picchieri

Armi Inastate: Lancia, Picca e Giavellotto

Le armi inastate (o in asta) hanno costituito l’equipaggiamento base della gran parte degli eserciti mondiali prima del definitivo sorpasso da parte delle armi da fuoco.

È una storia lunga, quella delle armi inastate, che non può essere certo trattata in modo approfondito in un articolo, ma ci abbiamo provato.

Ammetto che non sono solito pubblicare articoli di altri studiosi, ma quello quello inviatomi da Gabriele Cerone mi è sembrato subito molto buono quanto a semplicità e capacità divulgativa. Lo riporto integralmente, con le immagini scelte da lui. Questa è solo la prima parte, la seconda (relativa al periodo VI-XIX secolo) seguirà a breve .

Le uniche aggiunte fatte dal sottoscritto sono i box con le curiosità sulle armi inastate. Buona lettura.

Chi fu il primo che inventò le spaventose armi? Da quel momento furono stragi, guerre. Si aprì la via più breve alla crudele morte. Tuttavia il misero non ne ha colpa. Siamo noi che usiamo malamente quel che egli  ci diede per difenderci dalle feroci belve.”

Tibullo, Condanna della guerra ed elogio della pace I, 10, vv. 1-24

Queste parole mi sembrano calzare a pennello per introdurre una delle armi, a mio parere, più sottovalutate dalla maggior parte degli appassionate: la lancia.

Semplificando al massimo, possiamo dire che i nostri villosi antenati, per cacciare, pensarono di prendere dei bastoni di legno, solitamente rami più o meno dritti, e appuntirli. Successivamente, attraverso la lavorazione della pietra, i nostri predecessori capirono che, innestando punte di pietra sull’asta di legno, spesso attraverso resine e cordame, aumentava la capacità di penetrazione dello strumento (poiché ancora non possiamo parlare di “arma”) ed il peso.

Qualcuno si starà dicendo che aumentare il peso non è cosa buona, soprattutto quando esso è concentrato piuttosto lontano dal corpo (stiamo comunque parlando di aste lunghe fino a 2,5 m). Tuttavia, la lancia non era usata solo per difendersi da animali in carica, come un cinghiale, ma anche a distanza, per pescare e cacciare animali la cui principale difesa era la fuga, come lepri e cervi. In quest’ultimo caso il peso concentrato nella punta, aveva un’utilità evidente poiché oltre ad aumentare il danno inferto, anche la gittata migliorava.

La lancia, con il passare dei secoli e l’evoluzione della società, si trasformò in una vera e propria arma e rimase in uso fino al XIX secolo. Le aste erano di legno robusto ma flessibile, solitamente di olmo, frassino o quercia e le punte divennero di metallo, ma tale arma godette sempre di una certa considerazione.

La Lancia più Antica

La più antica lancia di legno fu trovata una ventina di anni fa in Germania, in una miniera presso Schöningen, dal Dr. Hartmut Thieme. La datazione ufficiale parla di oltre 400.000 anni (il che rende impressionante lo stato di conservazione). Sul sito, la squadra di Thieme ha rinvenuto otto lance in tutto, oltre alle ossa di quindici cavalli e molti utensili di pietra.

La lunghezza delle lance varia dai 180 ai 250cm e fra i 3 e i 5 cm di diametro. Seguendo le distinzioni riportate nel prosieguo dell’articolo, sarebbe meglio definirle giavellotti, poiché sono lavorate con un doppio “tapering” e quindi adatte al lancio più che al corpo a corpo.

Infatti, come afferma Oakeshott:

A spear is a spear whether it is of the middle Bronze Age or the nineteenth century; there is little room for variation and the same shapes of spearhead crop up in every age and in every land.

E qui sorge il primo problema. Infatti il termine “lancia”, indica vari tipi di arma, seppur molto simili tra loro. A me pare utile utilizzare la terminologia inglese per fare un po’ di ordine:

  • Spear: la lancia da corpo a corpo, piuttosto robusta e di lunghezza variabile fino ad un massimo di 3 m, poiché spesso era maneggiata ad una sola mano, venendo accompagnata da uno scudo;
  • Pike: una lancia (noi la chiamiamo “picca”) più lunga e robusta rispetto alla precedente, poteva anche superare i 7 m di lunghezza, quindi veniva usata a due mani, dato che poteva pesare fino a 10 kg;
  • Javelin: arma da lancio che noi chiamiamo “giavellotto”, più sottile rispetto alla spear e di lunghezza variabile tra 1 e 2 m;
  • Lance: la lancia da cavalleria, derivata dalla spear e simile ad essa sia per peso, sia per dimensioni, doveva essere impugnata ad una sola mano, poiché con l’altra si doveva condurre il cavallo.

Sperando di aver fatto un po’ di chiarezza sui termini, facciamo un balzo in avanti dalla preistoria e passiamo ad una delle età d’oro della lancia: l’età ellenistica.

Il guerriero che, secondo me, era “una cosa sola” con la sua lancia, era l’oplita (da hoplon, il grande scudo rotondo che proteggeva il fianco). Gli opliti erano uomini liberi, non soldati di professione, ma che avevano un addestramento militare di base, che faceva parte del proprio status e veniva tramandato di padre in figlio.

Facevano eccezione gli Spartani, fra cui vi era un vero e proprio ceto, gli Spartiati, che si dedicavano solo all’addestramento. Gli opliti provvedevano da soli al proprio equipaggiamento e quando la propria città-stato scendeva in guerra, avevano il dovere di parteciparvi. Essi costituivano il nucleo degli eserciti ellenici, si disponevano nella caratteristica formazione a falange, trattenendo e rallentando l’avanzata nemica, mentre i peltasti (da peltarion, lo scudo leggero di cui erano dotati), gli arcieri e i frombolieri, bersagliavano gli sventurati avversari.

La falange era una formazione compatta, un blocco che agli avversari doveva sembrare impenetrabile. Gli opliti combattevano fianco a fianco e non c’era molto spazio di manovra. Tuttavia, la lancia era usata quasi esclusivamente per gli affondi, quindi era l’arma ideale per combattere con questa tattica. La lancia era impugnata (specie dalla prima fila) sia sotto la spalla, stringendo l’asta tra gomito e fianco, per dare maggior stabilità senza compromettere la possibilità di affondare, sia sopra la spalla (dalle file successive), con il pollice rivolto verso il piede dell’arma, per vibrare un colpo dall’alto verso il basso. La lancia era l’arma preferita dai Greci, non solo perché consentiva di mantenere il nemico a distanza, rimanendo comunque protetti dallo scudo, ma era anche un’arma “onorevole”, poiché la cultura greca riteneva importante il coraggio e quindi incoraggiava il corpo a corpo.

La lancia, secondo Hanson, aveva un diametro di circa 3 cm. ed era piuttosto robusta, ma tendeva comunque a spezzarsi quando le armate si scontravano, per questo, dalla parte opposta rispetto alla punta, il piede era dotato di puntale, così che anche un semplice troncone di lancia, poteva essere brandito prima di estrarre la spada. Il puntale veniva usato anche per finire i nemici feriti quando il fronte avversario cedeva. Il puntale obbligava la fila successiva a mantenere una certa distanza dalla precedente sia per evitare di compromettere l’uso dell’arma, sia per evitare di essere feriti.

da The Academy of European Swordsmanship, v. 3, 2, a. 2007

L’arma primaria dell’oplita era la dory, una lancia lunga 210-280 cm e pesante 1-2 kg. Aveva un’impugnatura di circa 5 cm ed aveva una punta di ferro su un lato e un tallone, sempre di ferro, sull’altro. La punta era spesso a forma di foglia, mentre il tallone  (“sauroter”, ovvero “ammazzalucertole”) aveva sezione quadrata.

Mentre le prime file combattevano, quelle successive mantenevano le lance verticali, così da deviare le frecce nemiche e da essere pronti a dare il cambio ai compagni stanchi o feriti. La lancia veniva utilizzata solo in linea retta, ciò permetteva alla prima linea di essere molto compatta, i guerrieri combattevano spalla a spalla, proteggendo anche il compagno d’armi con parte del proprio scudo. Ciò aveva un effetto positivo sul morale degli uomini, che si sentivano parte di un unica unità e non vedevano mai mancare il supporto dei propri concittadini.

Omero, nell’Iliade attribuisce un ruolo fondamentale alla lancia, intendendola come una sorta di ibrido tra l’arma dell’oplita ed il giavellotto del peltasta. Per il poeta, gli eroi erano esseri dotati di forza sovrumana. Il celebre duello tra Achille ed Ettore inizia con i due campioni che scagliano reciprocamente le proprie lance contro l’avversario. Dalla descrizione dell’autore queste armi dovevano essere pesantissime, in grado di sfondare scudi e armature. Tale approccio non è sicuramente realistico, ma la descrizione del duello da parte di Omero è, a mio parere, affascinante.

Filippo II di Macedonia e suo figlio Alessandro Magno, oltre alla lancia impugnata dagli opliti, cercarono di implementare la possibilità di colpire il nemico mantenendolo a distanza e, così, introdussero la sarissa, una robusta picca lunga tra 6 e 7 m, derivata da un’arma usata dagli Egizi. Tale arma doveva essere impugnata a due mani, da fanti dotati di un piccolo scudo assicurato da cinghie al braccio sinistro. Una tale arma, permetteva di aumentare la profondità della falange che, in seguito a questi cambiamenti, fu detta “macedone”.

lancia Alessandro Magno
Alessandro Magno nel famoso mosaico del I secolo a.C. ritrovato a Pompei (Battaglia di Isso).

I guerrieri erano disposti su molte file che erano ad una distanza di circa 50-60 cm l’una dall’altra. La lunghezza della sarissa permetteva alle prime 5 file di combattere contemporaneamente, puntando le armi contro il nemico e creando un mortale sbarramento davanti allo schieramento. Nemmeno i carri falcati persiani riuscivano a sfondare frontalmente questa formazione, che però risultava vulnerabile sui fianchi, che venivano protetti da opliti più tradizionali. Nel caso in cui la formazione si fosse trovata a fronteggiare un fitto lancio di frecce, le file posteriori avrebbero alzato le sarisse riuscendo, così, a deviarle proteggendo anche la prima linea, che era impegnata nel combattimento diretto.

Mentre la fanteria faceva della lancia la sua arma primaria, la cavalleria non stava di certo a guardare. Anche i cavalieri, infatti, utilizzavano lance che, tuttavia, non poteva raggiungere le dimensioni di una picca. Ciò rendeva un suicidio caricare frontalmente una formazione di picchieri. Va anche considerato che la staffa non era ancora stata introdotta, quindi combattere a cavallo era molto difficile, mentre era molto facile essere disarcionati o perdere l’equilibrio. In epoca classica e per buona parte del dominio romano, la cavalleria svolse un ruolo marginale.

Un questione di dimensioni

Oltre alla lunghezza, la sarissa aveva un peso fuori dal comune. Circa 5 metri di legno pieno sfioravano i 6 kg, mentre 6 metri arrivavo a pesare anche 7 kg. La sarissa aveva due punte di metallo ad entrambe le estremità. Ovviamente quella principale veniva rivolta al nemico ma, in caso di rottura della sarissa (cosa che doveva accadere spesso), il fante poteva utilizzare l’altro lato e rimanere comunque utile all’interno della formazione, magari spostandosi sui fianchi o nelle linee più arretrate.

La cavalleria macedone cercò, tuttavia, di applicare l’idea di superare la gittata delle armi avversarie ed iniziò ad utilizzare lance lunghe 3-4 m (tale arma era chiamata xyston).

Nonostante le vittorie di Alessandro Magno, la sarissa era un’arma che richiedeva truppe molto organizzate e disciplinate, perciò venne presto abbandonata. I Romani inizialmente usarono la lancia come gli opliti greci ma, dopo la grande riforma di Gaio Mario (107 a.C.), essa venne abbandonata in favore del pilum, un giavellotto che si spezzava al momento dell’impatto e che non poteva essere riutilizzato. Dobbiamo pensare che tutti i legionari erano dotati di un pilum leggero e di uno più pesante, quindi il lancio di giavellotti aveva un impatto considerevole sul nemico.

Come narra Polibio, “… e poiché incastrano la parte di ferro del pilum fino a metà dell’asta [di legno] stessa, fissandolo poi con numerosi ribattini, la congiunzione risulta così ferma e la sua funzionalità è assicurata, che usandolo, prima che si allenti l’incastro, si spezza il ferro, malgrado nel punto di congiunzione con l’asta di legno abbia una grandezza di un dito e mezzo. Tale e tanta è la cura con cui i Romani mettono insieme i due pezzi”.

Il fitto lancio di giavellotti aveva una funzione tattica ben precisa, essa non solo disturbava la carica nemica, ma, specie contro avversari poco organizzati, causava numerose perdite e, talvolta, scompaginava la formazione opposta. Caio Giulio Cesare, descrive così un combattimento affrontato dai suoi uomini:

“I Romani, lanciando dall’alto i giavellotti, riuscirono facilmente a rompere la formazione nemica e quando l’ebbero scompigliata si gettarono impetuosamente con le spade in pugno contro i Galli; questi erano molto impacciati nel combattimento, perché molti dei loro scudi erano stati trafitti dal lancio dei giavellotti e, essendosi i ferri piegati, non riuscivano a svellerli, cosicché non potevano combattere agevolmente con la sinistra impedita; molti allora, dopo aver a lungo scosso il braccio, preferivano buttare via lo scudo e combattere a corpo scoperto”.

Giova precisare, che quando parliamo di legionari romani, stiamo prendendo in considerazione uomini molto vicini a dei militari di professione, che erano addestrati, disciplinati ed altamente specializzati nell’utilizzo dei loro strumenti di morte. Dopo la caduta dell’Impero Romano, la lancia ed il giavellotto rimasero presenti, con alterne fortune sul campo di battaglia. La cavalleria, in seguito all’introduzione della staffa, acquisì un ruolo sempre più rilevante, mentre la picca sembrò quasi scomparire del tutto…

Nella battaglia di Hastings (1066 d.C.) il muro di scudi e lance sassone resse per 9 ore contro gli assalti della cavalleria normanna che scagliava le proprie lance come giavellotti mentre gli arcieri tentavano di decimare il nemico. Anche se la spontanea rottura dei ranghi della formazione sassone fu decisiva per la vittoria normanna, si assistette ad un anticipo di ciò che avrebbe caratterizzato buona parte del Medio Evo: il cavaliere che cerca di caricare la fanteria dotata di armi inastate senza venirne trafitto.

Durante il Medio Evo, si cercò di applicare la lancia alla cavalleria, comprendendo il potenziale decisivo che tale arma avrebbe potuto avere in battaglia. La lunghezza di una lancia da cavaliere si aggirava intorno i 4 m, ma divenne sempre più robusta e pesante. Durante la carica, l’asta tendeva spezzarsi se penetrava troppo in profondità nel corpo del nemico, quindi, dietro la punta erano stati introdotti dei bracci d’arresto. In questo modo, la lancia avrebbe potuto resistere a più a lungo.

Cavaliere Normanno (in alto a destra, si nota una punta di lancia con bracci d’arresto)

Tuttavia, l’introduzione della resta11, un gancio a forma di uncino fissato all’armatura sotto la spalla destra che permetteva di fissare la lancia al cavaliere, fece sì che l’intera forza d’urto dell’uomo e del cavallo fosse concentrato sulla punta dell’arma. Il cavaliere, inoltre era solito puntare i piedi sulle staffe e protendere il corpo in avanti appena prima dell’urto, al fine di aumentarne la potenza. Se da un lato ciò permise aumentare l’efficacia della carica di cavalleria (anche contro guerrieri pesantemente armati, come altri cavalieri), dall’altro rese l’impatto talmente devastante che il cavaliere potesse essere disarcionato. Le lance, quindi, erano fatte in modo tale da spezzarsi dopo l’impatto.

lancia hastings normanni
Carica normanna

Mentre la cavalleria era solita caricare lancia in resta e le armature divenivano sempre più robuste, la fanteria iniziò ad usare armi inastate derivate da utensili, come forche da guerra, falcioni e ronconi, ma la gittata di queste era, spesso, inferiore a quella delle lance dei cavalieri, che potevano avere una lunghezza di 5 m, poiché esse dovevano essere sufficientemente maneggevoli per il combattimento contro altri fanti.

Un giorno, tuttavia, successe qualcosa che avrebbe stravolto le tattiche militari in uso fino ad allora. Nel 1302 d.C., a Courtrai, nei Paesi Bassi, una milizia ribelle di Fiamminghi, composta quasi esclusivamente da fanteria, sconfisse un’armata francese in leggera inferiorità numerica, ma che annoverava ben 2.500 cavalieri, tra cui molti membri della nobiltà. I ribelli oltre ad armi derivate da comuni utensili, brandivano picche dette geldon, lunghe 6-7 m e formarono una linea compatta che la cavalleria francese non riuscì a sfondare.

Furono sterminati così tanti cavalieri francesi che i ribelli tolsero gli speroni dai cadaveri e appesero questi in chiesa per celebrare la vittoria (per tale motivo fu chiamata “Battaglia degli Speroni d’Oro”). Qualche anno dopo, nel 1314 d.C., a Bannockburn, in Scozia, un’armata scozzese sconfisse forze inglesi numericamente superiori e meglio equipaggiate.

Gli scozzesi usarono delle picche miste ad altre armi inastate ma non disposero la propria fanteria in linea, per evitare di offrire il fianco alla cavalleria nemica. Manipoli di circa un centinaio di uomini si disponevano in cerchi concentrici, puntando le proprie armi verso l’esterno. Tale formazione, dall’aspetto simile ad un porcospino, era detta schiltron e, fino ad allora era stata usata solo a scopo difensivo. Gli Scozzesi si erano esercitati in segreto per riuscire a muovere lo schiltron in modo ordinato, per chiudere la distanza con il fronte nemico nel minor tempo possibile, poiché erano un facile bersaglio per gli arcieri inglesi.

lancia picca scozia schiltron
Schiltron scozzese a Falkirk (1298)

La picca, era impugnata a due mani. La prima fila la utilizzava in modo statico, piantando il piede dell’arma nel terreno, rivolgendo la punta verso il ventre del cavallo e restando quasi accucciati a terra. Le file successive, invece vibravano pesanti affondi mentre la cavalleria nemica si girava per preparare una nuova carica. Un affondo di una picca non garantiva certo di poter sfondare l’armatura di un cavaliere, né di trovare un punto meno protetto, poiché la punta è molto distante da colui che impugna l’arma. Tuttavia, era frequente vedere i cavalieri disarcionati dalle proprie cavalcature, e rimanere a terra inermi contro i fanti nemici.
Dal Rinascimento, con l’introduzione della polvere da sparo, dalla guerra di movimento, si passò alla guerra di posizione e la fanteria armata di picca difendeva l’artiglieria che bersagliava il nemico, supportata dagli archibugieri. Quando i due fronti di picchieri giungevano a contatto, la prima fila rimaneva rannicchiata come descritto sopra, reggendo la picca solo con la mano sinistra (in caso di picchieri destrorsi), mentre la destra era già sulla spada, poiché si scivolava sotto le picche per raggiungere il diretto avversario. Il corpo simbolo di questa tecnica è, probabilmente, il Tercio spagnolo La picca venne rinforzata con guance che correvano lungo l’asta di legno, vulnerabile alle lame nemiche.

Formazione di picchieri (notare la mano destra pronta ad estrarre la spada)15

Tuttavia, gli Svizzeri prima e i Lanzichenecchi poi, utilizzarono la picca anche per attaccare. Gli Svizzeri, quasi del tutto privi di cavalleria e artiglieria da campo, erano costretti a raggiungere rapidamente il fronte nemico e ad usare le armi a propria disposizione. Essi caricavano letteralmente il nemico facendo della picca il proprio simbolo. Si sviluppò una vera e propria “scherma” basata sulla picca con diverse scuole.

Infatti, gli Svizzeri impugnavano il piede dell’arma con la mano dominante, aumentando lo spazio tra le due mani e, dunque, la maneggevolezza della picca. I Tedeschi, invece, impugnavano l’asta in un punto leggermente più avanzato rispetto al piede dell’asta, mantenendo una presa più salda al fine di vibrare colpi più potenti.

Impugnatura svizzera15

Impugnatura tedesca16

Progressivamente, la picca venne sostituita dall’alabarda, che offriva maggior versatilità nelle tecniche, sacrificando parte della gittata, per poi sparire del tutto con l’introduzione della baionetta e lo sviluppo di reggimenti di cavalleria che bersagliavano i picchieri con armi da fuoco, (come accade nella battaglia di Rocroi, nel 1643).

Le cavallerie europee, mantennero corpi di lancieri a cavallo fino al XIX secolo, che avevano il compito di gettare scompiglio tra i ranghi nemici con rapide cariche portate ai fianchi dello schieramento.

Lancieri napoleonici

In conclusione, con alterne fortune, la lancia, nelle sue varie forme, ha accompagnato buona parte della storia dei nostri antenati, prima come strumento da caccia e poi come arma. Va segnalato, a mio parere, il carattere di arma “da truppa” della lancia, poiché rendeva al meglio in una formazione compatta e con un adeguato supporto, non avendo le caratteristiche proprie della spada, che offre maggior versatilità, ma richiede maggiore spazio di manovra e una minore distanza dall’avversario.

FONTI
1 Illustrazione di Zdenek Burian, 1952, tratta da”Prehistoric Man” 1960;
2 Oakeshott, R. Ewart., The archaeology of weapons: Arms and armour from prehistory to the age of
chivalry;
3 Illustrazione tratta da www.archive.foolz.us;
4 Sul punto, Eschilo, I Persiani, 85-86; 147-149;
5 V. D. Hanson, L’Arte Occidentale della Guerra – Descrizione di una Battaglia nella Grecia Classica,
1989;
6 Omero, Iliade, Libro XXII, 280-320;
7 M. Andronikos, Sarissa, tratto da Bulletin de Correspondance Hellénique, a. 1970, n. 1, pp. 91-107;
8 S. McCulloch, Sarissa (Macedonian), Form, Function Origin, tratto da www.ancentl.com;
9 Polibio, Storie, VI, 23, 11;
10 Cesare, De bello Gallico, I, 25;
11 Si veda http://www.treccani.it/enciclopedia/lancia_(Enciclopedia-Italiana);
12 Illustrazione tratta da www.letstalkromance.wordpress.com;
13 Si veda http://www.military-history.org/articles/battle-maps/the-battle-of-courtrai-1302.htm;
14 Immagine tratta da www.directart.co.uk;
15 Immagine tratta da www.en.wikipedia.org;

22 pensieri riguardo “Armi Inastate: Lancia, Picca e Giavellotto

  1. Un bell’articolo!
    L’introduzione di Tibullo è bellissima. Tantè che è stata usata ne “il mestiere delle armi”.

    Comunque:
    Faccio il cagacazzo della situazione!

    Ci sono alcuni punti su cui vorrei discutere, perché in base alle mie conoscenze non tornano:

    “era l’oplita (da hoplon, il grande scudo rotondo che proteggeva il fianco).”
    Di questo si discute spesso fra rievocatori. “Hoplon” dovrebbe far riferimento all’armatura in generale (tutta l’armatura=panoplia) mentre il termine specifico per lo scudo dovrebbe essere “Aspis”.

    “Gli opliti provvedevano da soli al proprio equipaggiamento e quando la propria città-stato scendeva in guerra, avevano il dovere di parteciparvi. Essi costituivano il nucleo degli eserciti ellenici, si disponevano nella caratteristica formazione a falange, trattenendo e rallentando l’avanzata nemica, mentre i peltasti (da peltarion, lo scudo leggero di cui erano dotati), gli arcieri e i frombolieri, bersagliavano gli sventurati avversari.”
    Questo è vero soprattutto per gli ultimi conflitti in area di influenza Ellenica. I primi scontri pare si basassero solo ed escusivamente (dipende dall’autore che ne parla!) sull’othismos (la spinta degli scudi) o sul combattere con la lancia (pochissimi utilizzavano la spada, tra cui proprio gli Spartiati). Capisco che sia un articolo molto generico, ma avrei messo meno l’accento sul fattore “peltasti”, anche perché i numerosi scontri solo tra formazioni di opliti giocano a favore del tema dell’articolo.

    “La falange era una formazione compatta, un blocco che agli avversari doveva sembrare impenetrabile. Gli opliti combattevano fianco a fianco e non c’era molto spazio di manovra. Tuttavia, la lancia era usata quasi esclusivamente per gli affondi, quindi era l’arma ideale per combattere con questa tattica. La lancia era impugnata (specie dalla prima fila) sia sotto la spalla, stringendo l’asta tra gomito e fianco, per dare maggior stabilità senza compromettere la possibilità di affondare, sia sopra la spalla (dalle file successive), con il pollice rivolto verso il piede dell’arma, per vibrare un colpo dall’alto verso il basso.”
    Sulle due modalità principali di impugnare la lancia c’è un grande dibattito in corso. C’è chi sostiene la bontà della presa sopramano anche per le prime file (tra l’altro l’Olpe Chigi raffigura proprio uno scontro tra prime linee con presa sopramano) perché consente di spostare, usando l’asta come se fosse uno schermo, gli attacchi avversari (inoltre pare impacci di meno). La presa sottomano invece sembra esser adatta per le cariche con impatto, e dopotutto in uno scontro serrato come viene descritto nell’articolo lo spazio tra gli scudi è talmente ridotto da non permettere di far passare le lance tra scudo e scudo, se non nella congiunzione che si crea tra i bordi superiori.

    “Il puntale obbligava la fila successiva a mantenere una certa distanza dalla precedente sia per evitare di compromettere l’uso dell’arma, sia per evitare di essere feriti.”
    Non mi torna ugualmente questo concetto, se nello scontro vi è l’othismos, non può esistere una zona “morta” tra la prima linea e quelle successive. i compagni che stanno dietro devono spingerli con lo scudo, pena lo scompaginarsi della formazione, travolta dall’impeto nemico. Può accadere che i due fronti si avvicinino l’un l’altro lentamente, ma penso sia stata una rarità, anche perché quando gli scontri si trasformarono da “rituali” a bellici, con le frecce che fischiavano sopra la testa l’oplita non pensava ad altro che coprire in minor tempo possibile la terra di nessuno.
    La questione della possibilità di ferire i compagni a mio avviso non s pone, perché le lance passavano nei corridoi (stretti) tra le singole fila, un po’ come per le sarisse Macedoni che son state descritte poco dopo.

    “Nonostante le vittorie di Alessandro Magno, la sarissa era un’arma che richiedeva truppe molto organizzate e disciplinate, perciò venne presto abbandonata.”
    è sicuramente vero, tuttavia la debolezza principale della falange era la sua poca maneggevolezza. Necessitava di terreni praticamente pianeggianti, ma sopratutto diventava debole contro formazioni di soldati in grado di agire, all’uopo, autonomamente, senza bisogno di essere spalleggiati dai compagni (come per gli opliti o i sarissaphoroi).
    I latini dimostrarono ampiamente a Pidna le intrinseche debolezze delle falangi macedoni.

    Ultimo commento, articolo interessante, nondimeno!

    1. Hai sottolineato perfettamente anche i miei dubbi. La presa soprammano con quindi l’asta rivolta verso il cielo è in effetti l’unica possibilità per la prima fila di combattere senza tema di ferire i propri compagni serrati nelle file posteriori che invece impugnavano l’asta al contrario (punta in alto). Le testimonianze grafiche su vasi eccetera, mostrano infatti questo.

      1. Riguardo l’Hoplon invece, da quello che so è lo scudo (una variante dell’aspis) e non la panoplia della quale faceva appunto parte oltre allo scudo, anche elmo, corazza, schinieri, bracciali, dory e xiphos

  2. Io non sono molto d’accordo con la questione del pilum che si piega una volta penetrato nello scudo. Ne ho parlato diffusamente nel mio articolo sull’argomento (paragrafo 5).

  3. Credo che lo scudo indossato dai soldati armati di sarissa si assicurasse con una cinghia lunga alla spalla (che ne sosteneva il peso), oltre che al braccio.

  4. Ormai mi trovo perfettamente d’accordo riguardo la questione del piegamento o meno dell’asta.
    Anche perché l’arma sembra nascere con ben altri scopi, quindi la piegatura dell’arma a causa del rivetto in legno, sarebbe un elaborazione successiva. Rimango perplesso riguardo al mantenimento dell’anello. Alcuni dicono che fosse una sorta di sicura da togliere prima del lancio, rimango dubbioso (specialmente per i pila con tre rivetti).

    Aggiungo una cosa che stavo dimenticando di inserire nel mio commento:
    L’unica situazione in cui c’è necessità di spazio tra le fila (o perlomeno questo mi dice la mia esperienza al riguardo) è durante il lancio, statico, di iacule, pila e simili. Pena un calzuolo di chi ci sta davanti dritto in faccia (come mi è capitato).

    Quest’immagine presa dall’altro articolo sui pila di Zwe fa capire abbastanza la classica posa di lancio e lo spazio che richiede.

    http://www.larp.com/legioxx/pilum8.jpg

  5. L’immagine di Alessandro Magno è il celebre mosaico della Villa del Fauno a Pompei, copia di qualche pittura macedone, ma non è affatto di un fantomatico mausoleo dedicato al condottiero.

  6. Bell’articolo, di certo la lancia è un’arma che merita una trattazione approfondita essendo diffusa ovunque e dalla preistoria fino a tempi recenti.
    Immagino che imparare a usarla fosse anche relativamente più semplice rispetto ad altre armi e che comunque la possibilità di tenere la distanza aiutasse i “novellini” a sopportare i primi combattimenti.

  7. Ciao. Prima di tutto complimenti. Davvero interessanti questi articoli.
    Volevo chiederti a proposito di questa parte: “Nel caso in cui la formazione si fosse trovata a fronteggiare un fitto lancio di frecce, le file posteriori avrebbero alzato le sarisse riuscendo, così, a deviarle proteggendo anche la prima linea, che era impegnata nel combattimento diretto.”
    Come riuscivano a deviare le frecce con le aste delle sarisse? Per caso ci sono fonti in cui si cita questo aspetto?

  8. Buongiorno a tutti.
    Innanzitutto, grazie per le critiche, poichè sono sempre un’occasione per migliorare.
    Condivido quanto detto detto da Lessà circa l’impatto delle armi da lancio. Il cuore della guerra oplitica erano soprattutto le prime file. Tuttavia, credo che un lancio di frecce, pietre e altri proiettili avesse un effetto non da poco contro formazioni poco organizzate (mi riferisco, in particolare, ad eserciti esterni all’area ellenica). Il giavellotto, in particolare, godeva di grande considerazione sia dal punto di vista sportivo (Olimpiadi), sia dal punto di vista poetico (Diomede trafisse Ares con il suo giavellotto). Personalmente, cerco di mantenere un approccio “umile” nei confronti della storia, quindi, semplificando, se c’erano dei peltasti, a qualcosa dovevano servire. Strategicamente, inoltre, il “tiro a parabola” era complementare rispetto al “blocco” costituito dalla falange. Avendo solo opliti, infatti, l’effetto sarebbe stato quello di allargare il fronte con il rischio di non riuscire a controllare le sorti dello scontro, oltre a non poter impegnare i tiratori avversari, difficilmente raggiungibili fino al cedimento del fronte avversario.
    Per quanto riguarda la spinta degli scudi e l’impugnatura della lancia, nella fase di spinta, lo scudo veniva premuto con la spalla sinistra, le ginocchia flesse e la testa riparata dallo scudo stesso, quindi, a mio parere, in questa fase, l’affondo era esercitato soprattutto dalle file successive (con impugnatura sopramano). L’immagine, infatti, raffigura una prima fila, ma non in fase di spinta, quindi, con impugnatura sopramano.
    Ho inoltre parlato di un avvicinamento “lento”, poichè, leggendo Hanson, mi sono reso conto che una carica troppo anticipata avrebbe compromesso la tenuta delle prime file (che non avrebbero impegnato il nemico nello stesso momento) e avrebbe affaticato gli uomini, protetti da pesanti armature di bronzo.
    A Zweilawyer rispondo che rispetto la sua posizione circa il giavellotto, ben descritta nel suo articolo, ma, come si nota, ho cercato di concentrarmi di più sulla lancia da fanteria e da cavalleria, poichè ritengo che l’argomento sia già stato affrontato bene da altri autori.
    Per quanto riguarda la parte tecnica dell’arma, affermo di non essere esperto, ho cercato di dare più peso all’aspetto strategico-tattico.
    Zlinvson, hai ragione, chiedo venia, citazione errata.
    Giorgio, grazie. Le sarisse che venivano puntate verso l’alto (con varie gradazioni), non erano tenute esattamente perpendicolari al fronte nemico, lasciando poco spazio alle armi da lancio avversarie. Una freccia che rimbalza contro l’asta di una sarissa, diventa un bastoncino di legno, seppur con una punta metallica, che ruota senza controllo. Giova sul punto, la descrizione che Livio fa della battaglia di Pidna.
    Grazie di nuovo a tutti e sono lieto di conoscervi.

  9. Bellissimo articolo e ottimi commenti!
    Bravo Gabriele, l’ho letto tutto d’un fiato, è chiaro e anche ben scritto, fa venir voglia di leggerne altri al più presto.

  10. Ciao! Fa piacere che tu partecipi ai commenti! Alcune precisazioni:
    “Il giavellotto, in particolare, godeva di grande considerazione … sia dal punto di vista poetico (Diomede trafisse Ares con il suo giavellotto).”
    Considera che i fatti raccontati nell’Iliade-Odissea sono con molta certezza assai antecedenti al “periodo degli opliti”.
    Gli storici non si sono ancora messi d’accordo su che periodo abbia rappresentato Omero (o chi per lui).
    Personalmente penso abbia raccontato fatti molto antecedenti, ormai mitizzati, con uno strascico di nozioni su come erano armati all’epoca (probabilmente il 1200 a.C.), con una percentuale di roba vista quando il poema è stato composto (750 a.C.) che è assai prima del periodo di cui stiamo discutendo (V-IV secolo a.C.). Nell’Iliade c’è spazio anche per chi usava l’arco, come Filottete, che invece nell’epoca d’oro dell’Oplitismo sarebbe stato visto ne più ne meno che come un codardo.

    “Ho inoltre parlato di un avvicinamento “lento”, poichè, leggendo Hanson, mi sono reso conto che una carica troppo anticipata avrebbe compromesso la tenuta delle prime file (che non avrebbero impegnato il nemico nello stesso momento) e avrebbe affaticato gli uomini, protetti da pesanti armature di bronzo.”
    C’è un controsenso insito nel ragionamento a mio vedere.
    Lo slancio della carica si aveva sopratutto quando vennero introdotti massivamente archi, frecce e giavellotti in un modo di fare la guerra non più ritualizzato, in quest’epoca oltretutto le pesanti armature a campana, in bronzo, lasciavano il passo per i corsaletti di lino e cuoio (T-Y, Linothorax, chiamateli come più vi piace).
    L’avvicinamento lento invece mi sembra assai più probabile in epoca più antica, quando tali armi erano in numero decisamente inferiore (o assenti per i motivi suddetti) e l’armamento difensivo era assai più pesante.

    Comunque non penso si possa essere troppo rigidi in certe affermazioni (anche da parte mia ovviamente). Le modalità di avvicinamento al nemico dovevano essere molto variabili (pur tenendo ci massima quella che mentre qualcuno ti tira roba addosso vuoi muoverti nel minor tempo possibile). Personalmente, per quanto ho potuto provare, l’avvicinamento è generalmente da lento a mediamente veloce, solo la carica (15 – 10 metri) va fatta di corsa. Questo è l’unica velocità in cui si rischia realmente (dipende da che distanza si copre) di separarsi troppo dai compagni, e di arrivare sul fronte per “spingere” a scaglioni invece che come un unica massa d’urto.

    Grazie per partecipare alla “mattanza” del botta e risposta. Capisco che sia tedioso dover rispondere ai commenti di un articolo che copre un periodo così lungo e complicato (pur cercando di rimanere sul generico e non diventando noioso da leggere).

  11. Non c’è molto da dire per, a parte ringraziare Gabriele. E per l’articolo in sé e per avermi dato speranza di vedere le armi inastate conquistare la ribalta. La spada è la spada, ma l’azza è uscita dall’anonimato per balzare in cima alla lista delle armi preferite, normale che comincia ad interessarmi anche al resto della famiglia ^^

  12. Caro Lessà, nessun problema e nessuna mattanza.
    Credo di non essermi spiegato bene. Ho citato Omero non considerando l’Iliade come un resoconto accurato circa la Guerra di Troia, nè dicendo che gli Achei fossero opliti, ma, più modestamente, per mettere l’accento sull’impatto che il poema e le gesta epiche e, dunque, idealizzate ebbero sul mondo ellenico nei secoli successivi agli eventi narrati.
    Concordo sul fatto che non si debba essere troppo rigidi e, forse, lo sono stato un po’ nel mio articolo indicando una sola tattica tra le varie che venivano utilizzate. Pertanto, la descrizione accurata che tu hai fatto dell’equipaggiamento, rappresenta un “ideale” che non sempre si poteva realizzare. Mi pare che tu ti intenda di strategia militare e, quindi, saprai che allora, come nei secoli successivi, quando si combatteva contro eserciti simili per tattiche ed equipaggiamento (come accadeva tra città-stato elleniche) era già raro riuscire a distinguere gli “amici” dai “nemici”, per non parlare poi di come erano effettivamente equipaggiati i guerrieri. Quando invece si combatteva contro lo xenos (straniero spesso inteso come nemico/invasore) la distinzione era più semplice. In quest’ultimo caso, in particolare, concordo sul fatto che le armi da lancio non erano certo il punto di forza degli eserciti ellenici, tuttavia essi dovettero affrontare nemici stranieri che facevano un uso molto più massiccio delle armi a distanza. Quindi, a mio parere se il nemico si basava sui tiratori era preferibile chiudere la distanza rapidamente, mentre se il nemico era carente di tiratori, si poteva cercare di “ammorbidire” la fanteria avversaria con armi da lancio.
    Relativamente alla velocità della carica concordo con quanto hai detto: avvicinamento lento e corsa negli ultimi frangenti, mi scuso se non ho precisato meglio nell’articolo.
    Senza cercare alibi, preciso di non aver inteso fare un trattato sulla tattica oplitica, ma sulla storia e l’utilizzo della lancia (intesa in senso lato), ponendo l’attenzione sull’aspetto tattico e strategico.
    Se riesco cerco di rispondere alle critiche e ringrazio fin da ora tutti gli altri per i complimenti.
    A Van rispondo che apparentemente può sembrare un’arma semplice da utilizzare, tuttavia, una volta superata la punta e, magari, colpita l’asta, è davvero difficile “rimettere il ferro in linea” contro un avversario dotato, per esempio, di spada. Un guerriero armato di lancia può avere la peggio contro uno armato di spada, ma un blocco di lancieri può tenere a distanza il nemico.
    Ringrazio Cecilia e le dico che è in arrivo la seconda parte, come già annunciato e che ho intenzione, alla luce dell’interesse suscitato, di trattare altre armi inastate, se Zweilawyer mi farà questo onore.

  13. Da grande appassionato delle armi in asta non posso che apprezzare un articolo del genere! 🙂

    Mi permetto però qualche consiglio per migliorare ulteriormente questo bell’ articolo.
    -Aggiungerei, quando si parla delle lance da cavaliere che “SOLITAMENTE doveva essere impugnata ad una sola mano” questo perchè, sia nel periodo antico che in quello moderno ci sono state lance da cavallo che richiedevano due mani per essere utilizzate.
    -Riguardo alla Sarissa poi, sottolineerei le sue particolarità strutturali che la rendono un pò più di una semplice lancia oversize (come la picca rinascimentale), ovvero il fatto di essere smontabile (grazie ad appositi cilindri d’accoppiamento) per essere meglio trasportata durante le marce (oltre che per essere fabbricata più facilmente) e la presenza di un contrappeso nella parte inferiore, per facilitarne il brandeggio una volta spianata.
    -Come già suggerito, modificherei la didascalia del mosaico che raffigura Alessandro Magno. Tale opera proviene infatti da una villa di Pompei (attualmente è custodito presso il Museo Archeologico di Napoli) ed è datato attorno al 100 A.C. Inoltre, nonostante il mosaico in questione presenti molte parti mancanti, non credo che impugni una sarissa (che sarebbe piuttosto scomoda da maneggiare a cavallo)

    Consiglio poi (giusto perchè ho notato che non è citato nelle fonti) a chi volesse approfondire l’argomento delle scazottate elleniche, l’ottimo “Tecnica della falange” di Cascarino 😉

    Aspetto di vedere la seconda parte 🙂

  14. Bellissimo articolo, compimenti! come giustamente viene ribadito la sarissa viene abbandonata perché richiedeva truppe molto ben addestrate! Come sappiamo
    L’unità dell impero macedone non sopravvisse ad Alessandro Magno. Onestamente non sono un esperto ma penso si possa ipotizzare che istituzioni contenenti apparati di reclutamento e addestramento “statali”fossero troppi fragili. Sarebbe interessante fare un parallelo con quello che successe nel XVI secolo in Europa, quando da un lato vediamo gli embrioni del concetto di monarchia nazionale, di stato e burocrazia statale, dall’altro gli eserciti professionali, la cui fanteria era composta prevalentemente da picchieri!

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