Il penultimo capitolo della serie dedicata all’Assedio di Malta del 1565. Nei precedenti articoli abbiamo trattato la prima fase dell’Assedio (fino alla Caduta di S.Elmo) e la seconda fase (l’inizio dell’Assalto alla Senglea). Prima di leggere questo brano, vi consiglio di dare un’occhiata anche ai precedenti.
Abbiamo lasciato l’ingegnere maltese Evangelista Menga e il suo allievo Girolamo Cassar alle prese con lo studio di un piano atto a distruggere il ponte di assi gettato dai Turchi sul fossato. Girolamo Cassar decide di rischiare la vita per effettuare le accurate misurazioni necessarie al progetto. Fa costruire una cassa di legno un po’ più lunga di lui e imbottita con diversi materiali per attutire un eventuale colpo di artiglieria. Entra nella cassa disteso a pancia in giù e, piano piano, si fa spingere fuori dalle mura.
Dobbiamo immaginarla come una specie di bara con la parte anteriore, quella che sbuca oltre il parapetto, ben corazzata. Cassar rimane quasi sospeso, grazie alle due funi che permettono alla cassa di “uscire” dalle mura, sul ponte dei Turchi, ed è quindi in grado di prendere le misure necessarie con il filo a piombo (calato da un’apertura sul fondo della “bara”). Con tutti i dati a disposizione, Menga e Cassar ricavano una nuova troniera (un’apertura per l’artiglieria) all’interno di una casamatta, che guardi esattamente al centro del ponte. Il cannone viene posizionato e fa fuoco a ripetizione, mandando in frantumi parte del ponte. Vista la grande quantità di schegge e detriti prodotti, i maltesi completano l’opera incendiandolo con pignatte infuocate. Il ponte brucia per tutta la notte del 17 Luglio. I Turchi provano a rimetterlo in sesto durante la mattinata, ma non c’è più nulla da fare.
Nel frattempo, a quasi tre mesi dall’arrivo a Malta, il campo degli assedianti continua a essere fiaccato dalle malattie e dalla mancanza d’acqua. Si sparge inoltre la voce che il Gran Soccorso stia arrivando; Mustafà (anche per tenere buoni i suoi) manda Hassan di Algeri a pattugliare le acque intorno all’isola, mentre Uccialì (corsaro rinnegato italiano, nato Giovanni Dionigi Galeni), governatore di Tripoli, è costretto a ritornare ai suoi possedimenti a causa di una rivolta araba.
Le defezioni non si fermano qui, visto che anche Pialì Pascià, infuriato per essere bloccato a Malta da mesi con tutta la flotta, decide di riprendere il largo con operazioni di pattugliamento. Giovane e favorito di Solimano, Pialì Pascià è a malapena tollerato dal vecchio Mustafà, che, dal canto suo, ha inanellato una serie di sconfitte inaspettate. Proprio per questo, Mustafà riesce a convincere Pialì a rientrare in Malta e guidare egli stesso il prossimo assalto, diretto al Borgo. Egli riesce a convincere l’Ammiraglio (più volte definito “giovane” nonostante avesse 50 anni) dicendogli che a vittoria è certa, ma in realtà vuole qualcuno con cui condividere un eventuale fallimento.
Altra spina nel fianco è la cavalleria della Notabile (la vecchia capitale di Malta, una roccaforte al centro dell’isola), che per tutto l’assedio ha continuato le sue scorribande, intercettando ogni drappello turco che prova a staccarsi dal grosso dell’esercito.
Le disavventure dell’esercito turco sono boccate d’ossigeno per il Gran Maestro, che reputa imminente anche l’arrivo del Grande Soccorso (lo aspetta per il 25 Luglio).
Purtroppo per i Cavalieri però, i Turchi cominciano i preparativi per il nuovo assalto. A preoccupare maggiormente i difensori sono le mine che i Turchi iniziano a scavare sotto i bastioni. Protetti infatti dal tiro di ottimi cecchini, che rendono quasi impossibile affacciarsi ai parapetti senza il rischio di una palla in fronte, i manovali ottomani non hanno problemi ad arrivare fin sotto le mura.
Il 22 Luglio, le artiglierie di Mustafà e Pialì cantano all’unisono sul Borgo. Sessanta cannoni e altri pezzi di piccolo calibro. I Turchi bersagliano soprattutto le abitazioni, volendosi vendicare sui maltesi, rei di non aver tradito di Cavalieri.
Il Gran Maestro, a rischio della vita, continua a percorrere le vie del Borgo senza mostrare preoccupazione, in armatura completa e con picca e scudo. Vacilla solo il 25 Luglio, quando capisce che del Gran Soccorso non c’è traccia. Raduna quindi tutta la popolazione nella piazza del Borgo e tiene l’ennesimo discorso, in cui sostiene che ormai Malta deve contare solo sulle proprie forze e sperare nell’aiuto divino. Si dice pronto a morire per primo e giura di non abbandonare mai il suo popolo.
Alle parole, La Valette fa seguire i fatti. Abbandona infatti la sua residenza nell’Albergo d’Italia e si trasferisce nella bottega di un mercante nella piazza del Borgo. L’effetto psicologico di questa sua azione sulla popolazione è enorme: il Gran Maestro è lì con loro, sotto il tiro dei cannoni turchi. Forse non tutto è perduto.
Il cannoneggiamento delle abitazioni civili lascia anche presumere che Mustafà punti molto sulla guerra di mina. Tuttavia, le controgallerie dei Cavalieri riescono spesso a intercettare e vanificare il lavoro dei Turchi.
Ad ogni modo, Mustafà non abbandona neanche l’idea di ottenere la resa dei Cavalieri. A questo fine sfrutta Orlando Magri e Giorgio Malvasia, due messaggeri del Viceré di Sicilia, catturati al largo di Malta. Orlando Magri riferisce a Mustafà che l’armata cattolica conta già 210 vascelli, ma quest’ultimo lo costringe a dire tutt’altro al Gran Maestro. Lo porta infatti davanti alle mura, dove Magri urla al Balì Felizes che il Viceré ha solo 50 navi malconce e che quindi è meglio arrendersi.
In realtà il Viceré, su ordine di Filippo II, sta effettivamente preparando un contingente di 12.000 uomini, e invia un nuovo messo per avvertire il Cav. Mesquita, che continua a mantenere il controllo delle comunicazioni fra l’isolotto del Gozo e la Notabile. Il messaggio però contiene anche una data, fine Agosto, per l’arrivo del Gran Soccorso. Ancora un mese.
Poco dopo, Mesquita dà al Gran Maestro un notizia ben peggiore: i Turchi tenteranno un altro assalto generale il 2 Agosto.
Un’ora dopo mezzogiorno, tutte le artiglierie turche tornano a tuonare. Si tratta del cannoneggiamento più devastante dell’intero Assedio. S.Angelo è bersagliato da un fuoco incrociato proveniente da Gallows Point, dal Salvatore, dal Monte Sciberras e addirittura da S.Elmo, dove i Turchi sono riusciti a piazzare, fra i detriti, altra artiglieria. Verso la Senglea invece, Mustafà è talmente convinto di uscire vittorioso da ordinare ai cannonieri di sparare alto sopra le mura o senza palla. Fare frastuono, insomma, senza rovinare le fortificazioni, che immagina di poter utilizzare a proprio favore negli anni successivi.
Migliaia di Turchi si gettano sui parapetti. Inizialmente hanno la meglio, e lo stendardo della mezzaluna appare in diverse sezioni dei bastioni. Poi lo scontro all’arma bianca volge a favore dei Cavalieri. Da un lato corazze europee, armi in asta e zweihander, dall’altro sciabole, qualche armatura e molte vesti di seta. Il peso specifico degli Europei alla fine è decisivo e i Turchi finiscono a centinaia nel fossato.
L’ennesimo attacco fallito alla Senglea, mentre il Borgo non ha ancora subito assalti. Intorno a quest’ultimo i Turchi lavorano senza sosta, scavando trincee e postazioni difensive per l’imminente aggressione. Durante la notte del 2 Agosto, i Cavalieri effettuano una sortita del tutto inaspettata. I Turchi fuggono verso le retrovie, abbandonando i loro lavori, alcuni dei quali vengono distrutti.
Ma c’è poco da festeggiare. Un soldato spagnolo ha infatti disertato, unendosi ai Turchi, e ha reso nota la tremenda situazione all’interno delle fortificazioni: fra Cavalieri e mercenari, sono rimaste solo 500 persone in grado di combattere. E le munizioni scarseggiano.
La Valette decide di lasciare solo pochi difensori sul lato marino delle due penisole (dove i Turchi effettuano finte manovre di attacco da giorni) e di concentrarsi sulla difesa nell’entroterra. Per avere a disposizione più armi, fa demolire alcune case e utilizzare i detriti come proiettili da tirare sugli assedianti.
La mattina del 7 Agosto, parte un nuovo cannoneggiamento generale della Senglea. Gli imam intonano canti, promettendo 72 vergini ai martiri, e Mustafà è ben lieto di mandare all’assalto buona parte dei suoi. È un assalto generalizzato, contro tutte le poste della Senglea; i difensori riescono a malapena a coprire tutti i bastioni. I Turchi lanciano oltre i parapetti un gran numero di fuochi artificiali e ordigni incendiari, sperando di costringere i Cavalieri a ritirarsi. In realtà, sia i Cavalieri che i Maltesi sono molto abili nel maneggiare gli ordigni e rispedirli al mittente prima dell’esplosione. Sugli assedianti precipitano massi e ogni tipo di materiale infiammabile a disposizione dei Cavalieri. Il combattimento diviene molto intenso sulla posta difesa da Robles, ma l’assalto più duro e prolungato impegna la posta di Burmola.
Dopo un’ora, entra in azione Pialì Pascià, che bombarda il Borgo mentre i suoi attaccano la posta di Castiglia. La Valette ha però previsto un attacco in quel punto e l’ha dotata del miglior rifornimento possibile di uomini e munizioni. Colpita duro dal tiro laterale proveniente dalle batterie posizionate sul Salvatore, la posta barcolla, ma regge.
Non ci sono però defezioni o fughe: Maltesi e Cavalieri rimangono alle loro postazioni anche quando vedono che i loro vicini sono straziati o spazzati via da una palla di ferro. Candelissa, il rinnegato che, poche settimane prima, aveva tentato il disastroso sbarco sullo sperone della Senglea (dove avevano perso la vita 800 Giannizzeri), vuole rifarsi agli occhi di Pialì. Getta la scala contro le mura e guida in prima persona il nuovo assalto. Ad attenderlo dietro il parapetto c’è però un archibugio cristiano, che lo centra in fronte; il suo cadavere precipita nel fossato.
I Musulmani cercano di entrare in ogni breccia scavata dall’artiglieria, ma sono respinti ogni volta e subiscono enormi perdite nel tentativo di avere la meglio sulle guarnigioni della Posta d’Alemagna e d’Inghilterra.
A quattro ore dall’inizio dell’assalto, assediati e assedianti sono allo stremo. La Valette è convinto che, a breve, i nemici suoneranno la ritirata, ma si sbaglia. Mustafà e Pialì giungono insieme sotto le poste e ordinano ai loro di continuare. I Turchi hanno mostrato un grande coraggio nel continuare le scalate nonostante abbiano assistito al massacro di migliaia di commilitoni, ma ai due generali non basta.
Il Cav. Robles, che da giorni non si toglie l’armatura completa, osserva con rassegnazione i preparativi dei Turchi. Si gira verso i suoi, forse un centinaio di uomini, e si toglie il crocifisso. Lo alza in aria e gira per le poste esortando Cavalieri e Maltesi a ricevere la palma del martirio. Allora anche i vecchi e i bambini si gettano sulle mura, e in generale tutti i Maltesi sono percorsi da un furore innaturale. L’inerzia psicologica vira in pochi minuti, e ora i Turchi si ritrovano Maltesi armati fino ai denti che li insultano nella loro lingua e li massacrano senza pietà. La Valette, settantunenne, si presenta sulla breccia in armatura completa e guida il contrattacco. Tutti i soldati – mercenari, maltesi e Cavalieri – lo guardano come un’apparizione divina.
A risolvere la battaglia è anche l’intuizione del Cav. De Lingny, che piomba con la cavalleria sul campo Turco della Marsa, pieno di feriti, e massacra sia loro che il corpo di guardia. Le voci di un attacco al campo raggiungono gli assedianti, che cercano di tornare indietro sotto le cannonate e gli scherni provenienti dalle mura. Gli ottomani si ammassano gli uni sugli altri e le chiacchiere circolano senza freni; a un certo punto, lo stesso Mustafà si convince che sia arrivato il Gran Soccorso!
Degli aiuti siciliani non c’è però traccia, e l’8 Agosto le postazioni di artiglieria ottomane ritornano all’opera. La Valette è addirittura costretto a non far entrare in porto due galee dell’Ordine che sono in attesa del momento propizio per forzare il blocco. Da S.Angelo segnala loro di tornare in Sicilia. L’unico a sbarcare, di soppiatto, è il Capitano Andrea Salazar, incaricato dal Viceré di raccogliere (grazie all’aiuto di Mesquita e della Notabile) tutte le informazioni necessarie all’attacco e alle modalità per portarlo a termine con successo.
Il 10 Agosto, Pialì Pascià lascia le operazioni nei dintorni di Borgo e Senglea e si porta con 5.000 uomini in vista della Notabile. Visti gli enormi danni fatti dalla cavalleria della città (che rappresentava anche il centro direzionale dell’intelligenza di Malta), molti pensano che Pialì voglia assediarla. Tuttavia, egli si limita a tagliare le vie di rientro ai cavalieri cristiani, che si frammentano in decine di bande per sfuggire ai blocchi con maggiore facilità. Negli scontri perdono la vita diversi uomini ma, cosa peggiore, ne cadono prigionieri 11. Una volta giunti davanti a Mustafà, questi ultimi sono costretti a svelare parte della corrispondenza fra la Notabile e il Viceré. Lo stesso giorno, i Cavalieri sono protagonisti di un altro evento sfortunato. Il Cav. Robles, che pochi giorni prima era stato fondamentale a respingere gli assalti turchi, decide di affacciarsi a un parapetto della Senglea per controllare in prima persona l’opera di un gruppo di ingegneri ottomani sotto una posta della Senglea. Fra i Giannizzeri ci sono però dei cecchini davvero straordinari, e uno di loro gli piazza una palla in mezzo alla fronte.
Nei giorni successivi, il morale dei difensori scende. Le batterie turche martellano notte e giorno, uccidendo molti armati e civili, e proprio questi ultimi pensano che sarà difficile sfuggire a un futuro di schiavitù. Il 14 Agosto si verifica un buon presagio, ossia una colomba si posa e indugia sull’immagine della Madonna di Filermo. Il Gran Maestro, ormai disposto a far leva su qualsiasi cosa pur di restituire vigore ai suoi, dice che il Gran Soccorso è in arrivo, e di aver ricevuto numerose missile al riguardo. Ordina addirittura dei modesti festeggiamenti per dare forza alla sua bugia.
È difficile però distogliere l’attenzione dalle palle di ferro che, fra 13 e 16 Agosto, piovono su Borgo e Senglea con particolare vigore. Il risultato è che le brecce diventano talmente larghe da destare paure sempre maggiori fra i Cavalieri.
Mustafà e Pialì, d’altro canto, non gioiscono. In tre mesi di sforzi sono riusciti a prendere solo S.Elmo e il prezzo pagato, in termini di uomini e materiali, è stato altissimo. Si sono addirittura arrischiati a chiedere rinforzi a Solimano, cosa che il Sultano non ha preso bene.
Nel tentativo di intimorire ulteriormente i Cavalieri, i generali turchi tentano anche uno stratagemma teatrale; fingono infatti l’arrivo di 30 galere, scelte fra quelle all’ancora a Malta o in pattugliamento, con tanto di sbarco di Giannizzeri (in realtà sono manovali e semplici soldati truccati e agghindati per l’occasione) sullo Sceberras.
Il 18 Agosto, alla vigilia del nuovo attacco, il comando delle forze del Borgo è direttamente nelle mani del Gran Maestro, quello della Senglea è affidato al Cav. Coupier, che prende il posto del defunto Robles.
La posta di Castiglia, nel Borgo, sostiene l’aggressione più dura. Nel momento di massimo sforzo, il Gran Maestro lascia la postazione di osservazione e, per l’ennesima volta, si presenta sulle mura, dove trova una situazione disperata. Poco dopo il suo arrivo, cade trafitto il Cav. Burlò, mentre gli altri Cavalieri, alcuni di loro molto anziani, si stringono in difesa del Gran Maestro e cercano di tirarlo fuori dalla mischia. Il Cav. Mendoza, anch’egli oltre i settanta, si inginocchia addirittura davanti a La Valette e pronuncia queste parole:
Maestro, finito voi, finiti tutti! Deh, riducetevene al chiuso!
I difensori respingono diversi assalti, fra cui uno in piena notte. Fra questo e il primo assalto del 19 Agosto, i Turchi danno ai Cavalieri solo un’ora di riposo. Tornato alla posta di Castiglia, La Valette viene ferito alla gamba da una scheggia di pietra, ma rimane sul posto. Dopo quasi 48 ore di assalti continuati, i Turchi si ritirano la sera del 19, lasciando sotto le mura un quantitativo enorme di cadaveri.
La mattina del 20 Agosto però, riprendono l’assalto. La loro costanza e perseveranza suscita l’ammirazione anche dei cronisti dell’epoca. Per tutta la giornata e per quella successiva, i difensori continuano a resistere. Il Bosio, nella sua cronaca, scrive:
Et era cosa maravigliosa il vedere, che fin le donne, et i fanciulli havessero perduto e lasciato affatto ogni timore dell’archibusate, delle cannonate, e dei fuoci artificiati, e che non mostrassero avere horrore, o abigottimento alcuno, di veder cadersi a lato e vicino tanti morti, smembrati, e stranamente feriti. Anzi ch’arditamente se non mostrassero in continuo essercitio di lavorar intorno a’ripari, o di tirar sassate contra nemici, o di ritirar morti, e d’ajutar feriti, o di portar rinfrescamenti a combattenti; intrepidamente accostandosi a’parapetti, ancorche danno, ferite e morte ne ricevessero.
I maltesi arrivano a urlare ai Turchi di provare altri assalti, così da aumentare il numero dei loro morti, che già si aggira fra i 18.000 e i 20.000.
La Valette non rinuncia alla corrispondenza con il Vicerè, che deve anche fronteggiare le maldicenze su di lui. Filippo II infatti gli ordina di raggiungere Malta a costo di perdere l’intera armata. Don Garcia vuole invece una vittoria schiacciante e continua a radunare forze. Se anche Malta dovesse cadere, immagina di poter scacciare i pochi turchi rimasti e impossessarsene. Ma ormai Siracusa è piena di uomini d’arme, e rimandare diventa quasi impossibile. Il 25 Agosto, a tre mesi dall’inizio dell’Assedio, partono dalla Sicilia 58 galee cristiane.
A bordo ci sono:
- 250 Cavalieri di Malta e 100 uomini al loro seguito;
- 40 Cavalieri di Santo Stefano;
- 104 uomini condotti dai fratelli Pompeo e Prospero Colonna;
- 100 da Ascanio della Corgna;
- 80 da Cesare e Giovanni D’Avalos;
- 47 dal Conte De Cefuentes;
- 36 dal Marchese Pallavicino;
- 36 da Enea Pio;
- 31 da Paolo Sforza;
- 28 da Don Bernardo de Cardenas;
- 21 da Chiappin Vitelli;
- 20 da Alessandro Pallavicino
Contando anche gli avventurieri in proprio di ogni nazione, il conto totale arriva a 1.800. A questi si aggiungono 5.000 soldati di Lombardia, Napoli e Corsica, e 1.700 italiani scelti dal Colonnello Vincenzo Vitelli.
Nel frattempo, i Turchi sono sempre più furiosi. Ormai limitano al minimo l’uso dell’artiglieria e lavorano “con pala e zappa” sotto le poste del Borgo. Mustafà giunge alla follia di costruire una torre d’assedio in legno, di quelle utilizzate prima dell’avvento della polvere da sparo, per fare fuoco con gli archibugeri sui difensori di S.Michele. L’insolita costruzione all’inizio desta meraviglia, ma i Cavalieri la distruggono senza troppi problemi con cerchi e pignatte incendiarie.
Tuttavia, la posta di Castiglia (Borgo) torna a essere battuta dall’artiglieria e le posizioni turche arrivano così vicini alle mura da renderne quasi impossibile la difesa. La maggior parte dei Cavalieri propone di evacuare tutti i superstiti del Borgo all’interno di S.Angelo, che è ancora intero, ma il Gran Maestro non vuole nemmeno considerare questa opzione. Gli chiedono quindi di rinchiudersi almeno lui nel forte, assieme ai libri dell’Ordine. A questo punto, La Valette va su tutte le furie:
Che non mi si parli più di ritirate! Io combatterò primiero alla posta di Castiglia, morirò ivi, sarò ivi sepolto!
Prende poi quasi tutti gli uomini disponibili e si dirige alla posta di Castiglia, ordinando di bruciarne il ponte. I nemici ora occupano il piccolo sprone della posta: bisogna riprenderlo.
La Valette incarica dell’impresa il Cav. Clairmont, che il 26 Agosto opta per una sortita notturna. Il trambusto e le urla del contingente cristiano sono talmente forti che i Turchi pensano di essere assaliti dall’intera popolazione del Borgo, quindi battono in ritirata abbandonando armi e opere di difesa. I Cavalieri le convertono subito in materiale da adoperare contro il nemico e fortificano lo sperone talmente bene che i Turchi non riusciranno più a riprenderlo. Nell’azione di distinguono in particolare due maltesi, Agostino Tabone e Giacomo Bonnici.
Ancora più scoraggiati, il 28 Agosto i Turchi sparano sul Borgo, ma non tentano assalti. Ne approfittano i Cavalieri, che effettuano una fruttuosa sortita fuori dalla Senglea. Tutti i lavori dei turchi vengono distrutti, e gli incursori sottraggono anche un enorme quantitativo di pale, zappe e altri attrezzi.
In completo delirio mistico, il 29 Agosto Fra Roberto, considerato quasi come un santo dalla popolazione maltese, confida al Gran Maestro di aver avuto una visione: entro pochi giorni, la benevolenza divina avrebbe concesso una gloriosa vittoria agli assediati, liberandoli definitivamente dall’assedio.
Di certo la suddetta benevolenza non sembra essere dalla parte dei difensori la mattina seguente, quando Mustafà si presenta sotto le brecce del Borgo con 6.000 uomini, la metà dei quali posizionati sotto la posta di Castiglia, dove ci sono probabilmente meno di 200 difensori. In realtà, si tratta di un diversivo. I Turchi infatti vogliono solo tenere occupati i difensori del Borgo mentre un altro contingente prova l’attacco alla Senglea, i cui bastioni erano ridotti a un colabrodo. Una delle brecce è talmente ampia che le due parti si fronteggiano solo da una grande tavola di legno messa di traverso sulla breccia. Le donne e i fanciulli sono ai lati, tirando pietre e qualsiasi cosa capiti loro in mano.
Mustafà arriva giusto in tempo per ricevere una pietra in faccia e ritirarsi, ma lo scontro va avanti per due ore.
Il tempo di riorganizzarsi, e i Turchi riprendono a spingere sulla breccia. Mustafà utilizza anche moltissimi arcieri per creare un vero e proprio “fuoco di copertura” all’avanzata dei suoi, ma niente, al tramonto deve ritirarsi come ogni sera dei precedenti tre mesi.
La mattina del 31 Agosto, Mustafà capisce di dover fare i conti con il malcontento quasi ingestibile dei suoi. Per alzare il morale della truppa, ordina a 4.000 soldati di seguirlo alla Notabile, promettendogli il saccheggio della città. Mesquita però fa trovare tutti i Cavalieri e buona parte dei cittadini (vestiti e armati a guisa di Cavalieri) sugli spalti. Mustafà temporeggia, anche perché non ha portato artiglieria pesante, e poi desiste. È decisivo, in questo caso, lo stratagemma di Mesquita, che fa sparare i cannoni anche se i Turchi sono fuori tiro. Questi ultimi infatti pensano che la Notabile sia talmente ben equipaggiata da potersi permettere di sprecare colpi, e si ritirano definitivamente. Mesquita, ovviamente, aspetta che il grosso della forza nemica si sia messa in moto e poi sguinzaglia la cavalleria, che raggiunge la retroguardia e uccide una trentina di Turchi.
Nel frattempo, la guerra di mina, ossia lo scontro che si svolge sottoterra fra gallerie turche (il cui fine è far brillare barili di esplosivo sotto le mura) e maltesi, volge a favore di questi ultimi. Fra i difensori, si distingue in particolare “Maestro Giovanni, inglese bombardiero”.
Fallita la sortita sulla Notabile, Mustafà decide di far costruire un’altra torre d’assedio, questa volta molto più alta e resistente. La torre supera di alcuni metri i parapetti, e decine di difensori cadono sotto i colpi degli archibugi ottomani. Le pignatte infuocate questa volta non hanno effetto. Andare sui parapetti diventa impossibile: la situazione precipita velocemente.
Ancora una volta, La Valette si affida ai suoi ingegneri. La soluzione viene proposta dal maltese Andrea Cassar, fratello di Girolamo. Ed è una soluzione rischiosa, già sperimentata con il ponte di legno gettato dai Turchi qualche settimana prima: aprire un buco nei bastioni e portarci un pezzo di artiglieria, in modo da avere una linea di tiro diretta sulla Torre. I lavori sono frenetici; i Cavalieri sanno di avere una sola possibilità prima di ricevere un massiccio fuoco nemico. Al tramonto, con il pezzo in posizione, è proprio Andrea Cassar a consigliare di aggiungere alla palla pezzi di catene e ferraglia. La torre è li davanti, e la mattina dopo servirà come testa di ponte per un assalto cui nessuno potrà opporsi.
Oltre ad aver ideato la contromossa, Cassar si prende anche la responsabilità di accendere la miccia.
Il cannone fa fuoco. La palla colpisce la torre a mezza altezza, mentre le catene e i pezzi di ferro tranciano legno e carne. È un vero massacro, la torre crolla con tutti gli occupanti. Maltesi e Cavalieri tornano sui parapetti urlando come ossessi.
Il 4 Settembre, arriva il Gran Soccorso. Ma il Vicerè non fa sbarcare le truppe e sembra allontanarsi da Malta. Mustafà e Pialì sguinzagliano uomini e flotta per capire se qualcuno sia effettivamente sbarcato, e dopo due giorni di ricerche per terra e mare capiscono di no.
Mustafà, nella disperazione più completa, decide di tentare un ultimo assalto a tutte le poste. Si dice che volesse a tutti i costi morire lì, guidando l’assedio, per non presentarsi davanti a Solimano a mani vuote e con 20.000 morti. In realtà, la situazione dell’esercito ottomano non è delle migliori, visto che iniziano a mancare anche la polvere per gli archibugi e le armi. I suoi ufficiali cercano quindi di farlo desistere, ma lui li alletta con promesse di saccheggio e vendetta, rianimando anche il bey di Algeri, che si offre di guidare l’assalto.
Il 7 Settembre però, mentre i Turchi si preparano sotto le mura, il Gran Soccorso, 8.300 uomini, sbarca a Melleha e si mette in marcia verso la Notabile.
Quando la notizia arriva nei pressi della Senglea, sui soldati turchi cala un silenzio di tomba.
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Belli i dettagli di guerra psicologica.
Questa serie di articoli è fantastica.
Grazie Zwei.
Proprio per questo, ho deciso di pubblicare, sempre a puntate, la storia dell’Assedio di Famagosta. In pratica renderò gratuito il mio primo libro.
Questa è un’altra ottima notizia, ed è anche un ottimo modo per pubblicizzare il tuo libro o quelli futuri (tipo Zodd… ammick ammick)
Stupendo. E ce n’è ancora uno!
un altro ottimo articolo,leggerlo è un vero piacere,quest formato di articoli a “puntate” mi piace molto,permette di essere più dettagliati e narrare meglio i singoli eventi,cosa impossibile per un singolo articolo che diventerebbe eccesivament elungo
Grazie sia ad Albert che a Montoya.
Quanto al format a puntate, ho deciso di utilizzarlo ancora, è ottimo per unire la trattazione scientifica a quella divulgativa.
Secondo te Zwei perché i turchi non sono stati in grado di conquistare Malta?
Voglio dire, quale è stato l’errore fatale commesso da Dragut & co? Quale è stata la scelta/circostanza che li ha condannati alla sconfitta?
Direi una catena di errori, piuttosto che un singolo errore fatale. Fra i più gravi, è necessario menzionare la mancata conquista della Notabile, il ritardo nell’attacco a Borgo e Senglea (S. Elmo era aggirabile), i dissidi interni, il poco rispetto dei soldati da parte di Mustafà (al contrario di dragut), l’idea che i maltesi avrebbero tradito i Cavalieri, ecc..
Bellissimo articolo, come al solito ottimo lavoro! Questa serie mi appassiona a tal punto che mi ritrovo ad esultare al pari dei Maltesi… non me ne vogliano gli Ottomani sia chiaro u,u
Grazie Lodovico, ci saranno sicuramente altre serie dedicate agli assedi (sempre attraverso una selezione delle fonti più interessanti).
Ciao zwei, sono un tuo nuovo lettore e voglio farti i più sinceri complimenti per il lavoro svolto. Ho cercato altro circa l’ assedio di Malta e ho letto che ci fu uno scontro finale tra i resto dell’ armata turca e il gran soccorso nel quale si buttarono anche i cavalieri (come se non avessero combattuto abbastanza); ne parlerai?
Ciao Marco, questo è il penultimo articolo, leggi anche l’ultimo!
Zwei anche io sono un tuo nuovo lettore, ti ho conosciuto grazie a disqus e il giornaletto fantasy FQ, bel lavoro!
Un consiglio, i collegamenti tra articoli consecutivi (il “CONTINUA” che c’era nei precedenti per intenderci) è molto comodo, e qui pare che manchi.
Ciao Danilo e grazie della segnalazione, provvedo spiega possibile!
Ovvio che lo leggerò! A proposito, è ancora in cantiere oppure lo hai già rilasciato? Non riesco a trovarlo…
Ciao Marco, ho inserito il link in fondo a questo articolo.