prezioso dell’esercito ottomano, prende una decisione che passerà alla storia.

Assieme a 300 fedeli albanesi, egli abbandona l’armata ottomana e passa dalla parte di quella cristiana, che riesce a uscire vincitrice dallo scontro.

De facto, Scanderbeg succede al padre. Il supporto unanime del popolo albanese gli permette di dedicarsi a conquistare le roccaforti turche nel suo territorio, situate fra Croia e Sfetigrad. Secondo le fonti dell’epoca, a Giorgio bastano tre o quattro giorni per riprendere il controllo totale dei territori paterni. Fra le fortezze in mano turca la più grande è quella di Croia, che riesce a prendere dopo un breve assedio; le altre invece, come Petrella, Petralba, Stellusi, Modrici, Ternaci, si arrendono senza combattere. L’unica a resistere per qualche tempo è Sfetigrad, che viene presa da Mosè di Dibra.

Insediatosi al governo del territorio appena acquisito, Scanderbeg abbandona l’islam, a cui si era convertito attorno al 1430, e torna al cristianesimo. E’ una (seconda) conversione particolarmente sentita, la sua, tanto che ordina a tutti i musulmani, coloni ottomani e convertiti, di scegliere immediatamente fra il Cristianesimo e la morte.

Et così fece amazzare tutti li Turchi che non si volsero battizzare

Tornato cristiano, Giorgio Castriota non abbandona però il suo soprannome turco, Scanderbeg (“Scander”, ossia Alessandro, e “beg”, ossia principe, signore) e lo aggiunge sempre alla fine della sua firma.

Questa è la prima parte della sua storia, quella confermata da un raffronto fra le fonti almeno, mentre per quanto riguarda la leggenda, le cose andarono diversamente. E’ possibile che alcuni dei fatti riportati nelle sue biografie più “mitologiche” siano veri o almeno verosimili, mentre altri furono inventati in modo integrale.

Progressione espansionismo ottomano nel XV secolo. In rosso la zona controllata da Scanderbeg

Una volta rotto definitivamente il giogo turco, Giorgio sa benissimo che le sue possibilità di uscire vincitore da uno scontro con l’esercito Ottomano sono basse; cerca quindi di stabilire un’alleanza duratura con gli altri principi Albanesi e con Venezia. Il 2 marzo 1444, riunisce i principi Albanesi nella Cattedrale di San Nicolo ad Alessio. Sono presenti anche degli inviati veneziani, che però si limitano a redigere un accurato rapporto per il governo della Serenissima.

Ognuno dei Principi è libero di mettere a disposizione della Lega (conosciuta come Lega di Alessio) gli uomini e i mezzi finanziari che reputa necessari. La risposta complessiva è più che buona, visto che nella biografia scritta da Barlezio leggiamo “Scanderbegi proventus in Epiro ducenta annua aureorum millia excessisse“. La Lega quindi può contare su una rendita annua di circa 200.000 ducati.

Nel 1444, Scanderbeg mette insieme il suo esercito: non più di diecimila uomini, di cui solo una piccola parte provengono dagli altri Principi, visto che il condottiero albanese si fida molto poco degli altri.  La cavalleria leggera ha un ruolo essenziale, così come la sua guardia personale, costituita dalla gioventù di Croia. La nota dolente del suo esercito è la mancanza di artiglieria d’assedio, che lo rende quasi inoffensivo davanti alle città fortificate.

Lo stesso Scanderbeg – e qui mito e realtà storia concordano – è un soldato eccezionale. Alto e robusto (a detta delle fonti, egli supporta e mantiene la sua stazza grazie a quantità enormi di cibo e vino), combatte al fianco dei suoi uomini con la sua famosa spada curva o con una mazza. Ma è soprattutto un abile stratega, capace di spiegare la sua arma principale, la cavalleria leggera, in modo veloce e devastante. La sua tattica preferita è quella di colpire all’improvviso e ritirarsi (i manuali di guerra americani oggi la chiamano hit and run), trascinando spesso i nemici verso trappole e imboscate.

Pur non avendo, come anticipato, artiglieria, Scanderbeg è capace di difendere le sue piazze d’arme grazie a continui raid di alleggerimento, che costringono quasi sempre gli assedianti a desistere.

Come previsto da Scanderbeg, Murad II invia il suo miglior generale, Ali Pasha, a punire gli albanesi. E’ l’estate del 1444 quando un esercito di 25.000 uomini, per la maggior parte cavalieri, arriva in Albania.

Giorgio Castriota lo punge ai fianchi, colpisce le retrovie e poi l’avanguardia, fino a portarlo dove vuole lui. La valle di Torvioll è stretta e scoscesa, e la cavalleria ottomana vi si ammassa nel tentativo di superarla. Il 29 giugno Scanderbeg raggiunge sugli uomini di Ali Pasha, che ha previsto lo scontro e riesce a resistere anche grazie al rapporto di 3:1 fra i suoi e il nemico. Scanderbeg ha tenuto però un contingente di riserva nascosto nella boscaglia e un altro dietro il grosso della sua cavalleria. Quando entrambi irrompono sul campo di battaglia, per gli Ottomani non c’è scampo. Ali Pasha riesce a fuggire con la sua guardia personale, mentre 7.000 dei suoi vengono massacrati e 500 catturati. Scanderbeg perde, secondo le fonti dell’epoca, solo 190 uomini, mentre ricerche più recenti parlano di circa 2000.

Con l’esercito turco in rotta, Scanderbeg consente ai suoi uomini di saccheggiare le zone occupate dagli ottomani e ora senza protezione. A tal proposito, Barlezio si supera scrivendo “… vicini Principes aerarium Scaanderbegi agrum hostilem appellabant.” In sostanza, gli alleati di Giorgio Castriota ritengono che l’erario di quest’ultimo siano i territori del nemico.

Gli Albanesi riescono a ottenere un ottimo bottino, soprattutto in termini di capi di bestiame. Tornando a casa, i soldati compongono canzoni satiriche su Alì Pasha e sugli altri comandanti ottomani, il cui enorme esercito, arrivato in pompa magna, è stato sconfitto da un gruppo di “ladri di cavalli”.

La sua vittoria ha grande eco in Europa. Papa Eugenio IV e Ladislao III di Polonia sono i primi a congratularsi con lui. I Veneziani invece, che hanno interesse a vedere indebolito il potere ottomano, non solo altrettanto felici all’idea di un regno albanese forte e stabile, capace di insidiare i loro possedimenti albanesi. La Serenissima avvia addirittura dei negoziati con i Turchi al fine di farsi cedere Vallona, Canina e Argirocastro.

La Battaglia di Varna
Abbiamo menzionato in precedenza la Crociata della Varna. Il nome deriva dalla battaglia omonima con cui si conclude questa spedizione. Il 10 novembre 1444, pochi mesi dopo la grande vittoria di Scanderbeg, l’esercito cristiano di Ladislao III e Janos Hunyadi viene annientato dalle forze superiori di Murad II. Durante la Battaglia di Varna, le forze guidate da Hunyadi infliggono pesanti perdite agli ottomani, ma l’inesperienza di Ladislao III, appena ventenne, fa volgere lo scontro a favore dei musulmani. Nel tentativo infatti di sfondare il centro dello schieramento avversario, formato dai giannizzeri, e prendere prigioniero Murad II, il giovane perde la vita. Il suo cavallo cade in una trappola a pochi metri dalla tenda di Murad e un suo mercenario lo decapita, portando la sua testa al Sultano. Con l’esercito in rotta e 35.000 morti sul campo (20.000 cristiani e 15.000 musulmani) Hunyadi riesce però a mettersi in salvo.

Il 1445 si apre con il matrimonio della sorella più giovane di Scanderbeg, Namitza Castrioti, con Musachi Thopia. Durante la celebrazione, che vede la partecipazione di quasi tutti i dignitari albanesi, si conclude con una vera e propria battaglia fra fazioni rivali. Al centro della contesa c’è una lite fra Lek Ducaghini e Lek Zacaria a causa della bella Irere Dushmani di Zadrima. I “festeggiamenti” provocano 105 morti e 200 feriti (!) e Lek Zacaria riesce a stendere il rivale con un colpo al volto. Purtroppo per lui, non lo uccide.

A due anni da quegli eventi, Lek Ducaghini non ha ancora sbollito la rabbia, tanto che organizza un’imboscata e massacra Zacaria. La madre di quest’ultimo cerca protezione presso i Veneziani, consegnando loro la città di Dagno. Ma la città è anche nelle mire di Scanderbeg e della Lega di Alessio. La guerra fra Albanesi e Veneziani scoppia nel 1447.

Nella Battaglia di Drin, combattuta il 23 Luglio 1448, Scanderbeg annienta le forze veneziane, che lasciano sul campo 2500 morti e un migliaio di prigionieri. Venezia è talmente terrorizzata da cercare un sicario che faccia fuori il Dragone d’Albania in cambio di uno stipendio perpetuo di 100 ducati l’anno. Non trovando nessuno disposto a farlo, Venezia si rivolge addirittura agli Ottomani.

Fra Venezia e Adrianopoli (mancano ancora cinque anni alla conquista di Costantinopoli da parte di Maometto II) i rapporti sono analoghi a quelli fra Roma e Ctesifonte e altre civiltà rivali del passato: grandi guerre, razzie e violenze, ma anche scambi commerciali e qualche temporanea concordanza d’interessi.

Mustafa Pasha invade l’Albania con 15.000 uomini pochi giorni dopo la sconfitta veneziana, e il 14 agosto incrocia l’esercito di Scanderbeg, che conta meno della metà degli uomini. Gli albanesi però hanno il morale alto e conoscono bene il territorio. I Turchi vacillano già ai primi contatti, poi crollano davanti agli assalti albanesi e finiscono massacrati. Ne muoiono 3.000, ma Scanderbeg conosce bene le disponibilità economiche del Sultano. Cerca quindi di catturare il generale Mustafa Pasha vivo, e ci riesce. Proprio da quest’ultimo viene a sapere che a sollecitare l’attacco sono stati i Veneziani. Come previsto poi, gli Ottomani versano 25.000 ducati per riscattare Mustafa Pasha.

A questo punto, Venezia si trova in grave difficoltà e vede la possibilità concreta di essere completamente estromessa dalla riva orientale dell’Adriatico. Tuttavia, Scanderbeg ha intenzione di continuare la sua guerra totale contro i Turchi, quindi accetta di buon grado di sedersi al tavolo con i Veneziani per sottoscrivere un accordo di pace e mantenere sicuri i confini settentrionali dell’Albania.

In soli quattro anni, Scanderbeg e i suoi alleati hanno sconfitto sia gli Ottomani che i Veneziani, due nemici molto più ricchi e con una grande esperienza di guerra. E’ il 1448, e la lotta per l’indipendenza albanese è appena iniziata.

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Bibliografia:
  • M.BARLETI, Historia de uita et gestis Scanderbegi Epirotarum principis, 1508;
  • P.GIOVIO, Commentarii delle cose de Turchi, di Paulo Giouio, et Andrea Gambini, con gli fatti, et la vita di Scanderbeg, 1541;
  • F.DEMETRIO, Gli illustri e gloriosi gesti, et vittoriose imprese, fatte contra Turchi, dal sig. D. Giorgio Castriotto, detto Scanderbeg, prencipe d’Epirro, 1610;
  • A. PAPADOPULO VRETO’, Compendio dell’istoria di Giorgio Castriotto soprannominato Scanderbeg principe dell’Albania tradotto dall’idioma grecomoderno e corredato di note dal dottor Andrea Papadopulo Vretò, 2 volumi, 1820;
  • C.C. MOORE, George Castriot, surnamed Scanderbeg, king of Albania, 1850;
  • P.CHIARA, L’Albania, 1869;
  • F. S. NOLI, George Castrioti Scanderbeg (1405-1468), 1945;

10 pensieri riguardo “Giorgio Castriota Scanderbeg: Il Dragone d’Albania (I)

  1. Un ottimo articolo, spero che nella seconda parte troverai modo di far cenno al destino della famiglia Castriota nel Regno delle Due Sicilie. Ci sarebbe solo da correggere alcuni errori di scrittura qui e lì.

  2. Mi aspettavo da tempo un articolo su Scanderbeg su questo blog,
    sono contento e leggerò volentieri la seconda parte.
    Le fonti citate sono abbastanza antiquate e contaminate da
    leggende, d’altronde anche il contemporaneo di Scanderbeg,
    Vlad II Dracul, è diventato famoso più per merito di racconti
    favolosi che per fatti storici. Tra gli autori citati, forse quello
    più affidabile è Noli, anche se vorrei aprire una parentesi:
    Non metto in dubbio l’abilità e le competenze di Noli,
    una delle menti più brillanti del suo tempo e non solo
    tra gli albanesi, ma la sua natura. Il monsignore era di indole
    artistica e forse in alcune parti si lascia trasportare dagli
    eventi narrati senza mantenere l’adeguato distacco.
    Questa sua natura fu una delle cause della sconfitta
    del suo governo eletto democraticamente nel 1924,
    per mano di Ahmet Zog, autocrata e noto pragmatista.
    I documenti più recenti purtoppo li ho letti in albanese e
    su carta, mi spiace non poterli inserire come link per
    chi vuole sapere di più…
    Mi piacerebbe toccare alcuni punti salienti per chi
    è interessato:

    Pensando a Scanderbeg, le sue doti svestite da miti e
    leggende e inserite nel contesto del suo tempo, sono
    davvero notevoli. La sua abilità fisica deve essere stata
    ben fuori dal comune se è riuscita ad ispirare cosi tante
    leggende. Un signore feudale di solito risiede nei suoi
    domini, ma essendo i possedimenti di Scanderbeg
    spesso sotto asseddio e data la preferenza del soggetto
    per la cavalleria leggera e la guerriglia, ci troviamo a
    ricostruire una vita praticamente in sella, a comandare
    le sue truppe dalla prima linea. Oltre alla capacità fisica,
    spicca la sua preparazione e, perchè no, il suo genio
    militare. Riccardo Cuor di Leone, tanto rinomato, nella
    sua vita ha partecipato in tutto a tre(3) battaglie campali.
    Per Scanderbeg una cifra di circa venticinque(25) pare
    accettabile, partendo dal fatto che ogni anno una forza
    punitiva ottomana varcava il confine e veiniva distrutta
    nella regione orientale del paese se era sotto i circa
    25.000 combattenti, oppure, se era molto superiore
    numericamente, andava a cingere d’assedio Croia.
    In tal caso l’assedio proseguiva fino a quando non
    diventava impossibile mantenere cosi tanti uomini
    in terra ostile, tra attacchi notturni da parte delle truppe
    di Scanderbeg e le colonne di vettovagliamenti che
    venivano imboscate nelle montagne. Una volta fallito
    l’assedio la morale crollava, e l’occasione tanto
    attesa dal Castriota per attaccare in forze arrivava.
    Si pensa che preferisse distruggere la catena di
    comando, uccidendo a volte il comandante
    nemico in duello, per poi lasciare che l’esercito
    si sfasciasce da solo, in quanto non aveva uomini
    da perdere contro un avversario in ritirata. La stagione
    fredda e la popolazione inferocita dai saccheggi avrebbe
    saldato i conti con gli invasori superstiti. Scanderbeg
    praticamente operava con truppe prestate da altri signori
    feudali e nobili albanesi in qualità di capitano della lega
    di Alessio. L’impero Ottomano era in ascesa e si può dire
    che con il suo corpo di giannizzeri, aveva il primo (ed unico)
    esercito regolare del medioevo. Scanderbeg ne aveva
    assimilato la dottrina, ma tra giannizzeri devoti al Sultano
    e montanari albanesi ferocemente indipendenti c’era
    un divario troppo ampio. Anche le forze feudali delle
    pianure erano simili alla loro controparte europea: prestavano
    servizio al loro signore, nelle loro terre, secondo regole ben
    stabilite. La gloria personale in battaglia era imprescindibile,
    non importava l’esito dello scontro. Scanderbeg di persona
    si mise ad addestrare quest’accozzaglia e la trasformò in una
    forza combattiva capace di respingere i turchi. Si dice che la
    pena per chi rompeva le righe era il congedo ed il divieto di portare
    armi. Tale pena era pari all’emasculazione, in quanto l’uomo senza
    armi non poteva proteggere e sfamare la sua famiglia e veniva
    considerato miserabile. Dopo la prima vittoria di Torvioll tutto
    divenne più facile e nel corso dei seguenti vent’anni le truppe
    divennero impensabilmente fedeli al loro capitano, al punto che i
    nobili, anche volendo, non potevano sottrarsi al servizio militare.
    D’altro canto servire sotto Scanderbeg garantiva prestigio, onore
    e buona parte del bottino, siccome il Castriota era generoso nella
    spartizione dei beni acquisiti e vedeva di buon occhio l’aristocrazia
    della spada. Oltre alla catena di comando meritocratica, l’adozione
    della cavalleria leggera(che in Europa continuerà a chiamarsi cavalleria
    albanese o anche stradioti) era la seconda innovazione militare del
    Castriota. Arma versatile e ben adatta al variegato territorio albanese,
    garantiva la velocità e spesso operava di notte, sia per mascherare i numeri,
    sia per cogliere di sorpresa gli invasori esausti e terrificati. Lancia, spada,
    mazza e arco(ma non si hanno notizie di arcieri a cavallo) come armi
    e semplice cotta di maglia per proteggersi. L’uomo in armi albanese
    passava la bella stagione a marciare o nelle imboscate, quindi era più
    utile muoversi agilmente e comodamente, che essere ben corazzati.

    Il punto debole del suo esercito erano i numeri: una
    popolazione inferiore al milione doveva mantenere
    una forza da 15.000 uomini in armi con un buon numero
    di cavalli, non contando le guarnigioni (2500 solo a Croia).
    L’ uomo in armi non poteva lavorare la terra e le razzie
    turche partivano tutte con lo scopo di trovare il grano
    nei campi. Quindi venne dato permesso a tutti gli
    albanesi di cacciare dove potevano (in Europa questo
    era ancora diritto nobiliare e pesantemente sanzionato).
    Il resto dei vettovagliamenti veniva fornito dalla Serenissima,
    spesso contenta di vendere sia ai turchi che agli albanesi.
    A volte, dopo le vittorie, arrivavano donazioni dall’estero,
    ma spesso Scanderbeg si trovava a richiedere soldi al Papa,
    o ad altri sovrani cristiani, in quanto il bottino di guerra andava
    tutto per mantenere l’esercito e le famiglie soffrivano la fame.
    A scopo di giustificare queste richieste si dichiarò vassallo
    del Re di Napoli, anche per dare un chiaro messaggio ai veneziani:
    non erano gli unici cristiani ad avere interesse nelle sue campagne.
    Tale vassallaggio spinse il Castriota a imbarcarsi per l’Italia con alcune
    truppe per dare supporto militare a Ferdinando I.

    In campo politico, il suo acume diventa evidente se si guarda la situazione
    della sponda est dell’Adriatico in quegli anni. L’aristocrazia era divisa tra Roma
    e Costantinopoli(capitale bisantina ancora per poco). I signorotti locali a volte
    preferivano i turchi, se significava mantenere il potere sopra i loro minuscoli domini.
    L’Impero Ottomano a questo punto accettava anche sudditi cristiani, a patto che
    i loro figli crescessero come musulmani nella capitale. Le diatribe tra nobili, anche
    per questioni insignificanti, causavano conflitti armati. Lek Dukagjini era l’unico nobile
    importante del periodo che non combatteva a fianco di Scanderbeg, per piccole differenze
    personali. Anche se negli ultimi anni di vita del Castriota si riconciliarono, i circa 5000
    soldati delle sue terre promessi alla lega di Alessio non parteciparono a quasi nessuna
    battaglia sotto il comando di Scanderbeg. Il suocero di Scanderbeg, Giorgio Arianita,
    vantava legami di sangue con la dinastia Bisantina dei Comneni e aveva opposto i
    turchi ben prima di Scanderbeg. Si immagina come fosse difficile trascinare questa
    aristocrazia cosi frazionata, se per garantirsi l’aiuto del più strenuo oppositore dei turchi
    Scanderbeg dovette accettare un matrimonio politico con la figlia. Gli altri si aggregarono,
    ma sempre mantenendo un grado di indipendenza. La sfilza di vittorie riusci a rendere il
    Castriota amato in tutta Europa, ma i suoi compatrioti non gli concesero mai la corona.

    Ultima nota: Janos Hunyadi e Scanderbeg influenzarono i rispettivi destini, ma penso non
    riuscirono mai ad incontrarsi. Mentre Hunyadi vinceva sul campo(1444), Scanderbeg “persuase” il
    secretario del Sultano a rilasciarli un editto per governare Croia e fu con questo stratagema
    che si impadroni della città. Anni dopo (1448) i due si dirissero in battaglia, ma il despota
    serbo Duran Brankovic negò passaggio al Castriota e Hunyadi perse la battaglia di Kosovo.
    Si può solo speculare come sarebbe proseguita la storia dei balcani se i due condottieri fossero
    riusciti a combattere fianco a fianco.

    1. Mi fa piacere, mi manca quasi sempre il tempo per fare commenti come sopra, anche se seguo il blog
      saltuariamente da quasi 5 anni. Complimenti per la qualità e la costanza!

  3. Il primo a scrivere la biografia e storia di Scanderbeg è stato in assoluto il padre Demetrio Franco, nel 1480, dodici annji dopo la morte dell’Eroe e 38 anni prima di Marino Barlezio. Questi sono errori emperdonabili per chi scrive la storia e che bisogna correggere. IIl Franco era contemporaneo di Scanderbeg e al suo servizio, dal 1443 al 1468, riparatosi a Venezia dopo la morte del Principe.

  4. Do ragione al Pervizi, poiché durante la dittatura comunista, l’Accademia e i suoi storici, prettamente sottomessi alle direttive del partito e del dittatore, indicarono in Marino Barleti (Barlezio) il primo storico di Scanderbeg, relegando Demetrio Franco nell’oscurità, e arrivando a falsificare i suoi dati biografici, posponendolo al Barleti, quando invece il libro del Franco, era pubblicato in data precisa, il 2 aprile 1480, a Venzia, dal tipografo tedesco Erhard Ratdolf, noto anche in Germania, 38 anni prima del Barleti. Quindi l’Accademia comunista albanese, era essa che diffuse l’errata informazione che il Barleti fosse il primo storico (albanese) che avesse scritto per Scanderbeg. Dimenticando che c’era anche un italiano, Paolo Giovio (Jovio), che traduceva il Franco e lo pubblicava in italiano a Venezia, nel 1531-39, 30 anni prima che apparissse il il libro del Barleti tradotto in italiano. C’è un controsenso ben evidente di distorsion della storia di Scannderbeg, da cui gli storici stranieri, piuttosto italiani, attingono tali informazioni errate. per cui anche lo scrittore, il Sig. Gabriele Campagnano, ha dovuto attingere a quella fonte, non avendo nessuna informazione dell’opera di Demetrio Franco. Il Pervizi, è il traduttore in lingua albanese dall’italiano volgare dell’originale di Demetrio Franco, pubblicato nel 2005 a Tirana, e 2012 a New York. Con questo interbento credo d’avere esposto quanto d’utile puo’ servire a uno storico o scrittore che volresse
    scrivere su Scanderbeg.

  5. Un grande sproposito presentare Marino Barlezio come il primo che avesse scritto una storia di Scabnderbeg. Mancanza di ricerca. Il primo albanese che abbia mai scritto un libro su Scanderbeg è stato il padre Demetrio Franco, e la data e ben eloquente, il suo libro in latino, viene pubblicato a Veneiai il 2 aprile 1480, dal tipografo tedesco Erhard Randfold, quindi 12 anni dopo la morte di Scanderbeg.
    Il Franco era fuggito dall’Albnai, per Tivari (Antivari) e poi a Venezia, Qui lui ar(riva a scrivere in latino la stora di Scanderbeg. C’è stato un vuoto di tempo durato 30 anni che il Barlezio potesse scrivere la sua Storiaa, e da quanto risulta, egli avrebbe trovato il manoscritto del Franco, per costruire la sua storia, ripiena di racconti mitici e discorsi lunghi e spropositati di Scanderbeg. Certo che l’opera del Barlzio ha influito a divulgare la storia dell ‘eroe, ma non con la pretesa che fosse il primi che avesse scritto e pubblicato. Io che intervengo, sono ben edotto della storia di Scanderbeg, ed ho avuto la fortuna di trovare e tradurre lil libro di Demetrio Franco dall’italiano volgare del 1500, in albanese, poi pubblicato nel 2005;
    600-tenario della nascita dell’eroe. Qundi in questo senso si deve prestare attenzione alla stesura di una biografia di Scanderbe, attribuendo erroenamente che il primo libro su lui sia del Barlezio. c’è un altri fatto che ci riptta al Franco, che è l’opera di Paolo Giovio, vescovo di Nocera, e storico, scrittore, grande latinista, e persoinalità della sua epoca. Il Giovio trova il libro del Franco e lo traduce in italiano nel 1531, per l’Imperatore Karlo Qunito, che apprendesse come Scandetbeg aveva combattuto vittorosamente contro i Turchi e altre informazioni azioni sui Sultani. Ora, il librfi del Giovio non è che la storia scritta 50 di stirpei prima in latino, e che Giovio ha trovato. Anzi; è dal Giovio che apprendiamo che Demetrio Franco era un nobile, coetaneo, tesoriere e consiliere di Scanderbeg, Altro,ci viene dall cavakliere veneziano e intellettuale, Givanni n Maria Borado, che tekstaulmente scrive, g ch”era il Padre Demetrio Franco che aveva scritto i latino la stiria di Scanderbe, che era presente in tutte le su vicende e ben informato delle sue battaglie. Qunid il mio intervento serve a ben delineare la storia di Scanderbeg, dalle sorgenti origjinali, in cui l’opera di Demetrio Franco è la più attendibile a essere presa in considerazione, poiché ci viene da un albanese restato sempre al fianco di Scanderbeg.

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