Nel 1974 Andrew Watson pubblica un articolo in cui conia il termine “Arab Agricultural Revolution” (anche se, successivamente, si è parlato anche di “Green Revolution”), ovvero “Rivoluzione Agricola Araba“. Le conclusioni si basano su una conoscenza limitata del mondo Antico e riprendono in parte il tema dell’innovazione tecnologica araba proposto nel 1876 da Antonio Garcia Maceira per la Spagna musulmana.
Sono gli anni Settanta, la Guerra dello Yom Kippur è appena passata, e quella del Vietnam si avvia all’epilogo. Sostenere una sorta di superiorità storica delle culture non europee, e portare lo scontro ideologico dal presente al passato, sembra una buona idea. Professori delle scuole superiori e universitari incensano lo studio di Watson, in uno sfoggio piuttosto grottesco di parzialità intellettuale, scordandosi all’istante delle capacità agricole greco-romane. In pratica, avviene, in modo simmetricamente opposto, quanto accaduto con l’esaltazione della Romanità nel Ventennio.
Watson, vista la fortuna del primo articolo, torna sull’argomento nel 1981 con “A Medieval Green Revolution: New Crops and Farming Techniques in the Early Islamic World“, The Islamic Middle East, 700–1900: Studies in Economic and Social History, e nel 1983, finalmente, va in stampa il volume che racchiude tutte le sue ricerche: Agricultural Innovation in the Early Islamic World.
Andrew Watson: uno studioso imparziale? |
Andrew Watson è stato assistente e professore (e professore emerito) presso l’Università di Toronto per oltre quarant’anni. A far dubitare della sua imparzialità è sempre stata la sua eccessiva vicinanza agli ambienti islamici. Nel 1960-61 ha lavorato per il Regno di Giordania, in particolare a un piano di sviluppo economico della East Jordan Valley. Nel 1979-80 ha prestato consulenza economica ad Aleppo, in Siria, per l’International Centre for Agricultural Research in the Dry Areas (ICARDA). Sempre per l’ICARDA ha scritto rapporti su Tunisia, Marocco, Siria e Africa Subsahariana. Dal 1983 al 1986 è stato Senior Programme Officer per l’International Development Research Centre of Canada (IDRC) presso gli uffici de Il Cairo. Nel 1985 ha pubblicato, per l’Università di Aleppo, il libro Al-abdā’ al-zirā’i fi badāyat al-‘alam al-Islāmi. Ha partecipato inoltre a decine di conferenze sulla Rivoluzione Agricola Araba in Egitto, Kuwait, Siria e Algeria. |
A nulla valgono le pubblicazioni accademiche successive, quasi tutte contrarie alle conclusioni di Watson. Il sistema agricolo creato – e non riutilizzato o modificato – dagli arabi, diventa parte integrante della narrazione storica relativa all’alto medioevo mediterraneo.
Un importante storico islamico, Lansiné Kaba, nella sua recensione del volume di Watson del 1984 (vedi African Economic History, No. 13 (1984), pp. 227-230), scrive: “la passione di Watson per i traguardi raggiunti nei primi secoli Islamici lo ha portato a trascurare questioni fondamentali quali l’eccessiva tassazione, lo sfruttamento degli schiavi e il deterioramento dell’amministrazione.“
La miglior risposta alla tesi della rivoluzione agricola arriva però da M. Decker (South Florida University) nel 2009, con l’articolo Plants and Progress: Rethinking the Islamic Agricultural Revolution, pubblicato dal Journal of World History. Decker è uno studioso molto onesto, quindi inizia ammettendo che le conquiste islamiche permisero una connessione mai esistita prima fra oriente e occidente (dall’Afghanistan alla Spagna). Questo “abbraccio colossale” dell’Islam è innegabile e, se da un lato supera la secolare divisione fra romani e parti/sassanidi (comunque fruttuosa dal punto di vista commerciale), dall’altro lato porta a una netta cesura istituzionale e sociale fra l’Europa continentale e i paesi sull’altra sponda del Mediterraneo.
Per decenni gli studiosi, basandosi sul provocatorio lavoro di Watson, hanno acriticamente indicato la Rivoluzione Agricola Araba come uno dei doni più grandi fatti dal mondo Islamico all’Europa e quindi al mondo intero.
M.Decker
A parte il prezioso lavoro di Decker, è importante ricordare anche un’importante opera del 1976 di E. Ashtor, A Social and Economic History of the Near East in the Middle Ages, dove si dimostra che la produzione agricola, anche in paesi come l’Egitto e la Mesopotamia, subì un decremento produttivo (rispetto a periodo romano-sasanide) durante la dominazione islamica.
Ad ogni modo, torniamo a Watson e Decker, e cerchiamo di analizzare le affermazioni del primo e le obiezioni del secondo con un esaustivo fact checking.
1. Rotazione delle colture
Questo è il primo e più importante punto considerato da Watson. Egli sostiene che nell’Antichità si osservava un rigido riposo estivo dei campi, e che quindi non c’era rotazione delle colture e raccolti continui. Decker gli risponde così:
Questa affermazione ignora le prove, le quali mostrano che Romani, Bizantini e Sassanidi utilizzavano la coltivazione continua e una sofisticata rotazione annuale delle colture.
Nei venti libri che compongono i Geoponica, un trattato di agronomia redatto a Costantinopoli nel X secolo utilizzando fonti dell’Antichità (fra i più usati troviamo Cassiano Basso e Vindonio Anatolio, ma ci sono anche passi di Plinio il Vecchio), si legge chiaramente che la rotazione delle colture era ampiamente utilizzata nel mediterraneo Romano. Watson però, non essendo uno storico né conoscendo la genesi dei volumi, li liquida sostenendo la rotazione delle colture ebbe solo “un ruolo minore in alcune parti del mediterraneo settentrionale“. La sua è una tesi insostenibile, visto che furono scritti in greco e utilizzando fonti perlopiù mediorientali.
Decine di volumi, antichi e moderni, parlano della rotazione delle colture romana. Per esigenze di stringatezza, vi rimando al monumentale The Cambridge Economic History of Europe from the Decline of the Roman Empire; Volume 1. Agrarian Life of the Middle Ages (1966) e mi limito a citarne solo alcuni.
In The Grain Market in the Roman Empire: A Social, Political and Economic Study (2005), Paul Erdkamp scrive:
e poco dopo aggiunge:
Lo stesso sostengono K. D. White in Fallowing, crop rotation, and crop yields in Roman times; Agricultural History 44 (1970), Geof Kron in Roman ley-farming, JRA 13 (2000) e molti altri autori.
2. Irrigazione
Specie dopo la pubblicazione del lavoro di Watson, la creazione del sistema di irrigazione agricola della Spagna orientale viene spostata in avanti di qualche secolo, dal periodo romano a quello arabo.
Eppure, oltre a centinaia di altri testi, basterebbe consultare Irrigation Agrosystems in Eastern Spain: Roman or Islamic Origins? di W. Butzer e altri, pubblicato in Annals of the Association of American Geographers, Vol. 75, No. 4 (Dec., 1985), pp. 479-509. Questo testo mostra in modo inequivocabile l’origine romana dei tanto osannati sistemi d’irrigazione arabi. Molti di voi non lo leggeranno, quindi eccovi qui sotto l’abstract:
Gli arabi utilizzarono le strutture romane preesistenti, le restaurarono ove in disuso e le ampliarono in altri casi. Lo stesso fecero con quelle trovate nelle regioni facenti parte dell’ex-impero Sasanide. Anzi, in The Decline of Iranshahr: Irrigation and Environments in the History of the Middle East, 500 B.C. to A.D. 1500 (1993) Peter Christensen afferma che il sistema di irrigazione delle colture mediorientale raggiunse l’apogeo durante il regno dei Sasanidi. In State, Land Tax and Agriculture in Iraq from the Arab Conquest to the Crisis of the Abbasid Caliphate (Seventh-Tenth Centuries) un ricercatore italiano, Michele Campopiano, spiega (collegandola a una forte riduzione degli introiti provenienti dalle tasse sui terreni) come la Mesopotamia sia andata incontro a una grave crisi agricola dopo la conquista Abbaside,
3. Introduzione del Grano Duro
Watson ritiene che il Grano Duro fosse sconosciuto nell’Antichità, e che furono gli Arabi a iniziarne la diffusione. In realtà però, il Gran Duro era conosciuto e ampiamente coltivato da Greci e Romani.
Le prove, archeologiche e documentali, sono schiaccianti, eppure hanno sempre ricevuto poca attenzione. Oltre alla presenza di tipi appartenenti alla stessa famiglia in strati risalenti a quasi novemila anni fa, abbiamo testimonianze della coltivazione di Grano Duro nella valle del fiume Balikh (Siria del Nord) già nell’età del Bronzo. Lì vicino, a Tell Keisan, (nei pressi di Haifa), il Grano Duro veniva coltivato nel XI secolo a.C.
Attorno al secondo secolo a.C. era ormai diffuso in tutto il Mediterraneo. Gli agronomi romani Columella (I secolo) e Palladio (IV secolo) danno consigli sulla sua coltivazione e viene citato anche da Galeno. In Egitto, nel corso della dominazione romana il Grano Duro sostituì completamente la varietà cerealicola precedente, il farro.
4. Introduzione del Riso
Watson ritiene che il riso (Oryza sativa) sia stato conosciuto e diffuso in medioriente e sulle sponde del Mediterraneo solo dopo le conquiste arabe. In realtà, la coltivazione del riso arrivò a paesi molto distanti dalla Cina (ove ebbe origine) già diversi millenni prima che i Greci ne venissero a conoscenza. È probabile che siano state le spedizioni di Alessandro Magno a portare il riso verso occidente, anche se ne aveva parlato già Erodoto un secolo e mezzo prima. Lo scrittore di botanica Teofrasto (successore di Aristotele presso la Scuola peripatetica) lo descriveva già nel IV secolo nel suo De Plantarum Historia; tre secoli dopo; Diodoro Siculo la considerava una delle colture più importanti del subcontinente indiano, tanto che Eumene, a corto di grano nella guerra con Seleuco, ricorse al riso per sfamare le sue truppe. Altre fonti, come il Talmud babilonese, testimoniano un uso importante del riso da parte delle comunità ebraiche in Mesopotamia, ma sappiamo che era coltivato anche in Palestina. In Rice: Origin, Antiquity and History (2010), S. D. Sharma scrive:
Anche il Talmud di Gerusalemme (scritto nel IV secolo, utilizzando però fonti risalenti) cita diversi centri di coltivazione del riso: nei pressi del lago di Tiberiade, a Banias (Golan meridionale) e a Cesarea Marittima (nord di Israele)
Il riso era comunque coltivato in Egitto già nel primo secolo e ci sono diversi papiri che testimoniano la sua esportazione verso la Grecia. I Romani lo apprezzavano maggiormente per le sue proprietà curative (nominato, fra gli altri, anche da Galeno), ma lo conoscevano molto bene.
In questo senso, la testimonianza più importante è senza dubbio l’Editto di Diocleziano (Editto sui Prezzi Massimi), un calmiere dei prezzi relativo alle merci più diffuse nei confini imperiali. Il prezzo massimo del riso era fissato a 200 denari per modio (misura romana equivalente a circa 8.7 litri), ossia il doppio rispetto al grano.
Il riso continuò ad essere utilizzato, specie in medicina, anche nel periodo fra la fine dell’Impero d’Occidente e l’ascesa dell’Islam. Ne parlano infatti sia Ezio di Amida sul finire del V secolo, che Alessandro di Tralles sul finire del VI.
5. Introduzione del Cotone
Il Cotone viene presentato da Watson come una merce quasi sconosciuta nel mondo romano-sasanide e introdotta nel bacino mediterraneo dagli arabi.
Nel V secolo a.C., Erodoto narra che i soldati persiani vestivano abiti di cotone e che questo proveniva dall’India del nord. Dopo le spedizioni di Alessandro Magno, il cotone arriva nel Golfo Persico e in altri luoghi del mondo Ellenico. Nelle parti orientali dell’Impero Sasanide, veniva coltivato in particolar modo nei pressi del fiume Araxes. Nella sua Storia Naturale (XII volume), Plinio ci dice che il cotone veniva utilizzato per produrre ottimi indumenti a Tylos (odierno Bahrain).
Nel mondo greco-romano, il cotone era in massima parte importato dall’Impero Sasanide, dalla Nubia e dall’India. Il Periplus Maris Erythraei, che riporta le rotte commerciali fra Mar Rosso, Oceano Indiano e Golfo Persico del I secolo, mostra che il cotone era una merce piuttosto comune. Anche nei famosi Papiri di Ossirinco (da cui ho tratto l’articolo Lettera di un Legionario Romano alla Famiglia) il cotone è menzionato più di una volta. Di certo, il cotone cresceva anche nell’Egitto settentrionale (come testimoniato da altri papiri che datano fino al IV-V secolo) e in Palestina. In quest’ultimo caso, a citarlo è la Mishnah, ma più di tre secoli dopo farà lo stesso Gregorio di Tours, parlando del cotone prodotto nei pressi di Jericho.
In conclusione, le grandi conquiste dei primi secoli dopo la morte di Maometto hanno permesso agli arabi di innestarsi e trarre vantaggio dal ricco substrato tecno-agricolo romano-sasanide; lo studio delle effettive migliorie tecnologiche arabe, occorse in taluni luoghi islamizzati, deve essere maggiormente approfondito e liberato da alcune esagerazioni politicizzate.
Dal mio punto di vista, il lavoro di Watson risulta troppo ricco di “quasi certamente furono gli Arabi” o “probabilmente gli Arabi“, quando non di veri e propri sfondoni. Parlando della Sicilia del XII secolo, ad esempio, cita atti datati 1439 e 1487! Concordo pienamente, a conti fatti, con la recensione di Agricultural Innovation in the Early Islamic World scritta dal Prof. Jeremy Johns, dell’Università di Oxford, uscita poco dopo la pubblicazione del libro. Il Prof. Johns la chiude scrivendo: “A volte l’entusiasmo di Watson è contagioso, ma non può rimpiazzare una solida tecnica di ricerca e la sobrietà nei giudizi.“
Bibliografia:
- A. WATSON (1974). “The Arab Agricultural Revolution and Its Diffusion, 700–1100”. The Journal of Economic History. 34 (1): 8–35;
- A. WATSON (1981), A Medieval Green Revolution: New Crops and Farming Techniques in the Early Islamic World“, The Islamic Middle East, 700–1900: Studies in Economic and Social History;
- A. WATSON (1983), Agricultural innovation in the early Islamic world : the diffusion of crops and farming techniques 700-1100. Cambridge: Cambridge University Press;
- W. BUTZER AA. (1985) Irrigation Agrosystems in Eastern Spain: Roman or Islamic Origins? in Annals of the Association of American Geographers, Vol. 75, No. 4 (Dec., 1985), pp. 479-509.
- P. CHRISTENSEN (1993) The Decline of Iranshahr: Irrigation and Environments in the History of the Middle East, 500 B.C. to A.D. 1500;
- P. ERDKAMP (2005), The Grain Market in the Roman Empire: A Social, Political and Economic Study;
- M. DECKER, (2009). Plants and Progress: Rethinking the Islamic Agricultural Revolution. Journal of World History. 20. pp. 187–206;
- S.D. SHARMA (2010), Rice: Origin, Antiquity and History (2010);
- M. CAMPOPIANO (2012). “State, Land Tax and Agriculture in Iraq from the Arab Conquest to the Crisis of the Abbasid Caliphate (Seventh-Tenth Centuries)”. Studia Islamica. 107 (1): 1–37.
*si guarda intorno*
Zwei, credo che nella sezione del riso una frase in parentesi sia rimasta tronca:
Sto ormai assurgendo a correttrice di bozze del blog XD screw the PhD, queste sì che sono ottime prospettive lavorative!
Mi sono scordato il “più”. Era “fonti più risalenti”!
Ma quindi sti arabi sono stati fondamentalmente inutili quando non dannosi.
Hanno fatto anche qualcosa di buono?
Btw io mi ricordo che alle superiori la rotazione della culture me l’hanno insegnata come “un’invenzione” medievale, senza citare arabi o romani, come se un bel giorno di colpo la gente avesse imparato a rotare le culture.
La Storia insegnata a comparti stagni è divertente. Leggendo un libro di testo delle superiori immagini che nel 476 il mondo si sia fermato per passare dall’Antichità al Medioevo. Senatori, soldati romani, acquedotti, flotte, traffici commerciali, leggi… tutto sparito in un paio di secondi.
“Porca puttana siamo nel medioevo! Via le tuniche, tutti in chiesa con il mantello a ruota e poi via, in piazza a bruciare le streghe!”
Ibn Khaldun, storico musulmano del XIV° secolo scriveva:
“Si noterà che la civiltà è sempre danneggiata in modo irreparabile dall’urto della conquista araba: gli insediamenti si sono spopolati e la terra è diventata soltanto terra”.
Sì.
La guerra.
Vabbé, siamo al livello delle scemenze. Negare il contributo culturale dei califfati arabi (e in generale dei regni musulmani, fino all’Asia Centrale) nel medioevo fa sorridere: la filosofia, la medicina, la matematica (algebra: vi dice niente il nome?) erano arabe, o comunque appartenenti all’ecumene musulmano. Teniamo presente che da una parte del Mediterraneo c’era una civiltà urbana, e dall’altra parte no, e nella parte sfortunata se non si era perso l’uso della scrittura poco ci mancava. Paragonare Baghdad del X secolo non dico a una città dell’Europa Occidentale (ce n’erano di città in Europa Occidentale, in quel periodo?), ma anche alla gloriosa Costantinopoli sarebbe offensivo. Dimenticare il ruolo che le migliori condizioni offerte ai contadini dai conquistatori arabi rispetto a quelle imposte dai bizantini ebbero nello sgretolamento della sponda africana dell’impero semplicemente dimostrerebbe crassa ignoranza. Paragonare l’architettura araba con quella europea nel medioevo sarebbe imbarazzante, se non fosse che per un largo pezzo di medioevo in europa di architetture semplicemente non ce ne fecero, e quindi il problema neppure si porrebbe.
Tutto preso da civiltà indiana, persiana, greca e romana.
Migliori condizioni? Gli arabi hanno reso i territori da loro conquistato semi-desertici.
Costantinopoli stava sempre sopra tutto. A confronto Baghdad era un nano da giardino. Capisco l’arabofilia che va di moda di questi tempi ma cerchiamo di non proferire bestemmie, per Giove.
Ah beh se lo dice l’utente anonimo “ilviaggiatore” che l’Occidente facesse schifo, senza alcuna fonte, allora è vero sicuramente. Voti più Europa immagino.
Comunque nessuno ha “negato i contributi” di nessuno in questo articolo, si faceva debunking ben preciso sul tema specifico del saggio di Watson pluricitato non so quante volte. Non so cosa “ilviaggiatore” abbia inteso di tutto ciò per partorire una risposta del genere.
Bisognerebbe leggere bene l’articolo. Si parla di agricoltura non di architettura, filosofia, medicina ecc… (filosofia che parte dalla traduzione di Aristotele però…), bisognerebbe anche non parlare genericamente di Mediterraneo ed Europa Occidentale come la stessa cosa (Palermo, Bari o Marsiglia non sono la stessa cosa di Londra, Parigi o Lione) e non fare confusione tra conquista araba e turca.
Articolo interessante. Anch’io ricordo che a scuola la rotazione delle colture veniva spacciata per invenzione medievale: forse gli autori pensavano che la società fosse talmente regredita e barbarizzata da dimenticare questa antica tecnica agricola per riscoprirla solo in pieno medioevo. Dopotutto gran parte dei libri di oggi sono scritti da ignoranti e falsari, ma questo lo sanno tutti (o forse no?)