Parlare dell’artiglieria medievale, in particolare dell’uso delle prime bocche da fuoco nel XIV secolo, presenta diverse complessità.
In primo luogo, le fonti relative all’artiglieria medievale sono meno dettagliate rispetto a quelle dei secoli successivi. E poi c’è la tendenza a considerare l’artiglieria un prodotto più tardo, ampiamente quattrocentesco, quando invece aveva già raggiunto una buona diffusione nel secolo precedente (sebbene fosse molto più primitiva dal punto di vista tecnico).
Ho deciso di trattare l’argomento tramite un volume del 1854, redatto dal Cav. Luigi Cibrario e intitolato Delle artiglierie dal 1300 al 1700. Luigi Cibrario fu storico, esperto di archivistica e ministro della pubblica istruzione del Regno Sardo. Il Cribario, di tanto in tanto, ci propone delle inesattezze, ma il suo lavoro instancabile presso gli archivi sabaudi ha permesso a tanti altri studiosi di approfondire l’argomento.
Qui sotto il capitolo del suo libro relativo all’artiglieria del XIV secolo. Ho utilizzato l’ormai ben collaudato metodo della storiografia 2.0 inaugurato qualche anno fa su questa pagina: testo ricondotto all’italiano moderno (senza apportare eccessive modifiche), link ipertestuali e box di commento e spiegazione.
Buona lettura.
L’artiglieria si utilizzò prima con mezzo di offesa, poi anche a difesa delle fortezze. Solo più tardi divennero più leggere e adatte alla battaglie campali.
Le più antiche artiglierie che si trovano menzionate in storia o nei documenti dell’epoca sono le spingarde, le bombarde, i cannoni e gli schioppi.
Verosimilmente, la bombarda non fu la prima macchina destinata a ricevere e applicare il nuovo strumento di distruzione, la polvere da sparo. Di solito infatti si inizia dalle cose semplici, e la bombarda era composta da due parti disuguali ed era difficile regolarne il tiro. È il caso però di parlane prima, perché fu la più grande delle bocche da fuoco e venne ritenuta per molto tempo la più importante, tanto che da essa presero il nome, per oltre tre secoli, i soldati che si occupavano di artiglierie.
Non c’è molto da aggiungere a quanto scritto sull’argomento dal Cav. Venturi (autore di Dell’origine e dei primi progressi delle odierne artiglierie, 1815) e il Prof. Carlo Promis (autore, nel 1841, del volume Dell’arte dell’ingegnere e dell’artigliere dalle origini sino al principio del XVI secolo). È stato proprio quest’ultimo a riportare la più antica descrizione che abbiamo della bombarda, scritta da Andrea Redusio nell’anno 1376. Una descrizione analoga a quella proposta a metà del secolo successivo da Bartolomeo Facio:
Queste macchine sono fatte a volte di bronzo, altre di ferro: le prima sono migliori e più utili. La bombarda è formata da due canne quasi uguali in lunghezza, ma quella anteriore è molto più grande. In alcuni casi le due parti si fondono insieme, in altri si lasciano disgiunte, ma si fa in modo che la più piccola sia incastrata in quella più grande tanto da non far uscire un solo fiato. Poi si mette la macchina sopra un grosso tronco di quercia cavato, chiamato ceppo.
La forza grazie alla quale la pietra esce dalla canna con così grande violenza è data dalla polvere che si fa con zolfo, nitro e carbone di salice. Ebbene, questa polvere si versa nella canna più piccola, si addensa, e nel punto in cui si connettono le due canne, la si tura con un tappo di salice. Si mette poi nella canna più grande un sasso rotondo di dimensioni adatte. Alla fine, tramite un foro praticato nella canna più piccola, si dà fuoco alla polvere.
Delle due parti di cui si componeva questa macchina da guerra, l’anteriore si chiamava bombarda o tromba, ed era solitamente di forma più o meno conica, la posteriore invece si designava con il nome generico di cannone e, più tardi, con quello di mascolo.
Tromba, vaso, mascolo, gola e cannone |
Nella tesi specialistica della dott.ssa Rossella Scordato, Le artiglierie dello Stato Pontificio tra XIV e XVI sec (2009), troviamo una descrizione ben esplicativa:
“le bombarde erano costituite da due pezzi distinti: la parte anteriore che era detta tromba, o vaso e rappresentava la canna del pezzo, e la parte posteriore che si chiamava cauda (o coda), mascolo, gola o cannone, destinata a contenere la polvere. Generalmente la cavità interna della tromba, denominata anima, all’interno della quale correva il proiettile, aveva una forma leggermente svasata verso il fondo negli esemplari più antichi…“ |
Furono realizzate anche bombarde formate da un solo pezzo, sebbene fossero più rare.
Nell’inventario dell’artiglieria del Re di Francia del 1463 viene citata la “bombarde nommée S.Paul de fer d’une pièce“. Questa notizia è riportata nell’opera dotta Etudes sur le passé e l’avenir de l’Artillerie, redatta da Luigi Napoleone Bonaparte nella fortezza di Ham e che rappresenta uno dei lavori più ampi e meglio concepiti mai scritti sull’argomento.
Napoleone III rimase prigioniero nel Castello di Ham dal 1840 al 1846, quando riuscì a fuggire. Uscì dalla prigione con una fascina di legname in spalla, riuscendo a farsi passare per tal Badinguet, un operaio del castello. I suoi nemici inizieranno a chiamarlo proprio così, Badinguet, mentre alla moglie, l’Imperatrice Eugenia, toccherà il soprannome di Badinguette. |
Vi furono bombarde di tutte le dimensioni. Alcune sparavano pietre pesanti centinaia e anche migliaia di libbre. Nel 1441 il Castello di Nizza aveva 25 palle di pietra da 136 libbre ciascuna, che potevano servire solo alle bombarde. Due anni prima il duca di Savoia, comprando due bombarde per il suo castello di Ciamberì, del calibro di sole 28 libbre, le chiamava grosse bombarde, forse per distinguerle dalle bombardelle. Anzi, è possibile che non fossero nemmeno bombarde, visto che con quel nome venivano spesso indicate in modo generico tutte le bocche da fuoco. Le bombarde del Duca di Savoia appena menzionate erano costituite da deux chambres, lasciando intendere che ciascun mascolo (la parte che conteneva la polvere) c’era un ricambio.
Infatti, nell’inventario della bastiglia di S. Antonio a Parigi del 1428 si registrano anche le camere, ossia i mascoli separati: “xiiii chambres à vuglaires“. Questa è la ragione per cui credo sia difficile si trattasse di quelle bombarde particolari così descritte da Lampo Birago nel 1454 (riferito dal Promis):
Fannosi anche certe bombarde delle quali la carica resti divisa in parecchie palle segregate e rinchiuse in caselle ricavate nelle cavità delle bombarde con tale arte, che ad ogni scarica ne siano lanciate quante ne vorrai.
Come già anticipato, mi sembra difficile immaginare che si trattasse proprio di queste bombarde costruite in modo così singolare. Queste infatti non diedero mai grandi vantaggi e non divennero di uso comune, mentre negli inventari delle artiglierie del secolo XV troviamo frequenti menzioni di cannoni e di vuglaires, con una o più camere; ciò significa che le pezze cui abbiamo accennato si caricavano sempre per la culatta.
La parte anteriore della bombarda, cioè la bombarda propriamente detta, ha dato origine al mortaio, come dice il Santini riportato dal Venturi. Anzi, alla stessa bombarda, con qualche variazione nella cassa, si poteva alzare la bocca da fuoco per tirare ad arco; per lungo tempo questa possibilità d’uso sopperì alla mancanza dei mortai, il cui uso non sembra anteriore al secolo XV.
All’inizio le bombarde venivano collocate su un ceppo cui erano legate con cerchi di ferro e/o viti. Furono usate così per lungo tempo, anche se già nel XIV secolo si trova a Bologna la menzione di “carrette da bombarda colle ruote“.
Per fondere le bombarde si doveva preparare una fornace con il modello di creta mescolata con canape, borra e ritagli di pannilani (il singolare è pannolano, ossia un panno fatto di sola lana) per renderla più resistente e si sistemava l’anima, intorno alla quale di stringevano, come le doghe di una botte, altrettante piastre di ferro battuto. Queste piastre, destinate a formare la camicia, o sacco che si voglia chiamare (in breve, il rivestimento interno della bocca da fuoco) si ungevano di sego, in modo che il metallo fuso si fondesse con quelle più facilmente. Fu questa la procedura usata il 25 settembre 1443, quando a Borgo di Bressa si fuse una bombarda chiamata Grandinette, il cui peso complessivo era 39 quintali e 88 libbre.
Il maestro (bombardiere) condusse il metallo liquefatto attraverso sei bocche, lasciando gli opportuni sfiatatoi. Si chiamava Jehan Gile di Macon. Terminata l’operazione, si tagliarono le bave (appendice sottile che si forma sui getti metallici in corrispondenza delle commessure della forma), si nettò l’anima del pezzo, lo si pulì esteriormente e si finirono le modanature. Questo era il metodo usato per fondere tutte le bocche da fuoco.
Quando l’operazione si faceva in città piccole, non c’era in quel giorno alcun fabbro che potesse lavorare, perchè si prendevano tutti i mantici della città e si portavano al maestro bombardiere.
Alcuni autori, fra i quali Eugenio Gentilini (che scrisse numerosi trattati sull’artiglieria fra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo), pensano che le prime bombarde fossero costruite con le sole doghe di ferro battute o assicurate con cerchi di ferro. Successivamente, visto che era complicato che queste riuscissero a rimanere integre dopo l’esplosione, si iniziò ad aggiungere all’esterno un rivestimento di ferro fuso o bronzo. Le parole dell’autore rendono perfettamente il procedimento:
Formarono un’artiglieria con alcune lame di ferro alquanto lunghe, come sogliono fra li bottari che mettono le doghe una appresso all’altra e formano la botte del vino; ma le sopraddette lame erano diritte, di una stessa larghezza e lunghezza, ma erano alquanto più grosse da un capo che dall’altro dove va fatta la lumiera, ristrette insieme a forza di alquanti cerchi di ferro.
L’opinione di questo autore è confermata dalla bombarda di ferro battuto, di cui l’Archeologia britannica (Vol. X, 472) ci ha dato un disegno, poi riprodotto dal Venturi. Anche il Maffè narra di un’antichissima bombarda di ferro battuto, assicurata con trenta cerchi di ferro, conservata nell’arsenale di Basilea. E narra anche di una bombarda, che l’autore chiama impropriamente cannone, e di cui ci fornisce un disegno, composta da dodici doghe di ferro fucinato, legate da sei cerchi dello stesso metallo, che trovasi nell’arsenale di Morat.
Bisogna solo far presente che queste doghe si allargavano verso la bocca, come richiedeva la figura conica che doveva darsi alla bombarda. È questo il motivo per cui queste artiglierie vennero chiamate quasi sempre vasi in Germania e un buon numero di volte anche in Italia.
Più tardi la tromba fu allungata, e la forma conica divenne sempre più cilindrica, ma non si confuse mai con quella, essendo questa una delle sostanziali differenze fra la bombarda e il cannone. Poiché però la forma conica rimase solo nell’anima, mentre esternamente non ve n’era traccia, gli scrittori confusero spesso le bombarde con i cannoni e viceversa, specie quando il mascolo aveva, all’esterno, le stesse dimensioni della tromba.
Il Gasperoni, in un’opera manoscritta del 1787 intitolata Artiglieria Veneta e conservata nella biblioteca del cav. Cesare Saluzzo, menziona una lunga e antica bombarda presente nell’Arsenale di Venezia.
Nel 1369 avevano bombarde, e forse altre artiglierie, le rocche del distretto Pisano, da cui possiamo dedurre che fossero bocche da fuoco comuni anche in Toscana. Nel 1377, a Lanzo, si fabbricò una bombarda per il castello. Nell’agosto 1384 Amedeo VII portò all’assedio di Sion un “Giovanni maestro delle bombarde” e, solo tre anni dopo, lo stesso principe conveniva con Hemon Kaipf di Schlacle, maestro delle bombarde, l’acquisto di parecchie bombarde, per il prezzo di dieci franchi il quintale. Nel 1386 servivano Amedeo VII i maestri elle bombarde Mosse Marquo di Lamarque e Anne e Pietro Godinet. L’anno successivo, Bona di Borbone, madre di Amedeo, inviava al figlio altri due maestri delle bombarde: Simoneto di Salins e Colino di Corboil.
Quando, nel 1394, Enguerrand VII di Coucy, luogotenente del Duca di Orleans (che a quel tempo aveva la signoria di Asti), raggiunse con i suoi uomini e quelli del principe d’Acaia la riviera di ponente contro i Genovesi, che stavano assediando Savona, Enrieto Marcoardo di Moncalieri rimase ferito da una pietra di bombarda nei pressi di Lingueglia.
In quel periodo non mancarono neppure le bombarde di piccole dimensioni, dette bombardelle o, spesso, semplicemente “bombarde”. Non mancava inoltre la solita confusione con i cannoni. Erano bombardelle quelle calibrate a Bologna, nel 1381, con palle di ferro di una libbra o di mezza libra, le bombarde da scaramuccia (IX bombarde a scaramozando), le due bombarde intelaiate, ricordate nell’inventario del 1397, e quelle raffigurate nel famoso codice del serraglio del Santini e riprodotte dal principe Bonaparte (dove si trova anche menzionata una cerbottana ambulante, una bombarda posta su un carretto a quattro ruote).
Quantità di Polvere da Sparo |
In The Artillery of the Dukes of Burgundy, 1363-1477, di Robert Douglas Smith e Kelly DeVries, troviamo un riferimento al quantitativo di polvere usata per caricare alcune bombarde: “Una lista del 1413 ci dà i quantitativi esatti di polvere usata da diverse bombarde:
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Costruire pezzi d’artiglieria con l’aggregazione di due o più canne semplificava molto il lavoro in questo periodo pionieristico dell’artiglieria. Tuttavia, come abbiamo già detto, si forgiarono già nel XIV secolo artiglierie monopezzo che si chiamavano cannoni, spingarde o schioppi e dovevano essere quasi la stessa cosa, al massimo diversi genere di una stessa specie.
I cannoni sono menzionati in un documento del 1326, tratto dall’Archivio delle Riformagioni di Firenze e pubblicato dal Gaye e citato dal Lami e dal Riccobaldi del Bava. I priori dell’arti e il gonfaloniere di giustizia chiedevano di eleggere due maestri per fare o far fare pallottole di ferro e cannoni, al fine di utilizzarli nella difesa della città e dei castelli dai nemici del comune. Nel 1339 il sire di Cardaillac fabbricò egli stesso dieci cannoni necessari alla difesa di Cambrai; nel 1346, i consoli di Bruxelles fecero costruire a Pietro di Bruges un cannone quadrato del calibro di due libbre, la cui palla di piombo, nella prova che fu eseguita lo stesso anno, trapassò i due muri della città, ed uccise un uomo che si trovava innanzi al monastero di S. Brizio. Ma il vocabolo di cannone è anche molto generico.
Mi sembra appartenga sempre al XIV secolo il cannone conservato proprio nel museo d’artiglieria della città e proveniente dall’Arsenale di Genova, dove si custodiva gelosamente come trofeo di una vittoria ottenuta contro i Veneziani. L’anima è formata da un tubo d’ottone saldato in tutta la sua lunghezza. La forma esterna è fatta di legno dolce, tornito per le modanature, e a listelli di varia grandezza. I legami da cui sono assicurati lungo tutta la canna, si vedono fra le modanature della bocca, segnati ii. Gli intervalli fra un listello e l’altro sono saldati con il gesso. Il tutto è poi ricoperto di cuoio inchiodato con piccole punte.
Quello appena menzionato non è l’unico esempio di cannoni di tale qualità, poiché il già citato Gasperoni ci informa sull’intaglio di un antichissimo cannone attorciliato di corda, e quello di due antichissimi mortai pure di cuoio cerchiati di ferro, conservati nell’Arsenale di Venezia.
Il termine spingarda negli scritti italiani è antico. L’esercito di Rinaldo d’Este, nel 1334, era dotato di schioppetti e spingarde. Lo troviamo riportato anche nel volume dell’Omodei (Origine della polvere da guerra) e in quello del Promis. Il nome e l’uso delle spingarde è arrivato ai giorni nostri per definire un’artiglieria da posta, con palle da una libbra.
Gli schippi si trovano menzionati la prima volta in una autore del 1331. A fine 1346-inizio 1347, il maestro Ugonino di Chatillon (fabbricatore di schioppi) in Val d’Aosta fabbricava per il castello di Lanzo quattro schioppi di bronzo, ciascuno del peso di sessanta libbre, da cui comprendiamo che erano piccoli cannoni. Questi schioppi vennero, come si soleva dire, inceppati, cioè adattati a un fusto i legno. Come munizioni si usavano quadrelle con penne e palle di piombo, poiché quei cannoncini sparavano entrambi. In realtà, sembra che per qualche tempo, in alcuni archivi si facesse confusione fra le nuove bocche da fuoco e le vecchie balestre, portando alcuni a scrivere che le prime sparassero anche le munizioni per queste ultime.
Uno degli schioppi fabbricati dal bombardiere valdostano fu usato nel 1356 dal conte Verde (Amedeo VI) contro il principe d’Acaia nell’assedio di Balangero, assieme ai trabucchi e alle altre artiglierie medievali. Non regge quindi l’opinione del Grassi, che vuole una cessazione immediata dell’uso del trabucco con l’apparire delle bocche da fuoco. Al contrario, alcuni documenti ne testimoniano una continuità d’uso nella prima metà del XV secolo, tanto che un trabucco costruito a Basilea nel 1424 fu utilizzato vent’anni dopo all’assedio di Rheinfeld.
Nell’arsenale di Bologna, nel 1397, c’erano quattro piccoli scoppi intelaiati, ossia inseriti in un telaio di legno; 24 scoppi inceppati; un piccolo schioppo da cavalletto (a cavallito); un cannone fatto come una bombarda, ossia un cannone di forma conica/bombarda costituita da un solo pezzo; un telaio con due cannoni. Tutti questi schioppi non erano manuali (portatili), ma da posta; ma questo inventario riporta anche un numero esiguo di schioppi manuali. Di otto schioppi di ferro infatti, tre erano portatili (de quibus funt tres a manibus). Ad ogni modo, le armi portatili erano più diffuse altrove.
Stando a quanto riportato da Pompeo Pellini, la città di Perugia avrebbe fatto costruire nel 1364 ben cinquecento schioppi manuali; e nel 1381 la città di Augusta aveva trenta uomini armati di cannoncini portatili. Altre memorie di bombarde, schioppi e di cannoni portatili nel XIV secolo si trovano negli scritti di Froiffart e di altri autori.
Non avendo trovato, nei documenti dei Savoia del XIV secolo, il nome di spingarda, ma quello di cannoni e di schioppi, continuo a pensare che si facesse poca distinzione fra di loro, e che sotto il nome, più generico, di cannoni, trovassero posto anche le spingarde. Forse solo con gli schippi si faceva una distinzione più accurata, dato che nell’archivio degli Este del 1334 si ricordano in modo distinto schioppetti e spingarde (Scopletorum et Spingardarum).
Non possiamo essere certi che gli scopletorum menzionati sopra fossero davvero armi portatili, ad manus, ma è plausibile.
Schioppo è, fra l’altro, una denominazione propriamente italiana. Al di là delle Alpi, gli schioppi sono menzionati genericamente come cannoni (rendendo difficile distinguere fra armi portatili e non). Specie quando a scrivere erano autori non avvezzi alle cose di guerra, bastava un piccolo particolare differente, un ornamento, variazione di calibro, modanatura o proiettile per dare un nome diverso a bocche da fuoco quasi identiche.
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Ottimo lavoro come sempre.
Volevo chiedere, perchè si continua a usare la libbra? Non sarebbe meglio tradurre i valori in kg?
Sopratutto quando si usano assieme quintali e libbre.
Grazie Nicholas,
ci penso per il prossimo articolo, anche se sono talmente abituato alle libbre che quasi mi viene più facile.
In fondo basta pensare che ogni libbra equivale a circa mezzo chilo.
Bell’articolo, su un argomento troppo spesso trascurato dai libri di storia.
Se non sbaglio.. il primi ad utilizzare più o meno efficacemente la bombarda (in funzione per lo più deterrente) furono gli inglesi a Crécy en Ponthieu nel 1346.
Puoi confermare Zwei?
Fecero tanto fumo e molto poco arrosto.
Interessante, manca pero qualcosa sull origine orientale delle armi da fuoco. Che io sappia e incerto se furono gli islamici o gli europei a introdurle. Comunque mi risulta che ordigni esplosivi _ non pero artiglierie – furono usati dai cinesi/mongoli nella seconda meta del xiii secolo
Complimenti! È la prima volta che sento spiegare la differenza tra bombarda e cannone, nonché la definizione di spingarda. Grazie per avermi erudito sul punto.
Grazie Andrea, sei molto gentile!
Ottimo articolo su argomento spesso trascurato. Mi permetto di segnalare quanto, nel mio piccolo, ho ritrovato dalle mie ricerche in archivio: delle “baliste a sclopis” vendute da Venezia ai da Camino nel 1335 ed utilizzate, probabilmente, per la difesa dei castelli di Motta di Livenza e Portobuffolè. Questa è la più antica attestazione per il Veneto.
https://www.academia.edu/15307316/Un_inedito_del_1335_per_la_storia_delle_armi_da_fuoco_nel_Veneto_A_new_document_from_1335_for_the_history_of_firearms_in_the_Venetian_Republic_territories
Complimenti come sempre al dott. Zweilawyer.
Ottimo spunto Massimo, grazie mille!
Bellissimo articolo. Difficilmente si trovano descrizioni così dettagliate degli antenati delle attuali armi da fuoco. Manca un dato sugli apprendisti stregoni morti nelle sperimentazioni😀
Grazie mille Andrea!
Tutto bello e vero ma dobbiamo aspettare il 1495 quando Carlo VIII re di Francia alla riconquista del regno di Napoli espugnò con veri cannoni il castello di Monte San Giovanni, trucidando peraltro un migliaio di soldati, per avere un assaggio della potenza della polvere da sparo!
Articolo eccellente! Non vedo l’ora di rileggerlo!
Sono rimasto stupito e contento quando ho letto pezzi di storia della mia Valle, che persino i locali stentano a conoscere. Su quelle stesse cronache di Mastro Ugonino di chatillon e del Castello di Balangero, ho condotto infatti 3 anni di ricerche, studi, sopralluoghi, progetti e calcoli dimensionali per realizzare un ipotesi ricostruttiva di uno dei 4 pezzi, denominati impropriamente “schioppi” dal Cibrario, realizzati da costui con un garzone in 18 settimane di lavoro.
Per questo progetto ho avuto inoltre il supporto collaborativo del Museo Nazionale dell’Artiglieria di Torino dove ho avuto la fortuna di poter esaminare da vicino varie tipologie di “bocche da foco” Quattrocentesche.
Spero al più presto di riuscir a trovare il tempo di pubblicare online la relazione di questo progetto che mi ha coinvolto molto profondamente.
Che figata, mi è venuta voglia di giocare ad age of empires