Il pilum è stata una delle armi più letali del mondo antico e nell’immaginario collettivo identifica il legionario romano senza possibilità d’errore.
Le origini del pilum sono avvolte nel mistero, visto che gli studiosi le hanno trovate ora nell’equipaggiamento di un popolo italico, ora in un altro. In particolare, Virgilio e Silio Italico parlano di un’origine sabina (arma sabellica, iaculator Sabellus), mentre altri autori propendono per quella sannitica (Ineditum Vaticanum) ed iberica (Ateneo di Naucrati). Un argomento convincente a favore della “tesi etrusca” sembra provenire dalla tomba di Giglioli presso Tarquinia, dove si può osservare la raffigurazione pittoria di un pilum del IV secolo a.C.. Inoltre, è conservato in Vaticano un pilum ad incastro che si suppone provenga da una tomba di Vulci (Etruria) del V sec. a.C.. Non è peraltro escluso che le due versioni del giavellotto usate dai legionari potessero avere delle origini differenti, confluite poi nella tradizione militare romana.
Detto questo, possiamo affermare senza ombra di dubbio che furono i romani ad esaltare le caratteristiche del pilum in battaglia, trasformandolo in un’arma tattica di grandissima importanza.
La sua introduzione risale quindi al IV secolo a.C., all’incirca contemporanea a quella dello scutum, altro tassello fondamentale dell’equipaggiamento legionario. Anche avendo un’idea molto approssimativa dell’esercito romano, saltano subito all’occhio i vantaggi derivanti dal possedere una fanteria pesante dotata, al contempo, di un’arma da getto così letale.
Prima di passare all’utilizzo e all’efficacia del pilum, occorre distinguere le diverse tipologie.
Polibio ci parla di due tipi di giavellotto, uno pesante ed uno leggero, in dotazione ad hastati e principes, mentre i triarii continuano a portare la lancia oplitica, un’arma da falange adottata secoli prima, ancora per qualche tempo. Naturalmente, tutte queste distinzioni vengono meno con la riforma militare di Mario.
Pilum pesante o a codolo largo. Polibio ci dice che si tratta di un’arma composta da due parti: una lunga asta di legno (3 cubiti=133cm), che termina con una parte più spessa a sezione piramidale, e un gambo di ferro della stessa lunghezza, il cui codolo piatto (lungo 1/2 della parte in ferro) viene inserito nel legno con l’ausilio di due o tre rivetti, che spesso vengono ribattuti sul legno per rinforzare la giunzione. A quanto ci dice Polibio, l’intera costruzione risulta molto solida, tanto che è più frequente la rottura del gambo di ferro che non quella dell’intersezione ferro-legno. Il peso si aggira sui 2kg, forse qualcosa di meno.
Quanto alle misure delle parti metalliche di alcuni esemplari, sembrano dimostrare che Polibio abbia esagerato con le dimensioni. Alcune sono riportate nella recente opera sull’Esercito Romano di G.Cascarino, e vanno dai 26,8 cm di un reperto dal sito di Smihel (200 a.C. ca) ai 73,2 cm di un esemplare rinvenuto a Reineblas (150 a.C.). Dati in linea con quelli emersi dai pila di Numanzia (133 a.C.), le cui misure oscillano fra i 30 ed i 70 cm. Sono state trovate parti metalliche superiori ai 100 cm di lunghezza, ma si presume che le dimensioni stazionassero su un range più basso, per una lunghezza totale media del pilum attorno ai 150-190 cm.
Pilum leggero o ad incastro. Il metodo di assemblaggio è differente. Infatti, la congiunzione fra legno e metallo viene realizzata tramite l’inserimento dell’asta nella punta di ferro, un metodo, per così dire, a incastro, ad incavo o a manicotto. Questo tipo di pilum è il più antico, leggero (1.3-1.5 kg) ed è possibile scagliarlo ad una distanza maggiore rispetto a quello pesante. Ne sono stati rinvenuti diversi esemplari nei siti di Numazia, Renieblas, Alesia, Monfortino, tutti di lunghezza compresa fra i 15 ed i 94cm. Hanno suscitato grande curiosità negli studiosi alcuni ritrovamenti di Smiel, che dimostrano un’ulteriore funzione dei come i pila ad incastro. In alcuni di essi infatti, la parte metallica è sostituita da un contenitore di materiale infiammabile, in modo che possano fungere da proiettili incendiari (da usare contro eventuali macchine d’assedio?).
La base forata in cui veniva inserita l’asta di legno.
Dunque, in linea di massima, conosciamo due metodi di assemblaggio differenti, ma è sempre meglio non fossilizzarci su questa bipartizione, visto che esistono anche pila pesanti ad incastro, quindi privi di codolo e “castello di legno”.
Oltre ai pila a codolo piatto e ad incavo, se ne sviluppa un terzo tipo, quello con il codolo a punta, attorno al I sec. a.C.. A sostenere la parte metallica c’è un solo rivetto e la lunghezza dell’arma è nettamente inferiore a quella degli altri pila. Peter Connoly ipotizza possa trattarsi di pila muraria, utilizzati per difendere le mura dagli assalti nemici, ma probabilmente ebbero un’impiego militare più diffuso di quanto si creda. La loro lunghezza si aggira quasi sempre fra i 29 ed i 39cm.
Per quanto riguarda il pilum in epoca imperiale, alcuni degli esemplari a codolo piatto meglio conservati risalgono proprio all’epoca augustea. In particolare, mi riferisco ai ritrovamenti effettuati ad Oberaden nel 1942.
Il disegno qui sopra mostra l’eccezionale stato dei pilum di Oberaden, di cui si è conservato anche il castello di congiunzione in legno e parte dell’asta. Si possono notare due cunei metallici di fissaggio (iii), il colletto metallico di rinforzo (iv) e tre grossi rivetti ribattuti (v).
In questo periodo, il pilum a codolo piatto sembra prendere il sopravvento su quello ad incastro, che tuttavia sopravviverà fino al III secolo, mentre scompare definitivamente il pilum con il codolo a punta. In generale, aumenta la lunghezza complessiva del gambo metallico, che passa dai 30-70 cm ai 60-90 cm.
Viene inoltre introdotto un tipo di pilum a codolo piatto modificato, appesantito da una grossa sfera di bronzo/ferro collocata immediatamente prima del rigonfiamento piramidale che alloggia il codolo. Una simile aggiunta ha la funzione di appesantire il giavellotto ed aumentare la sua capacità di penetrazione. Purtroppo, di questo pilum non ci sono giunte evidenze archeologiche dirette, ma solo rappresentazioni marmoree.
Particolare di due pila con sfera di metallo (Musei Vaticani)
Il pilum continua ad essere utilizzato per tutto il terzo secolo, ma smette di essere l’arma in asta per eccellenza. Ciononostante, continua ad essere raffigurato sulle lapidi e nei rilievi marmorei in correlazione alle figure del legionario e del pretoriano. L’arma che lo sostituisce in modo definitivo è lo spiculum, un’arma che subisce le influenze dei giavellotti germanici, in particolar modo dell’angone franco. Ma questa è un’altra storia…
Ancora più interessante del pilum in sé e il suo impiego tattico.
Immaginiamo una battaglia. Da una parte ci siano 1000 galli e dall’altra una coorte romana di circa 500 uomini. Fra di loro, un territorio pianeggiante.
I due schieramenti sono pronti alla battaglia, ormai a 50 metri di distanza. Ecco l’urlo dei galli e l’avanzare ordinato dei legionari. 35 metri. I legionari delle prime due linee scagliano i pilum leggeri, ma non si fermano ad osservare gli effetti del lancio, nelle mani stringono già i pilum pesanti.
- Ho inserito il lancio di pilum leggeri, ma forse i legionari romani li utilizzavano solo raramente in battaglia, specie con in nemici pronti alla carica. Meglio puntare tutto sull’effetto dirompente di una pioggia di pila pesanti.
30-20 metri. I galli subiscono le salve successiva di pila leggeri e iniziano a lanciare le loro armi da getto in modo scomposto. Probabilmente subiscono poche perdite, ma le prime file si scompongono leggermente e quelle arretrate inciampano sui pila e sui compagni feriti.
15 metri. I legionari lanciano i pila pesanti. Ora, la vicinanza del nemico e l’intenzione di creare un vero e proprio “fuoco di sbarramento” rendono necessaria una coordinazione perfetta fra le file che devono scagliare il giavellotto. Onde evitare incidenti, solo le prime file partecipano al lancio.
Appiano di Alessandria racconta un episodio interessante, che vede protagonisti il dittatore Gaio Sulpicio ed i suoi uomini.
I Boii, la più selvaggia tribù gallica, attaccarono i romani. Il dittatore gaio Sulpicio marciò contro di loro, e utilizzò il seguente stratagemma. Comandò ai soldati delle prime linee di lanciare i giavellotti ed accovacciarsi, e fece lo stesso con quelli della seconda, terza e quarta, ciascuno doveva lanciare il proprio giavellotto ed accovacciarsi, in modo da non essere colpito da quelli provenienti dalle linee più arretrate. Poi, quando anche l’ultima linea ebbe lanciato, tutti i legionari si lanciarono verso il nemico con un urlo, ingaggiandolo nel corpo a corpo. La pioggia di armi da getto, seguita da una carica immediata, gettò i nemici in confusione…i Romani li chiamano pila, a quattro facce, in parte di ferro e in parte di legno…In questo modo l’esercito dei Boii fu annientato dai Romani.
12 metri. Scrosci di pilum pesanti cadono sulle prime linee dei galli, rompendo lo schieramento. I galli sono costretti a cercare di evitare i giavellotti e, al tempo stesso, rimanere concentrati sull’imminente corpo a corpo.
- Il pilum viene assemblato per rispondere all’esigenza specifica di penetrare uno scudo e raggiungere il nemico dietro di esso. Il lungo gambo metallico e la punta piramidale, spesso simile a quella dei dardi di balestra utilizzati nel medioevo per penetrare le armature, gli consentono di avere la meglio (se propriamente lanciato) su qualsiasi protezione del nemico. Quanto all’ipotesi, sostenuta dalla maggioranza degli studiosi, che il pilum abbia un design volto a facilitare la piegatura del gambo metallico per rendere gli scudi del nemico inutilizzabili, vorrei dedicargli un paragrafo apposito.
- Diversi test di penetrazione hanno dimostrato la capacità del pilum di penetrare senza problemi 3 cm di legno di pino e 2 cm di compensato (ply) a una distanza di 5 m.
A pochi metri dalla prima fila romana i nemici si accasciano, urlano, inciampano sui cadaveri. La loro condizione psicologica subisce un drastico peggioramento. I Romani hanno gli scudi alzati ed i gladi pronti nella destra. Caricano i galli urlando. Nel caso in cui alcuni legionari non siano riusciti a scagliare il loro giavellotto, questo potrebbe tornare utile anche nel corpo a corpo, sebbene non si tratti della sua funzione principale.
Il resto della storia potete immaginarlo. Un’eccellente scansione temporale (più scientifica della mia) delle “salve” di pila viene proposta da Nicola Zotti sul sito Warfare.it. Vi consiglio di leggerla, anche perchè accenna alla questione lancio in movimento vs lancio stazionario, ancora irrisolta. In questo senso, mi sento di dire che forse non c’era una pratica univoca. Probabilmente gli ufficiali, sfruttando la disciplina e le conoscenze tattiche dei legionari, decidevano valutando le caratteristiche dello scontro volta per volta.
L’esercito romano deve aver vinto numerose battaglie in questo modo. In guerra l’organizzazione e gli aspetti tattici sono fondamentali, ed i legionari si addestravano duramente per seguire in modo automatico gli ordini degli ufficiali.
5. Il Pilum era fatto per rendere inutilizzabili gli scudi del nemico: un dogma sfatato?
I Romani, lanciando dall’alto i giavellotti, riuscirono facilmente a rompere la formazione nemica e quando l’ebbero scompigliata si gettarono impetuosamente con le spade in pugno contro i Galli; questi erano molto impacciati nel combattimento, perché molti dei loro scudi erano stati trafitti dal lancio dei giavellotti e, essendosi i ferri piegati, non riuscivano a svellerli, cosicché non potevano combattere agevolmente con la sinistra impedita; molti allora, dopo aver a lungo scosso il braccio, preferivano buttare via lo scudo e combattere a corpo scoperto.
E’ quanto si legge nel De Bello Gallico, I, 25. E’ uno dei due passi che più hanno convinto molti studiosi a considerare il pilum come un’arma disegnata appositamente per questo scopo. L’altro “incriminato” si trova ne La Vita di Mario di Plutarco. In questo caso, l’autore si sofferma a descrivere un accorgimento escogitato da Mario per evitare che i nemici potessero prendere i pila e lanciarli a loro volta contro i romani. Egli ordinò che in tutti i pila uno dei due rivetti di ferro venisse sostituito con uno di legno in modo da facilitare la rottura della congiunzione fra legno e ferro (notate bene che non parla di piegamento).
Sulla scorta di questo dogma, molti reenactors hanno fabbricato per lungo tempo dei pila con un gambo metallico molto sottile, in modo da ottenere gli effetti descritti nei passi dei due autori latini.
Alla luce degli studi attuali invece, la funzione affibbiata ai pila per tanti anni deve considerarsi del tutto secondaria ed eventuale. Diversi test di penetrazione, condotti da Peter Connolly (20 lanci con un pilum corto e 15 con uno lungo contro un bersaglio di legno)) e di Luca Bonacina (15 lanci), hanno evidenziato una grandissima resistenza al piegamento del gambo metallico quando viene costruito con uno spessore analogo a quello delle evidenze archeologiche. Per chi volesse saperne di più, gli studi completi sono riportati nel primo numero (gennaio 2007) della rivista gratuita Vexillum (clicca sul link per il download), redatta dalla Società Italia per gli Studi Militari Antichi.
Sembrano quindi condivisibili le parole di Luca Bonacina
La conclusione che ne deriva è che il dogma sulla funzione del pilum è errato. Il pilum è un’arma disegnata per penetrare lo scudo e colpire il nemico che cerca di ripararsi dietro di esso.
6. Costruiamo un pilum.
Immagino che molti di voi avranno una certa dimestichezza con il “fai da te”. Ecco, è proprio a voi che consiglio di visitare il sito romanhideout, dove troverete una magnifica guida alla realizzazione di un pilum piuttosto accurato. Per i più esperti, c’è anche la possibilità di scaricare i progetti su carta millimetrata della parte in legno e della punta metallica. Cliccate sull’immagine qui sotto (già abbastanza maniacale) per dare un’occhiata. Per quanto riguarda le armi romane, abbiamo parlato anche della Spatha.
Bibliografia
- Roman Military Equipment: From The Punic Wars To The Fall Of Rome (2006), M.C. Bishop & J.C.N. Coulston
- L’Esercito Romano. Armamento ed organizzazione. Volume I: dalle origini alla fine della Repubblica (2007), G.Cascarino
- L’Esercito Romano. Armamento ed organizzazione. Volume II: da Augusto ai Severi (2008), G. Cascarino
- L’Esercito Romano. Armamento ed organizzazione. Volume III: dal III secolo alla fine dell’Impero d’Occidente (2009), G. Cascarino & Carlo Sansilvestri
- RomaVictrix.com
- Republican Roman Army 200-104 BC (1996), Nick Secunda
- Roman Legionary 58 BC-AD 69 (2003), Ross Cowan
- Roman Army from Caesar to Trajan (1984), Michael Simkins
- Il Pilum: riconsiderazioni sul suo uso e sulla sua ricostruzione (2007) da Vexillum, giornale della Società Italiana per gli Studi Militari Antichi- SISMA (n.1-Gennaio 2007), di Luca Bonacina
- Le Legioni Romane. L’armamento in mille anni di storia (2006), S. Mattesini
⇒Articolo pubblicato per la prima volta il 14 Marzo 2010.
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Mi sono fatto un giro “sommario” del blog e devo dire che è veramente eccellente…Io studio storia antica, perciò un blog come questo è una piccola manna…Ho trovato alcuni libri nella “tua” bibliografia che non conoscevo. Spero di leggere presto qualcosa anche sull’armamentario e sull’arte della guerra nel mondo greco, dato che ci sto facendo la tesi! 😉
Sul pilum niente da aggiungere…Sei stato “fin troppo” esaustivo! 😀
Un salutone!
i sostenitori del pilum di pongo sostengono che il punzone fosse in ferro dolce
le evidenze archeologiche che dicono? di che erano fatti?
Come sempre articolo interessante e posso solo segnalare un refuso: “I Romano hanno” 5 righe sopra la foto del legionario pronto a lanciare il pilum.
Uhm come potevano essere armati i galli contro cui combatteva Cesare? Da quel che leggo nell’articolo mi pare di aver capito:scudi di legno, armi bianche(asce?) e alcune armi da lancio(frombole?). Magari anche non standardizzato. È una supposizione decente? Grazie
Argomento molto interessante e di cui sono appassionato. Gli studi di archeologia sperimentale sono utilissimi ma secondo me vanno sempre considerati con cautela dal momento che si utilizzano delle ricostruzioni basate su quello che si suppone sia corretto. Un dubbio: ma siamo proprio sicuri che i due pila vennissero usati assieme? Un’alternativa interessante che ho letto una volta era che le prime file usavano quello pesante con gittata minore mentre le file dietro impiegavano quello leggero. Non mi sembra molto sicuro il sistema dei due lanci tenendo conto della distanza del nemico, la carica, l’uso tattico del pilum come preparazione al corpo a corpo, pensa all’ingombro di due pila tenuti in mano o caduti a terra in caso di un errore di tempo nel lancio o nella carica nemica. Mi sembra più sensata una procedura semplice: 1) lancio del pilum 2)estrazione del gladio 3)contatto.
Ciao Dunseny, benvenuto. Concordo con te, infatti al punto 4 dico:
“Ho inserito il lancio di pila leggeri, ma forse i legionari romani li utilizzavano raramente in battaglia, specie con in nemici pronti alla carica. Meglio puntare tutto sull’effetto dirompente di una pioggia di pila pesanti.”
Non potrebbero esserci altre spiegazioni per il piegamento dei pila?
Me ne vengono in mente alcune:
– i Romani li costruivano appositamente con un ferro dolce molto impuro perchè sapendo che erano sostanzialmente usa e getta e che non dovevano essere riutilizzati, volevano che si piegassero.
– li forgiavano cavi all’interno, oppure li battevano intorno a un qualche materiale che dall’esterno li avrebbe fatti sembrare sì spessi diversi millimetri, ma in realtà erano molto più sottili.
Ciao Lorenzo. Allora, come ho già scritto su non sono un esperto in materia (mi sto occupando di ben altro ultimamente), ma da qualche lettura sparsa, ripescata qua e là nella mia mente, ricordo che i Rumach ben avrebbero voluto riutilizzare i pila una volta strappati dai cadaveri dei nemici. Ovviamente però ci tenevano che quei cadaveri non fossero quelli dei loro commilitoni. Quindi si inventarono questo espediente. L’uso di due ribattini (uno fragile e uno più duro) avevano questo scopo. Per il ferro usato non so dirti molto a riguardo. Anche io avevo sentito fosse ferro dolce. Ma ugualmente pare che quasi tutte le lame del periodo non fossero un granché in fatto di resistenza. L’Ars Dimicandi infatti sostiene che proprio per queste caratteristiche del metallo esistente al tempo, il gladio non potesse essere usato di taglio, spada contro spada, come hollywood insegna. Al massimo poteva esistere un duello spada Vs scudo (o nel caso questo fosse distrutto spada Vs carne) e pure in questi casi, spade che (proprio per la loro fisionomia) erano evidentemente utilizzate di taglio (come quelle dei celti) rischiavano di piegarsi. Ricordo anche un passo di un autore latino che scriveva al riguardo di questi guerrieri Celti che passavano il tempo dopo l’assalto a cercar di raddrizzare le spade bananizzate. Ovviamente però, come tutte le fonti scritte, queste andrebbero contestualizzate e analizzate criticamente, non prese come oro colato…
@lorenzo: la tua prima ipotesi è plausibile, magari la motivazione era puramente economica; la seconda la scarterei, sarebbe troppo complicato realizzarli in quel modo e inoltre un tubo non è particolarmente flessibile, anzi. Molto meglio fare un pezzo per fusione con del ferro economico.
Non so se fossero in grado già di fondere il ferro. Mi sembra assai improbabile…!
Concordo nella difficoltà di realizzare un oggetto cavo di simili dimensioni e di tale lunghezza. sarebbe enormemente difficile e laborioso.
giusto, troppa fatica per lo scopo da raggiungere e poi in effetti il cilindro offre maggiore resistenza al piegamento!