1. Monete Romane False Coniate in India nel I secolo.
Diversi ritrovamenti hanno confermato che le monete romane erano arrivate fino in India. Fra Impero Romano, Partico, Kusana e l’India le linee di comunicazione erano buone, così come quelle commerciali.
Fa però un certo effetto immaginare un indiano del I secolo AD intento a coniare monete romane false. Dagli scavi nei pressi della città di Talakad è infatti emerso, venti anni or sono, lo stampo di una moneta romana, trovato vicino a una fonderia e a un crogiolo.
Non sono un grandissimo conoscitore dell’evo antico indiano, ma penso che in quel periodo dominasse su quei territori l’Impero Satavahana (che emetteva una propria monetazione, fra l’altro di buona fattura).
Sull’utilizzo delle monete false possiamo fare diverse congetture. Oltre alla possibilità che le monete romane fossero accettate, come un dollaro ante-litteram, da alcuni commercianti orientali, è anche possibile che qualcuno di questi ultimi, magari proveniente dall’Impero dei Parti, le avesse commissionate a un artigiano indiano cui non era possibile risalire in alcun modo.
2. Orme di cane su una piastrella romana!
Spesso la storia ci dona qualcosa di inaspettato. La lettera di un soldato romano tirata fuori dalle sabbie del deserto, un anello arabo ritrovato al dito di un guerriero vichingo… in questo caso l’impronta lasciata da un cane su una piastrella non ancora asciutta quasi duemila anni fa. Il ritrovamento è stato effettuato in Inghilterra, a Leicester, nei pressi del monastero Blackfriars.
La parte divertente della scoperta è immaginare il povero artigiano romano, magari costretto a lavorare in fretta per portare a termine in tempo l’opera commissionatagli, che insegue il cane bestemmiando gli dei.
Il sito ha dato alla luce diversi artefatti romani, nonché alcuni risalenti all’Età del Ferro.
3. Le rotte degli schiavisti attraverso l’europa dell’est e in scandinavia
Oltre ad usare le piste sahariane, quelle asiatiche e le incursioni nel mediterraneo, lo schiavismo islamico riforniva i suoi mercati, sempre in attesa di nuova merce, anche di schiavi provenienti dall’europa dell’est e dalla Scandinavia. Schiavi e, soprattutto donne bianche, avevano un valore nettamente superiore a quello degli schiavi negri. Uno studio su questa rotta è stato compiuto dal Professor Jukka Korpela, che si è concentrato sugli schiavi del nord che venivano venduti nei porti della Crimea (Mar Nero). La maggior parte degli schiavi non erano uomini in età da lavoro, ma donne e bambini da destinare ad usi domestici o sessuali. Oltre ai musulmani, vi si rifornivano abitualmente anche i bizantini (fino all’inizio del XV secolo).
In questi casi, gli schiavisti del khanato di Crimea erano molto bravi a vendere cristiani ai musulmani e viceversa.
Il traffico era talmente ricco che, quando lo scrittore ottomano Evliya Çelebi visitò le coste settentrionali del Mar Nero, nel 1664, annotò queste due frasi nel dialetto locale che pensava sarebbero state utili ai turchi in procinto di intraprendere un viaggio simile: “portatemi una ragazza” e “Non ho trovato una ragazza, ma un ragazzo” (per approfondire, leggi anche: Mike Dash, Blonde cargoes: Finnish children in the slave markets of medieval Crimea).
4. Punte di Freccia e Corpi Smembrati: 5.000 anni di Violenza Californiana
L’antropologo Terry Jones, autore di un incredibile studio statistico su quasi 17.000 resti umani datati dal terzo millennio avanti Cristo fin quasi ai giorni nostri, ha affermato:
“Molta gente sembra convinta del fatto che la California preistorica fosse un paradiso senza alcun tipo di violenza, mentre i ritrovamenti archeologici dimostrano chiaramente che non era così”.
Esatto, come ho avuto modo di sostenere in diversi articoli, il mito del “buon selvaggio” è, per l’appunto, un mito. Come abbia fatto questo cliché letterario ad insinuarsi nella storiografia è in parte un mistero e in parte spiegato da sciocche convinzioni politiche. Tutte le fonti letterarie ed i ritrovamenti archeologici dicono però il contrario.
Nel 7.2% dei resti esaminati dal Dr. Jones sono presenti ferite da proiettile (frecce o dardi) e, in certi casi, le punte delle frecce, in pietra, sono rimaste conficcate all’interno delle ossa. Nell’1% dei casi (con un picco del 2% nel periodo a cavallo fra BC e AD) gli scheletri presentano segni di smembramento. L’incidenza delle ferite è molto superiore nei maschi e raggiunge il picco massimo fra il 1720 ed il 1899, in concomitanza con la massima diffusione della tecnologia “arco e frecce” e l’arrivo degli europei.
Jared Diamond nel suo controverso “Armi, acciao e malattie” racconta di un’intervista fatta a un guerriero maori a riguardo dello sterminio degli indigeni di un’isoletta a sud della Nuova Zelanda. E’ riportata una frase molto suggestiva che suona più o meno: “Sì, siamo sbarcati, si sono arresi e li abbiamo trucidati tutti. Ma che importa? Sono le nostre tradizioni.”
Invece il falsario indiano mi ha fatto venire in mente un telefilm tipo The Shield o sons of Anarchy ante litteram. Secondo le mie tradizioni, inserirò qualche sporco falsario ebreo in un’avventura di gioco di ruolo.
Chi ha detto che l’archeologia non è divertente.
Visto che moltissimi scrittori italiani di romanzi storici e fantasy leggono il sito, potrebbero trarre ispirazione dal falsario indiano!