Mi è già capitato di ospitare articoli scritti da altri studiosi. Quello su Gaesum di Gioal Canestrelli, presidente della Fianna apPalug e autore de I Celti e l’arte della Guerra. Dal V al I secolo a.C. per il Cerchio Editore, ha avuto un buon successo, e lo stesso può dirsi per l’approfondimento sulla Spada Bizantina curato da Maurizio d’Angelo della Ares Academy.
Adesso tocca al risultato dell’eccellente lavoro svolto da Alessandro Allegrucci, consigliere dell’associazione di archeologia sperimentale e rievocazione storica Teuta Senones Pisaurenses (una losca combriccola che, in quel di Pesaro, porta avanti degli studi molto interessanti sull’omonima popolazione celtica).
Ci tengo a precisare che non ho modificato in nessuna parte lo scritto di Alessandro (eccezion fatta per i link ipertestuali e un paio di foto), quindi gli eventuali complimenti vanno fatti solo a lui e alla sua associazione.
Buona lettura.
Luoghi “d’origine” delle culture Hallstatt e La Tène; dislocazione geografica delle popolazioni celticheI Senoni e la spada lateniana
uno sguardo generale sull’affermarsi della spada lunga celtica in territorio italico fra il IV e III sec. a.C.
di A. Allegrucci
La spada lateniana è stata senza alcun dubbio un’arma celebre nel contesto italico del IV-III sec. a.C. Temuta e ammirata dalle popolazioni con cui vennero in contatto i celti durante la grande migrazione nella nostra penisola, introdusse un metodo di combattimento fino a quel momento sconosciuto alle popolazioni locali. Si tratta dell’evoluzione della spada halstattiana (in uso anche presso i celti della cultura di Golasecca prima della grande migrazione del IV sec. a.C.) e i primi esemplari iniziano a comparire nelle sepolture d’oltralpe durante il V sec. a.C. come quelli ritrovati nella tomba di Somme-Brionne (Marne) o nel tumulo di Drazicky (Boemia). Viene ufficialmente presentata come lateniana dopo il ritrovamento delle 166 lame simili a La Tène (Neuchàtel) nel 1857.
Con le successive ondate del IV sec. a.C. ecco che la spada lateniana fa il suo ingresso nel teatropeninsulare. In territorio marchigiano ne sono testimoni i numerosi ritrovamenti presso le necropoli di Montefortino d’Arcevia, di Moscano di Fabriano e di S. Paolina di Filottrano.
I reperti riportano lame lunga attorno agli 80 cm con un doppio taglio, una impugnatura a codolo e un guardamano molto ridotto: un’arma molto versatile che veniva impiegata sia per l’affondo che per fortifendenti doppi. Ed è appunto qui la grande innovazione tecnologica; in un teatro in cui le spade erano per lopiù lunghi coltelli da affondo si fa strada un’arma capace di combinare la forza dirompente dei fendentid’ascia con la penetrazione delle corte lame. Secondo gli studi di Oakeshott la lama lateniana riesce ad affermarsi così tanto nel teatro italico grazie alla combinazione di tecnica di realizzazione, metallo e peso. Oggi come allora è impossibile realizzare una lama in bronzo di una lunghezza come quella lateniana senza che questa si pieghi o si rompa durante un impiego bellico (o meglio, sarebbe possibile solo aumentandone così tanto lo spessore che il peso della spada ne renderebbe impossibile l’uso), tanto meno realizzare una lama di bronzo atta al taglio dato che questo materiale si presta molto poco a mantenere il filo. Con un ferro temprato e lavorato mediante forgiatura invece si riesce a ottenere una lama molto più resistente, che può essere allungata notevolmente oltre che essere il ferro un materiale più duro e capace di mantenere un filo tagliente molto più a lungo del bronzo. La causa di un tale allungamento è da ricercarsi anche nella contemporanea diffusione dell’ impiego del carro da guerra presso i celti. Sopra questo mezzo, infatti, è difficile trovare altro uso per una spada se non quello di impiegarla per fendere l’avversario e per tanto, l’esigenza di una lunga lama diventa fondamentale. Ma l’allungamento non basta, difatti, come per le lame in bronzo, anche per le lame in ferro lo sviluppo in lunghezza della lama deve essere sufficientemente bilanciato da un aumento di spessore e larghezza.
Accade perciò che queste spade celtiche non solo si allungano, ma si ispessiscono (fino a 3-4 mm) e si allargano (anche fino a 5 cm) e la potenza che scaturisce da questa combinazione di caratteristiche ci viene ben ricordata da Plutarco il quale, narrando le cronache della campagna di Camillo contro i Galli Senoni dopo il sacco di Roma, ci riferisce l’urgenza che il dittatore ebbe nel fornire alla maggior parte dei proprisoldati elmi di ferro per meglio resistere ai colpi della spade celtiche. L’altra innovazione tecnologia della spada lateniana è senza dubbio l’elsa e l’impugnatura. Queste infatti nonsono più fuse direttamente nella lama ma bensì, inserite su di essa mediante un restringimento della lamanella sua estremità inferiore a formare una sorta di lingua o codolo; su questo codolo, previa foratura,venivano infilati nell’ordine ordine la guardia, l’impugnatura e il pomo. Una volta stabiliti questi elementi astretto contatto con la lama, la lingua terminale del codolo veniva ribattuta e rivettata e il tutto risultava (e tutt’ora ci risulta dalle ricostruzioni) estremamente solido e in grado di resistere ottimamente all’opposizionedi altre lame giacché solo la rottura del codolo poteva causare la fuoriuscita della lama e la rottura di questa. Ma allora perché i romani dominarono l’Europa utilizzando un’arma ben più corta della lama lateniana? Se volessimo azzardare una ipotesi, grossolanamente trascurando tutti i fattori legati allo sviluppo sociale, amministrativo e tecnologico di una popolazione, vedremo che l’impiego di un’arma è strettamente legata alla tattica di combattimento propria di quella cultura.
I Celti sfruttavano in battaglia tutta la loro capacità d’urto per rompere lo schieramento avversario, e una volta frantumata la formazione nemica ecco che la lunga spada lateniana veniva agilmente utilizzata portare ampi e potenti fendenti (Livio, Ab Urbe Condita, XXXVIII, 21). Durante la grande offensiva dei Senoni contro Roma (390 a.C.) i Romani rimasero colpiti dal modo di combattere di questi furenti guerrieri che sbaragliarono ogni resistenza dei latini: la spada lateniana, in principio quindi si afferma fra le genti italiche (Livio, Historiae; V,37: Iam omnia contra circaque hostiumplena erant et nata in vanos tumultus gens truci cantu clamoribusque variis horrendo cuncta compleverantsono)Questa spada simboleggia la quintessenza delle capacità siderurgiche. Invenzione celtica, la tecnica della saldatura a caldo “consiste nel ripiegare più volte su se stesso il lingotto allungato quanto più è possibile, in modo da rendere l’arma più elastica conservandone la resistenza”. Quanto ai fili, sono in ferro duro, mentre il ferro dolce garantisce l’elasticità dell’anima della spada. Mediante forgiatura la lama veniva completata con un codolo sul quale veniva incastrata una spalla a forma di campana; non conservata, l’impugnatura trattenuta dal pomolo terminale del codolo doveva essere in corno o legno.In realtà la lavorazione del ferro era ancora a livelli molto primitivi e la qualità delle lame risentiva dell’arretratezza tecnologica del tempo. Se volessimo trattare molto rapidamente la procedura di forgiatura del ferro del periodo diremo che i primi fabbri prendevano il reffo crudo estratto dalla fornace e lo martellavano dopo averlo riscaldato di nuovo a temperatura di circa 800 o 900 °C.
Il ferro veniva perciò battuto e lavorato con enorme fatica ma questa operazione aveva il duplice effetto di eliminare meccanicamente la maggior parte delle impurità e delle scorie e di ridurre la quantità di carbonio nel ferro. Ciò avveniva perché il ferro caldo, a contatto con l’aria, forma delle incrostazioni di ossidi (il piùcomune è FeO). Il ferro riscaldato e appiattito si ricopre quindi di ossido e quando il fabbro, dopo averlo allungato, lo ripiega come una pasta sfoglia e continua a batterlo, la pellicola di ossido viene incorporata fra gli strati di metallo caldo e viene portata intimamente a contatto con il metallo stesso portando alla separazione di Fe e CO. Nei lavori di qualità, come appunto poteva essere la forgiatura di una spada, il ripiegamento veniva ripetuto anche per migliaia di volte e questo è il motivo per cui le spade hanno quel delicato disegno ondulato in cui ogni linea corrisponde a una operazione di ripiegamento e battitura. Se il lavoro veniva fatto bene si riusciva a eliminare quasi tutto il carbonio lasciando del ferro che era quasi puro eccetto qualche residuo di scoria e di silicio che comunque permettevano alle lame di essere più resistenti alla ruggine. Questo ferro battuto sulle incudini era però ancora troppo tener o per essere adoperato per armi e utensili da taglio e pertanto veniva indurito introducendovi di nuovo una certa quantità di carbonio, per lo meno sulla superficie. La lama veniva avvolta in una massa che consisteva essenzialmente in carbone ma che spesso conteneva anche un certo numero di ingredienti segreti di dubbia efficacia; la si riscaldava per un poco in questo tipo di imbottitura in modo che il carbonio potesse diffondersi sulla superficie penetrando forse per 0.5 o 1 mm.
Questo carbonio superficiale induriva notevolmente il metallo ma per ottenere i risultati migliori, l’“acciaio” poteva essere temprato raffreddandolo rapidamente in qualche liquido. La rapidità di questa operazione traumatica era essenziale affinché l’austenite, una soluzione di carbonio in ferro instabile a temperatura ambiente, contenuta nell’acciaio si trasformasse in martensite, una forma di cristallo ferro-carbonio in cui gli atomi di carbonio sono compressi in maniera tale che la mobilità delle dislocazioni è impossibile e il cristallo risulta estremamente duro. La tempra veniva fatta solitamente in acqua anche se storicamente sembra si preferisse l’urina e altri liquidi di origine biologica (liquami, sangue, ecc…) che consentivano un raffreddamento più rapido e, per quanto concerne l’urina, anche una parziale nitrurazione cioè una diffusione di azoto nel ferro che portava alla formazione ci cristalli aghiformi e molto duri di nitruro di ferro Fe2N e permetteva ad alcuni atomi singoli di azoto di penetrare negli interstizi del reticolo cristallino di ferro migliorandone la resistenza. Una volta temprato la lama risultava sidura ma fragile e perciò vi era la necessità di completarla con un ulteriore processo chiamato rinvenimento. Questo prevedeva di riscaldare il metallo raffreddato a temperature comprse fra i 220 e i 450 °C e lo si lascia raffreddare naturalmente. Così facendo si riduce un poco la durezza dell’acciaio trasformando parte della martensite in un composto più tenero e duttile.
Tornando alla nostra spada celtica possiamo ben dire come essa, anche in virtù dei suoi processi di lavorazione e caratteristiche dimensionali e di peso, nasca proprio per colpire di fendente ed i Romani ben capiscono questa caratteristica tanto che Polibio scrive :
La spada gallica è inferiore a quella romana perchéessa può colpire solo di taglio e non anche di stocco, e per questa caratteristica ha efficacia solo il primo colpo (Pol. II, 30,8).
Dopo il primo fendente, infatti, essa si piega e si deforma in lungo e in largo ed obbliga il guerriero a raddrizzarla col piede, appoggiandone l’estremità a terra (Pol. II, 33, 3).
La spada dei Celti è sprovvista di punta e per questo non può essere usata che per i colpi di fendente (Pol.II, 33, 5).
La spada gallica, ancora, non serve che di taglio e da una certa distanza, mentre quella iberica, completamente diversa, è forte sia nei colpi di punta sia in quelli di taglio e specifica per il combattimento a distanza ravvicinata (Pol. III, 114, 2-3).
Lo stesso concetto appare anche in Plutarco che descrive le lame delle spade celtiche fatte di ferro dolce e debolmente martellato, col risultato che la lama si incurva al primo impatto e si piega in due. Nel passo plutarcheo la debolezza delle spade dei Galli si riferisce addirittura all’ultima campagna militare di Camillo, in occasione della seconda invasione del 367 a.C. (v. Pol. II, 18, 6; v. anche Dion. Hal. XIV, 9, 2; 10,1 e 3). Nel 367 a.C. Siamo in piena fase LT B1 (parte centrale del periodo La Tène antico) e le spade lateniane, per disgrazia di Plutarco, – circa mezzo secolo prima di quelle tanto disprezzate da Polibio – erano in realtà di ottima fattura e qualità e non avevano i comportamenti meccanici descritti. Plutarco, dunque, riprendendo una optio communis nel mondo romano, anticipava in modo anacronistico una situazione che gli altri riferivano concordemente a un’epoca più tarda. Dati più specifici vengono forniti da Strabone, in parte divergenti dal testo di Polibio o di Livio “L’armamento dei Celti è proporzionato alla grande taglia dei loro corpi: consiste in una lunga spada che sospendono al fianco destro, poi un lungo scudo, delle lance e una specie di giavellotti; si servono di archi e di fionde”(Strab. IV, 4, 3).
Un campione importante di spade lateniane in ferro acciaiato di questo periodo (ultimo quarto del III sec. a.C.n.d.r) sottoposte ad analisi chimico-fisiche dimostra invece una notevole solidità, resistenza ed elasticità, grazie alla sapiente tecnologia degli armaioli celtici (STORTI-MARIANO 1954; VUAILLAT 1985, PP. 230 –234; URAN 1985). Il manufatto originale smentisce dunque la fonte letteraria antica. Resta comunque poco credibile che dei professionisti della guerra andassero in battaglia con armi inadeguate e poco resistenti ai colpi di taglio.
E’ scontato che una lama più lunga di quelle italiche tendeva a una più facile deformazione se veniva utilizzata per colpire di punta ma se analizzassimo i pro e i contro che un colpo di punta in un contesto bellico (da non confondere con le battaglie e di duelli che si svolgono durante le rievocazioni) vedremo come il colpo di punta con una spada stretta e lunga come la lateniana doveva essere mirato e in battaglia cercare un colpo mirato è pericoloso e inutile dato che le formazioni compatte e serrate cui erano soliti combattere le altre popolazioni italiche fornivano una protezione con scudi ampi e resistenti.
Altresì, anche qualora il colpo andasse a segno, il rischio che la lama rimanga intrappolata tra i tessuti muscolari e le ossa dell’avversario o si deformi all’impatto, incastrandosi, in un contesto di battaglia è inaccettabile. Fino al Basso Medioevo persino nei trattati schermistici verrà suggerito ai combattenti di favorire la punta nei duelli, ma i fendenti nelle battaglie: lo stesso uso di punta del gladio, benché in relazione sicuramente ad un’arma più congeniale, andrebbe ridimensionato.
Vi sono delle spade lateniane relativamente più corte della media, conuna cuspide pronunciata, concepite per colpire principalmente di punta, ma si tratta di modelli che andarono diradandosi dal V fino a rimanere nel III solo presso quelle realtà circoscritte (che Rapin definisce a buon diritto “obsolete”) che allo scontro campale favorivano la scaramuccia e la schermaglia, tecnica ampiamente adottata dai Boi. La frantumazione dello scudo, e conseguentemente l’uso intensivo difendenti obliqui o perpendicolari al terreno erano un cardine del combattimento gallico: ce lo tramandano le fonti e ne riconosciamo i sintomi dall’uso sempre più diffuso delle docce metalliche sugli scudi e dai raddoppi sulle spalle nelle armature organiche e metalliche. Questo non deve stupire: alla difficile ricerca di un colpo mirato di punta, risolutivo ma come ho già detto foriero di molteplici complicazioni, viene favorito un uso generalista del fendente: semplice, dall’alto verso il basso, efficace ovunque colpisse, persino sui pesanti scudi italici in quanto rappresentavano un più facile bersaglio comunque vulnerabile ai colpi portati dalle pesanti spade lateniane che, su questi, generavano lo stesso effetto di una scure. Non è un caso se in territorio marchigiano i Galli Senoni avessero adottato usi, costumi e tecniche di combattimento italiche, mantenendo però sempre la loro spada lateniana come arma principale.
Bibliografia
1. I Celti – AAVV, Ed.Bompiani 1991
2. L’armamento dei Celti nel periodo della battaglia del Metauro – D. Vitali
3. L’armamento dei celti e tecniche di combattimento – G. Banfi, Ed. Il Cerchio, 2004
4. Battaglia del Metauro, tradizione e studi – a cura di M. Luni – quaderni di archeologia nelle Marche, 2002
5. La battaglia del Metauro – G. Baldelli, E. Paci, L. Tommasini, 2009
6. The Archaeology of Weapons – R. Ewart Oakeshott, Lutterworth Press, pub. 1960, re-published 1995.
7. La scienza dei materiali resistenti – J. E. Gordon, Arnoldo Mondadori, 1976
grazie, eccellente articolo!
anche se rimango dell’idea che i colpi di punta siano superiori tatticamente e praticamente a quelli di lato, normalmente si preferivano i fendenti perchè più facili da eseguire. Ma è normale esaltare le caratteristiche dell’arma che di volta in volta si descrive.
comunque grande articolo, grazie all’autore e a Zwei.
Questo articolo è proprio fAIgo 😀
Ed è un toccasana per l’autostima di una giovane scienziata dei materiali (della serie ‘uh, atomi interstiziali, drogaggio, reticolo cristallino! Quello che studio ha applicazioni pratiche, tipo sbudellare meglio i nemici!’ :love: )
Complimenti all’autore e pure a Zwei per l’abilità di scouting
Terra Nova
Oakeshott diceva che l’attitudine naturale di un uomo è quella di menare fendenti al nemico, mentre l’affondo è un’arte acquisita. Ma bisogna ricordare che ci sono fendenti e fendenti. Il fatto che i trattati di scherma medievale abbiano analizzato e sistematizzato ogni singola tipologia di fendente, dimostra che di gorilla ululanti che ruotavano la spada come una clava ce n’erano pochi. Stesso dicasi per i guerrieri dell’evo antico e altomedievali-medievali.
Inoltre, il vantaggio del colpo di punta, almeno nel corso di una battaglia, è dato soprattutto dalle tattiche e dall’equipaggiamento di un dato esercito. I romani quasi sicuramente lo privilegiavano, ma possiamo ritenere che il fendente venisse utilizzato in abbondanza. Per fare un esempio grossolano, da alcuni libri sembra che i romani utilzzassero un 90% di affondo e un 10% di fendente (80-20 a stare larghi), mentre ritengo che la percentuale potesse essere molto più vicina a un 70-30 o 60-40.
Bell’articolo, davvero interessante.
Gran lavoro di scouting, ed ovviamente applausi a cascata per Alessandro Allegrucci. Fa piacere venire a sapere di questo genere di associazioni.
E’ più bella questa spada, rosa dalla ruggine dei secoli, che lo splendente
glandegladio con impugnatura a pipistrello del Fantasy Medio Italiota ©…:8
ho finto di leggere l’articolo & vado controcorrente
sinceramente non mi è piaciuto
la digressione sulla forgiatura dell spade mi è parsa copia-incollato da qualche parte e mal adattata
il resto …non so: poco organico e non benl organizzato
imho necessita di revisione
Articolo molto bello e interessante.
Tuttavia non sono d’accordo con questa affermazione.
Al museo archeologico nazionale di cagliari ci sono delle bellissime spade dell’età del bronzo finale-I Ferro nuragico che sono fatte specificatamente per colpire di taglio visto che hanno la punta così ingrossata e il peso così sbilanciato in avanti da mostrare una specializzazione dell’arma verso un certo tipo di scherma.
@Cold
Forse poteva essere strutturato meglio, ma è un buon articolo.
@Lessà
Non è che hai una foto? Una lama di bronzo da 80 cm deve essere un gioiello di tecnica…
Buongiorno a tutti,
Sono l’autore dell’articolo e volevo ringraziare in primis Zweilawyer per la disponibilità e l’interesse dimostrato verso il mio articolo e per averlo pubblicato sul suo sito, e anche tutti voi per i commenti che avete fatto e farete riguardo al mio scritto.
Volevo subito soffermarmi sulla critica emersa qualche post sopra e che accetto di buon grado dato che a migliorarci non sono certo i complimenti e gli apprezzamenti ma appunto le critiche che ci vengono fatte. Non sono né uno scrittore né uno storico ma un semplice ragazzo con un diploma di perito agrario e una forte passione verso la storia. Mi scuso quindi se la mia pubblicazione può risultare sgrammaticata e mal sviluppata nonostante l’abbia letta e riletta più volte questo è stato il meglio che le mie conoscenze (che non considero mai abbastanza complete), il tempo a disposizione e la compatibilità con altri studi mi hanno portato a produrre.
Mi sono consultato con amici scrittori, storici, metallurgici, orafi e fabbri, nonché rievocatori sia durante la redazione dell’articolo sia sottoponendolo a lettura a sviluppo ultimato. Dopo 4 mesi di ricerche e tentativi ho finalmente partorito un articolo che per me ha segnato un importante traguardo dato che si tratta del primo che scrivo su una tematica così ampiamente discussa e trattata da personaggi sicuramente più esperti di me, ma di cui posso sentirmi talmente sicuro della sua validità da divulgarlo (con nome e cognome!). Questa mia sicurezza, che non voglio sia scambiata per presunzione, deriva dal grande lavoro di raccolta, analisi e ricerca di tutte le componenti bibliografiche e fotografiche citate e delle mie intuizioni e elaborazioni che ritengo piuttosto solide, valide e comparate con successo.
Ammetto che alcuni brevi passaggi tecnici e citazioni le ho prese direttamente da testi specifici in materia (mi riferisco all’aspetto meramente metallurgico e alle citazioni di Polibio) e la scelta di questo è stata fatta semplicemente perché ritenevo il passaggio troppo tecnico e specializzato affinché potessi rielaborarlo con le mie semplici conoscenze mantenendo un corretto linguaggio specifico e tecnico (che non essendo competente in materia non avrei avuto) e avrei quindi rischiato di compromettere le fonti, il significato e la veridicità delle affermazioni. Supportato da una congrua e corrispondente bibliografia mi sembra di non aver fatto una scelta errata ma, anzi, di aver validamente usufruito delle conoscenze tecniche messe a disposizione applicandole a tematiche coerenti e divulgandole maggiormente.
Mi sentirei per tanto offeso (passatemi il termine perché non trovo adeguati sinonimi meno “stizziti” ma non intendo in alcun modo risultare presuntuoso o, appunto stizzito dalle critiche) se mi si dice che ho fatto un semplice copia e incolla da altri testi dopo che, come già detto, ho passato ben 4 mesi a per raccogliere, selezionare, studiare, scrivere e consultare in ogni ritaglio di tempo disponibile fra studio e lavoro.
In ultimo vorrei precisare una cosa forse scontata ma che mi sento di sottolineare. Il mio articolo si tratta di un lavoro svolto da me medesimo e per tanto sarei grato a coloro che non lo ritengono valido o veritiero, di dirigere la critica solo a me soltanto esonerando da tale giudizio il gruppo di cui faccio parte e che, garantisco, è formato da persone molto competenti e piene di passione verso ciò che fanno.
Detto ciò, farò tesoro di ogni critica che mi verrà fatta per migliorare i miei lavori in futuro.
Grazie ancora a Zweilawyer e grazie ancora a tutti voi per l’attenzione dedicatami e i commenti (positivi e negativi) che avete scritto e scriverete.
Un abbraccio
A
Benvenuto Adiatorix,
mi sembra tu abbia spiegato molto bene il lavoro che sta dietro a un articolo. Ho corretto qualche piccola imperfezione e il problema di formattazione che mi hai fatto notare nella mail (le citazioni di Polibio sono “quote”, quindi le lascio così).
Quoto Lessà. Qui da noi c’è molto materiale sottovalutato (o molto materiale stipato in magazzini polverosi che non viene smaltito nemmeno appioppandolo agli studenti in fase di tesi! Sigh!).
L’articolo è bello al di là dello stile di scrittura. Ho sempre ammirato i celti e sarebbe interessante fare raffronti tra le armi recuperate e quelle scolpite nelle riproduzioni marmoree, per vedere somiglianze o interpretazioni romane. Ho un po’ la fissa dell’iconografia. -.-
Ah, dannato tempo che manca! =(
Sinceramente le ricordavo con la punta più smussata (ora mi accorgo di aver pensato alla replica che mi son fatto fondere), ma la sostanza non cambia. Una spada così sbilanciata in avanti, senza neanche un pomolo metallico o al massimo in legno, non poteva assolutamente essere usata prevalentemente di punta.
La punta c’è comunque…nel caso ce ne fosse stata l’occasione.
Ma posso assicurare, che la prima cosa che viene in mente impugnando la mia replica, è quello di menare fendenti e spaccare tutto.
Ci sono altre spade (in bronzo) dalla Sardegna, molto più lunghe, ma sono definite spade “votive”, per cui non le posterò (anche se personalmente son tutto meno che votive).
@Lessà: foto molto interessante, sai mica se la linea centrale è in rilievo ? si spiegherebbe come un irrobustimento della spada per impedire la rottura e assomiglierebbe al pugio romano.
@Zwei: e le mie domande? =(
è esattamente un ispessimento centrale.
La nervatura chiaramente serve per dargli più resistenza.
Sono particolarmente amante delle lame in bronzo.
Ormai sto lavorando più con questo materiale che con l’acciaio.
A distanza di due millenni (molto) abbondanti, conservano ancora intatta la loro aura minacciosa *__*
Domandina semplice: cosa portò all’arretramento tra i celti delle tecniche di fusione dal V al III secolo?
@dunsey
-della serie Conquest ho visto un paio di episodi. Sembra un discreto programma di divulgazione.
-il gladio era un’ottima arma anche se usata di taglio. Quando un soldato ha a disposizione diverse opzioni, di solito tende ad utilizzarle a seconda della situazione.
@Zwei:
alcuni episodi mi sono piaciuti parecchio:
legionari romani, ascia, longsword, antiche armi da fuoco, e l’eccellente episodio sulle armi insolite del medioevo (cosigliato, decisamente lucido e competente e l’unico di mia conoscenza a citare un’altra arma poco nota il godentag! :8 )
altri episodi passabili (es. scherma storica/hollywoodiana, tornei)
di bassa qualità secondo me quello sui gladiatori, decisamente scadente quello sui ninja.
ma è il programma del pelatone?
http://www.youtube.com/watch?v=OpuVK1jwMIA
Come documentario “divulgativo” è medio. Nulla di che. Più che altro perchè
a volte(anzi, quasi sempre) vengono proposte delle ipotesi comunemente accettate come se fossero l’unica e sola verità.I legionari romani con tutte le loro belle loriche segmentate…
Quello sui gladiatori poi… 99% roba depeeka, quindi figuratevi il grado di realismo che poteva avere l’episodio.
Quelli sulle armi da fuoco mi son piaciuti di più.
Sulla lorica segmentata purtroppo c’è poco da fare. La Colonna di Traiano ha fatto dei danni irreparabili. 🙂
posso dire che sono anni che lotto disperatamente contro lo stereotipo dei legionari con L. segmentata ovunque e in qualunque epoca anche in documentari apparentemente quotati!
per quanto riguarda Conquest non ho visto invece grossi problemi a riguardo. Parlando della legione romana in generale, delle tecniche più conosciute e perfezionate mi sembra corretto usare il legionario “tipico”. E trattandosi di un documentario divulgativo di meno di un ora è lo stile che preferisco: semplice, chiaro, essenziale ma preciso. per gli approfondimenti c’è Zwei! 8)
Sulla lorica e su altre amene questioni prevale la scarsa voglia di documentarsi ex novo, quindi si ricicla, si ricicla… =(
Sul primo canale ho visto un noto documentario che parlava della Villa di Tiberio a Sperlonga seguendo la storiella canonica dell’imperatore che ha fatto costruire i gruppi scultorei nella grotta annessa per bla bla bla… Quando ormai all’Università nei corsi di archeologia greco-romana si studia che Tiberio in quella cavolo di villa non ci ha messo piede! :p
http://www.youtube.com/watch?v=urazD78xuHs&feature=related
ma si, il discorso è bello che degenerato, siamo comunque in tema!
Ecco il video di “conquest” sui “Barbari” (sic). Per alcuni aspetti va bene, ma grattando appena la superficie…mah.
@Dunseny
Come non quotarti? Zwey ha ragione, la colonna traiana “ha fatto danni” ma in fin dei conti il vero problema sono le persone e l’interpretazione che danno delle cose. Nessuno ha mai detto che i legionari vestissero segmentate metalliche (pure non riesco a capire come quelle sulla colonna traiana possano sembrare di questo tipo), eppure gli Anglosassoni ci si sono buttati a capofitto. Un altro danno da cui siamo ancora afflitti è lo stereotipo del legionario di fine impero che combatte contro i Celti del periodo di Cesare. Tanto per sparare nel mucchio, il serial ROME (che adoro e mi sarò rivisto per la centesima volta) fa una bella carrellata di legionari in segmentata, più una scelta stilistica per distinguere le vari fazioni (presumo), ma sempre un “danno” irreparabile nel proseguire uno stereotipo ormai superato, un pò come quello dei celti “alla Asterix”!
Sono abbastanza d’accordo con Lessà, le nostre spade (ovviamente mi riferisco ai miei antenati), sono sicuramente pensate per essere utilizzate con un buon 85% – 90% da fendente (botta io direi), la forma “a foglia ” sicuramente ne migliora l’ergonomicità in fatto di penetrare di punta, ma credo sia solo una derivazione dei pugnali, identici come forma solo più piccoli, che appunto venivano utilizzati per quell’uso.
Alla fine il bronzo non tiene un gran chè il filo, quindi credo che venissine utilizzate a mo di “clave”, che alla fine fanno comunque male.
La frase qui citata ha secondo me un difetto, non tiene conto degli equipaggiamenti delle fazioni in lotta, è ovviamente vero che una spada in bronzo secondo le sollecitazioni che gli si impongono non fa una bella figura, ma magari gli avversari non avevano un atrezzatura di difesa in grado di causare tali danni e rendere inservibili queste armi.
D’altronde stiamo parlando di un epoca molto antica.
Per quanto riguarda il gladio romano, credo che dare una percentuale di fendenti-punta sia anche qui poco veritiero se non si considerano gli equipaggiamenti dei soldati, uno scudo molto grande per esempio crea più difficoltà a manovrare dei fentendi che non delle punte.
In qualunque caso credo che difficilmente un gladio, e stiamo parlando di un arma dalle 3-4 dita di larghezza, che risulta abbastanza “tozzo”, potesse incastrarsi nella carne dopo una punta, specialmente se data all’altezza dello stomaco, fegato, milza ecc.
Loades lo adoro, ormai lo chiamo “er maniaco” per il suo atteggiamento quando gli tirano in mano una spada.
@Beld
Quando azzardo 70-30 o 60-40 (in modo grossolano, lo ammetto) prendo come riferimento tutte le situazioni in cui poteva venire a trovarsi un legionario. Non parlo quindi di sole battaglie campali, ma anche di scaramucce, repressione di rivolte, inseguimenti, tutte occasioni in cui si veniva in contatto con nemici eterogenei, spesso male armati, in cui la combo scutum-stoccata col gladio poteva essere (parzialmente) lasciata da parte.
maneggiarsi troppo si dice renda ciechi ma a giudicare dai video maneggiare troppe spade rende calvi 🙂
grazie per i nuovi video e.. gondentag a tutti
A ok, allora sono perfettamente d’accordo.
ti farei i complimenti per l’articolo, ma … non è roba tua, e quindi sarebbero del tutto immeritati 🙂 🙂 :-[)
Cmq, complimenti lo stesso per averlo pubblicato, e complimenti all’autore.
Aspetto con ansia una pubblicazione sulle frombole, fionde e armi da getto (anche a seguito della discussione che si è sviluppata sul tema in “storica”).
Bravo Zwei
saluti
Un buon approfondimento 🙂
l’articolo non è male, ci si potrebbe lavorare e renderlo più organico, alcuni punti a pelle mi trovano poco d’accordo sulle conclusioni e potrebbero essere meglio documentate sull’esperienza di ricostruzione
sulla cosa della punta contro il taglio dico la mia adattando la esperienza mia di kendoka e preso duro dalle spade
premesso che tutto dipende dalle protezioni passive che si potevano trovare in campo, il colpo di taglio molto difficilmente riesce a superare efficacemente protezioni in metallo, contro ampie protezioni il colpo di punta offre molte possibilità,
facendo un paio di esempi anacronistici, nel combattimento in arme con la due mani in molti manuali viene indicato di impugnare una mano sull’elsa e l’altra sulla lama e andare a cacciare la punta nelle aperture dell’armatura avversaria
alcune antiche scuole di spada nipponiche contro avversari in armatura completa si insegnavano particolari fendenti che praticamente sono puntate con traiettorie didiscendenti che miravano a infilarsi nelle aperture della visiera – collo – ascelle
parlando della mia esperienza il colpo di punta può essere impiegato anche per chiudere la distanza e nel caso di mancato bersaglio doppiare con un fendente, che viene benissimo anche arretrando con il corpo nel caso di distanza corta (cosa che un affondo non può fare)
poi prendo l’occasione per fare arrabbiare zwei, Oakeshot a mio avviso nel definire il fendente una dinamica “automatica” contro il complesso affondo che va acquisito dice una stronzata ciclostilica,
forse vale per le clavate, ma tagliare è tutta un’altra questione
Tornando all’articolo, il passaggio sulla metarlugia della spada, seppur non sono un’esperto anch’io lo trovo raffazzonato, per esempio nel passaggio
cadi in un classico trabocchetto, si gli strati ottenuti nella procedura di ripiegatura a pacchetto erano migliaia ma le ribattiture raramente superavano la decina, basta conoscere la potenza di due per capire perchè
comunque ci sono passaggi interessanti che meritano approfondimenti come la nirturazione tramite urina e la carbocementazione tramite impasti carboniosi
qui dipende molto dalla tecnica usata e dall’arma. Non puoi paragonare le tecniche di katana (o di sciabola) con un colpo di machete o di certi tipi di spada. Attenzione a non fare un errore tipico di molti archeologi sperimentali: arrivare a conclusioni troppo affrettate.
esatto, ma quando l’ho letto ho pensato che si fosse spiegato male e non ho segnalato la cosa
@dunseny
si e no
nel senso che comunque quando si passa da armi da percossa a quelle da taglio si deve cominciare a considerare elementi complessi come l’allineamento tra il piano del filo e il piano di taglio, cosa che è facile sperimentare come difficile da ottenere senza pratica e ancora più difficile da mantenere in condizione dinamica
questo senza andare a scomodare la complessa coordinazione corpo-spada secondo la scherma nipponica
che poi certe armi risultino versatili e il taglio è un “in più” alla percossa come per molte tecniche della due mani non si discute
Che Oakeshott a volte confonda le randellate con i fendenti è fuor di dubbio, ma è innegabile che la tendenza dell’uomo cui viene messa in mano una spada per la prima volta è di portare ampi colpi diagonali.
Accade lo stesso quando si fa a pugni. La tendenza “normale” porta a sferrare ganci larghi, mentre un uomo con più esperienza punta tutto sul drittone in faccia.
Avrei un impegno per quella data, ma ci faccio un pensierino.
o il 5 (individuali) o il 6 (squadre)
hai pure due date da giocare, sarò di parte ma secondo me ne vale la pena
poi dipende dall’impegno (e con chi lo hai)
quoto Coldsteel, sicuramente la parte metallurgica è un copia-incolla, ad esempio la parte in cui si parla delle piegature che dovrebbero essere eseguite migliaia di volte è un chiaro esempio di una riga maleinterpretata letta da qualche parte, perchè se mai ad ogni piegatura gli strati raddoppiano, non è uno strato per ogni piegatura, inoltre la parte sulla tempra è una presa in giro, in quanto nel libro Iron and Steel in Ancient Times Di Vagn Fabritius Buchwald si presenta uno studio eseguito su ben 24 spade latenensi e nessuna di queste era stata temprata, figuriamoci rinvenuta, chiedo scusa per la mia mancanza di garbo ma avendo passato molto tempo a leggere sull’argomento non potevo tacere.
Bellissime le impugnature in rame.
Prima della ripiegatura del pacchetto d’acciaio lo strato di ossido va rimosso, altrimenti si ha un impoverimento e non un arricchimento di carbonio. Lasciare l’ossido di ferro tra una saldatura e l’altra è la tecnica base per ottenere un ferro morbido per il cuore di una lama.
Una delle tecniche per ottenere dell’acciaio con un contenuto di carbonio accettabile era la cementazione in cassetta (o vasi di terracotta) di lamine di ferro di circa 3 millimetri di spessore in carbone di legna e polvere di corna animali, dopo 5-6 ore a 900 gradi si otteneva una penetrazione di carbonio quasi a cuore in una percentuale dello 0,8 %.
Le lamine venivano poi saldate per bollitura e anche con un solo ripiegamento era possibile ottenere lame di alta qualità.