I medici dell’esercito romano furono istituzionalizzati solo nel periodo Augusteo. Questo articolo ripercorre la loro storia dal periodo repubblicano all’Impero attraverso due testi di metà XIX e inizio XX secolo.
La base fondamentale è rappresentata da uno scritto di Eugene Hugh Byrne apparso in The Classical Journal, Vol. 5, No. 6 (Apr., 1910), pp. 267-272 e intitolato Medicine in the Roman Army, e dalle integrazioni apportate grazie al contributo fornito da James Young Simpson (padre dell’anestesia moderna) con Was the Roman army provided with medical officers? (1856). Non deve meravigliare che uno scienziato come J.Y. Simpson scrivesse anche di storia; la netta divisione fra interessi umanistici e scientifici è infatti piuttosto moderna e, in passato, non era raro avere buone competenze in diversi campi del sapere. |
E’ interessante notare come lo Stato Romano abbia trascurato, fino al tempo di Augusto, una parte così importante di ogni sistema militare ben sviluppato.
Come ci si prendeva cura dei malati e dei feriti nei secoli precedenti all’età imperiale?
Le informazioni che possiamo ricavare dagli scrittori antichi non sono sufficienti a coprire in modo adeguato il periodo che va dalla fondazione della città (“semi-barbarism“) alla meravigliosa civiltà dell’epoca augustea.
Questo dato ci porta a concludere che gli uomini fossero autonomi, e che in caso di necessità fossero in grado di aiutarsi l’uno con l’altro. All’inizio era questo il primo e unico tipo di soccorso, in grado di sopravvivere anche dopo lo sviluppo di pratiche più regolari.
Presso qualsiasi popolazione primitiva e dedita alla guerra, i soldati devono essere in grado di curare le loro stesse ferite; in questo modo, essi sono in grado di acquisire abbastanza velocemente i principi generali della chirurgia.
I soldati Romani erano equipaggiati per le emergenze con delle bende; sappiamo anche che, almeno in un caso, non avendo intenzione di combattere, alcuni di loro utilizzarono quelle stesse bende su arti sani per simulare le ferite (Dionigi di Alicarnasso, Antiq. Rom., IX. 50).
Non ci è dato però sapere se fosse già presente o meno un corpo di soldati deputato alla cura dei feriti. Dionigi ci dice che i soldati non più in grado di combattere tornavano nelle retrovie (Antiq. Rom., VIII. 65); un uso in voga anche al tempo di Cesare, il quale riporta un momento critico in cui ai feriti non fu permesso di ritirarsi nelle retrovie per riposare e ricevere le cure necessarie (De Bello Gallico, 4, 4.).
Fin dai tempi più antichi, l’esercito si affidava ai civili per ricevere assistenza
Le grandi abitazioni situate a Roma e dintorni erano preparate a ospitare i soldati feriti. Il console Marco Fabio, dopo una cruenta battaglia con gli Etruschi nel 437 a.C., divise i feriti fra le famiglie dei patrizi (Livio, II, 47, 12). A ricevere il numero maggiore di feriti fu proprio la famiglia dei Fabii, e lo storico ci assicura che nessuno li trattò con maggiore premura di loro.
Nelle province la tradizione di alloggiare i soldati feriti presso le abitazioni civili fu seguita anche in tempi più recenti da Alessandro Severo (Elio Lamprido, Alex. Sev., 47).
Non sappiamo in quale epoca i patrizi e le famiglie abbienti abbiano iniziato a a mantenere, nelle loro abitazioni molto popolate, degli schiavi esperti nelle arti mediche, ma gli schiavi-medici erano abbastanza comuni nel III secolo a.C. e probabilmente esistevano già da molto tempo prima.
I soldati abbastanza fortunati da ricevere ricovero in queste abitazioni ottenevano senza dubbio le migliori cure mediche disponibili in quel periodo.
Una vuoto da colmare
Questa carenza del sistema romano divenne macroscopica dopo la Battaglia di Sutri, quando morirono molti più soldati nei giorni seguenti, per le ferite riportate, rispetto a quanti ne fossero periti durante lo scontro (Livio, IX, 32, 12).
E’ durante il periodo cesariano che troviamo le prime tracce di una cura sistematica dei feriti. Quando opportuno, Cesare rimandava la sua marcia a loro beneficio (G. Cesare, De Bello Civile, III. 75, I.) . Se le circostanze lo costringevano a lasciarli indietro, faceva costruire un campo o un forte che potesse ospitarli (G. Cesare, De Bello Civile, VIII. 47, 7.) , o li sistemava presso le abitazioni dei civili.
I feriti erano trasportati al campo o nel villaggio con i carri (G. Cesare, De Bello Af., XXI, 3), e alcune volte gli ufficiali venivano portati con le lettighe (G. Cesare, De Bello Hisp, XXXVIII, 2.) . Sebbene Cesare, che concesse ai medici i diritti civili che prima erano loro negati (Svetonio, Jul.Caes., 42), non menzioni i medici nei suoi commentari, senza dubbio ne mantenne uno sul campo, dato che anche i suoi contemporanei, Catone Uticense (Plutarco, Cato Minor, 70) e Pansa (Svetonio, Octav. II), avevano a loro disposizione dei liberti come medici.
In Tusculanae disputationes, II, 16, Cicerone si meraviglia dinnanzi agli incredibili lamenti delle reclute appena ferite, mentre invece i veterani cercano con calma un medico per bendare le ferite. |
I primi ufficiali medici
I primi ufficiali medici sul campo di battaglia erano, allora, gli attendenti personali dei comandanti. Cicerone specifica che i loro servigi non erano destinati alla sola tenda del pretore, ma a tutte le truppe.
La cura e la considerazione mostrata da Cesare nei confronti dei feriti conferma questa ipotesi. Per quanto si trattasse di un servizio non adatto a un intero esercito, la presenza di questo medico personale del comandante fu un passo in avanti, perché aprì la strada alla creazione di medici dedicati al servizio delle truppe.
La necessità di medici permanentemente al servizio dell’esercito divenne quindi sempre più evidente, tanto che con la riforma militare di Augusto furono introdotti medici per ogni tipo di divisione interna dell’esercito. Sono state trovate numerose iscrizioni che riportano i titoli “medicus ordinarius“, “medicus legionis” o “medicus cohortis“.
Se qualche decennio fa la distinzione sembrava abbastanza semplice, per cui il Medicus Legionis era probabilmente sovraordinato al Medicus Cohortis, a sua volta superiore al Medicus Ordinarius, cui veniva attribuito da alcuni storici il grado di centurione, oggi c’è un discreto dibattito sull’effettivo significato di questi termini. Per alcuni, il Medicus Ordinarius veniva usato per distinguere il medico militare “di carriera” dai medici civili prestati all’esercito e che poi tornavano a svolgere o iniziare una lucrosa attività civile privata. Per altri anche la definizione di Medicus Legionis andrebbe messa in discussione, visto che abbiamo alcuni esempi di medicus ordinarius legionis a complicare il quadro.
Vicino a Vindonissa, dove era di stanza la Legio XXI, fu trovata questa iscrizione del I secolo:
Quanti medici?
Il numero di medici assegnato a ciascuna coorte o legione non è mai stato determinato; i dati a nostra disposizione infatti non lo indicano. Ad ogni modo, l’organizzazione militare, a partire da Augusto, era così ben strutturata da lasciarci immaginare che il servizio medico fosse piuttosto efficiente. Non c’è motivo di immaginare poi che, nell’esercito di quel periodo, ci fosse un medico di rango superiore. Probabilmente ciascun medico era arruolato in una centuria, inquadrato fra i principales, e aveva un numero prestabilito di soldati di cui prendersi cura.
Sulla colonna di Traiano c’è una scena che mostra diversi soldati feriti nell’atto di ricevere cure mediche; uomini le cui vesti e i cui accessori non differiscono da quelli dei soldati sofferenti. Poiché il servizio medico era ben organizzato sotto Traiano, è probabile che si trattasse di Medici Cohortis o Legionis intenti a somministrare le cure necessarie ai commilitoni.
I compiti dei medici romani comprendevano sia le cure sul campo che quelle nei confronti di malati e feriti del campo. Le due flotte, posizionate da Augusto a Messina e Ravenna per la difesa costiera, avevano dei loro medici. Forse ce n’era uno per ciascuna trireme, mentre vascelli di maggiori dimensioni potevano imbarcarne anche di più.
Simpson parla ad esempio di Marcus Satrius Longinus, medicus duplicarius della trireme “Cupid”, di stanza a Capo Miseno, che fece pagò la pietra tombale per una donna, Julia Veneria, che forse era sua moglie o la sua concubina. Il termine duplicarius indica chiaramente che Longinus riceveva una paga doppia in virtù delle sue responsabilità. Ad oggi, sappiamo che tutti i medici che operavano sulle navi ricevevano paga doppia.
Tornando sulla terraferma, le tende adibite ai feriti esistevano già nella tarda repubblica. Fu, de facto, il primo passo verso la creazione dei valetudinaria, ossia gli ospedali da campo.
Nell’accampamento temporaneo, il valetudinarium era composto da un gruppo di tende riservate ai soldati gravemente feriti. Non c’è dubbio invece che quelli feriti in modo lieve potessero rimanere nelle loro tende.
Nelle descrizioni degli accampamenti romani, non troviamo menzionati i valetudinaria prima del regno di Traiano. Durante quest’ultimo periodo invece, Igino Gromatico (Pseudo-Igino) scrisse una descrizione tecnica ed elaborata di un accampamento temporaneo (De munitionibus castrorum).
Il Valetudinarium
E’ lui il primo a parlare di valetudinarium del campo, e ci dice che questo veniva posizionato il più lontano possibile dal veterinarium e dalla fabricia in modo che i feriti non fossero disturbati dai rumori. Un valetudinarium doveva essere in grado, solitamente, di ospitare circa duecento uomini ed era diretto dal medicus castrensis o castrorum. Questi aveva un ruolo distinto da quello dei medici legionis o cohortis, che invece operavano sul campo. L’amministrazione del valetudinarium era affidata agli optationes valedtudinarii (Digesto, L, 6, 13.) , mentre la supervisione generale rimaneva in capo al Prefetto del campo.
In un campo temporaneo, il valetudinarium era necessariamente costruito in modo semplice ed equipaggiato in modo minimale. Ma come la tenda riservata ai feriti ai tempi di Cicerone fu il prototipo del valetudinarium, allo stesso modo il valetudinarium si sviluppò da un gruppo di tende dirette da un medico a ospedale da campo perfettamente equipaggiato. Nel 1893 le rovine di uno di questi furono scoperte su una strada militare romana nei pressi di Baden, in Svizzera, non distante dall’antica Vindonissa, la base delle legioni romane.
Le rovine svelarono i resti di una imponente facciata, un portico colonnato e le tracce di muri che tracciavano il perimetro di almeno quattordici stanze. Visto che furono trovati frammenti di legno, è probabile che le più ampie fossero divise in comparti minori. Furono scoperti numerosi strumenti chirurgici e diversi bauli contenenti medicinali così ben conservati da renderne possibile l’identificazione. Si pensa che la struttura risalga al II secolo.
L’esistenza di un edificio del genere, così ben equipaggiato, indica a che livello fosse arrivato il servizio medico militare romano. In effetti non sarebbe stato possibile per lo stato romano fare più di questo per i propri soldati sofferenti. Il clima salubre di Baden, la vicinanza alle terme, l’eccellente dotazione dell’edificio, tutto combinato per renderlo un monumento al servizio medico dell’esercito Romano.
Conclusioni
Il rapido sviluppo durante l’Impero fu ampiamente dovuto al senso di opportunità e di economia, ma anche alla vicinanza dei grandi comandanti e degli Imperatori ai loro uomini.
Germanico (Tacito, Annales, I, 71, 5.) e Tiberio (Velleio Patercolo, II, 114) visitavano ed incoraggiavano gli ammalati; Plinio esalta Traiano per la sua compassione (Plinio, Panegirico di Traiano, 13); Dione Cassio ci dice addirittura che Traiano strappò le proprie vesti perché fossero utilizzate come bende quando non c’era niente altro disponibile (Dione Cassio, 68, 8.).
Adriano fu più o meno allo stesso livello, visto che visitava i soldati “in suis hospitiis” (Elio Sparziano, Hist. Aug. Script., X, 12). Alessandro Severo era solito fare delle visite alle tende dei feriti, compresi quelli inquadrati nei ranghi più bassi. Quando era consigliabile, metteva i malati nelle case delle vicinanze e ricompensava i proprietari per il fastidio e le spese, sia quando i soldati si rimettevano sia in caso contrario.
Aureliano, da tribuno, vietò ai medici dell’esercito di ricevere soldi dai soldati (F. Vospicio, Aurel., 7), in modo da assicurare lo stesso livello di attenzione, da parte dei primi, verso tutti coloro i quali necessitassero cure.
Delle capacità e conoscenze di questi medici non sappiamo molto. La varietà e la natura degli strumenti chirurgici scoperti negli scavi indicano una buona conoscenza della chirurgia. Galeno ad ogni modo, il più grande medico romano, nonché medico personale di Marco Aurelio e molto più preparato dei medici dei suoi tempi, criticava proprio questi ultimi per la loro ignoranza in materia di anatomia.
Gli studiosi moderni concordano sul fatto che le conoscenze anatomiche di Galeno fossero molto limitate e inesatte. Coloro con i quali se l’era presa però dovevano essere messi ancora peggio, visto che le sue critiche non sembrano dettate dalla gelosia professionale.
Nel complesso, la conoscenza medica del tempo era poco più che rudimentale. Le tecniche chirurgiche erano invece molto più avanzate, specie nell’esercito, dove l’applicazione pratica permetteva un più facile progresso.
Il genio romano per l’organizzazione ci porta quindi a credere che l’evoluzione dei meccanismi del sistema sanitario militare avesse superato la conoscenza stessa della medicina.
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Grazie Albert, il tuo apprezzamento è molto gradito.
Il vostro sito è stupendo ed interessantissimo ! Sto facendo una ricerca per sapere se i legionari e i gladiatori erano marchiati o tatuati ma non riesco a trovare materiale serio !
Quidi vi chiedo gentilmente se avete materiale in proposito , sui tatuaggi o le marchiature che facevano i lanisti ai gladiatori ogli imperatori ai legionari grazie .
Ciao Pamela, scusa se ti rispondo in ritardo. Ricordo di aver letto dei tatuaggi nel tardo antico nelle opere di Aezio di Amida, medico del VI secolo. Il testo di riferimento, a sentire colleghi più esperti in materia, è P. Jones (1987), ‘Stigma: Tattooing and Branding in Graeco-Roman antiquity’, in The Journal of Roman Studies 77: 139-155
Complimenti per gli articoli prodotti, è un piacere leggerli!
Grazie Ramon!
Un buon articolo, considerando la scarsità di fonti al riguardo, che obbliga a muoversi su ipotesi senza riuscire ad ottenere un quadro generale ed esaustivo. Unica nota, mi permetto, da laureando in storia, sarebbe stato meglio parlare di “governo” di Traiano piuttosto che di regno, visto che al livello istituzionale solo a partire dalla basileía giustinianea si può parlare effettivamente di regno.
Ciao Fabrizio, grazie per il commento. La parola “regno” per indicare il periodo di governo di un imperatore romano, anche prima del VI secolo, si usa abitualmente in storiografia.
Come sa ciò che è abituale non significa sia necessariamente giusto, posto che la storiografia, chiaramente, non è esente dalle pecche degli uomini. Detto questo credo che voi, assieme ad altri portali, svolgiate un ruolo lodevole, liberi anche dalle consuetudini e dalle prassi accademiche. Anche se oggi il dibattito circa temi, un tempo scomodi, è rifiorito, forse anche per merito del web, chissà. Venendo alla nostra questione, considerando che per i romani forse mai ci fu cosa peggiore del re, almeno fino alla crisi del terzo secolo, sarebbe interessante chiederci quanto di re, abbia avuto Traiano, quanto di princeps, lui optimus princeps (non optimus rex) e quindi chiederci se i termini (quindi le definizioni) che noi diamo rispecchino in effetti la realtà che vogliamo raccontare. La mia chiaramente è solo un invito alla riflessione, e a mettere in discussione anche interpretazioni già consolidate come, faccio un esempio banale, quelle sull’assolutismo, sciolto da ogni vincolo de iure, limitato nei fatti (Alessandro Barbero, ‘Il tempo e la storia’, puntata su Luigi XIV).
Sito estremamente interessante e ben realizzato.