Nalanda fu uno dei più grandi centri culturali medievali. Se il nome vi suona sconosciuto non dovete preoccuparvi, visto che ha ottenuto pochissima visibilità nell’ambito della storiografia italiana.
Qualsiasi studente di Giurisprudenza (ma anche di Lettere, Storia, ecc…) avrà familiarità con la fondazione dell’Università di Bologna, nel 1088. Fu in quell’anno che Irnerio, fine giurista, creò lo Studium bolognese, ma si trattava di un qualcosa di profondamente diverso dalle università odierne. Anche la prima università “pubblica”, la Federico II di Napoli, aveva caratteristiche differenti da quelle degli atenei moderni. Evitando le dispute, ormai ultrasecolari, sulla primazia cronologica delle università europee, spostiamo lo sguardo sul subcontinente indiano.
Più di seicento anni prima di Bologna, nei pressi del confine meridionale del Nepal, sorgeva un grande complesso universitario: Nalanda.
La prima volta che lessi di Nalanda mi venne subito in mente il paragone con la Biblioteca di Alessandria, ma in realtà il centro indiano aveva qualcosa in più. Infatti, come ho già accennato, si trattava di una vera e propria città universitaria che occupava decine di ettari (al momento ne sono stati scavati solo 14).

Sebbene ci siano alcune fonti che la datano a un periodo più risalente, attorno al II secolo, sembra che Nalanda venne fondata durante il regno di Kamaragupta I, nel 427 d.C., divenendo subito un importante centro culturale.
Bisogna ricordare che in India le università avevano un nucleo comune, di solito un monastero, che piano piano si allargava grazie agli insegnamenti offerti dai monaci e alle librerie curate gli stessi. Iniziavano ad arrivare sempre più allievi, assieme a dei generosi finanziamenti, e quindi si costruivano nuovi edifici, dormitori, biblioteche per poter ampliare l’offerta didattica e continuare ad attirare nuovi studenti e professori rinomati.
Per essere ammessi era necessario passare un difficile esame di ammissione e, in caso di esito positivo, si poteva accedere alla didattica dell’Università, che contava più di cento lezioni al giorno. Il fatto che ci fosse un esame orale di ammissione e un’alta percentuale sono una dimostrazione lampante della modernità e il prestigio dell’Università.
A duecento anni dalla sua fondazione, Nalanda aveva già raggiunto delle cifre impressionanti. Stando alla testimonianza del cinese Xuanzang, un monaco buddista che aveva viaggiato fino all’India in cerca di maestri migliori, l’Università contava già 8.500 studenti e 1.500 professori, alloggiati in 108 strutture indipendenti.
Oltre a Nalanda, nel corso dei secoli sorsero altre importanti università (o monasteri-università), tanto che attorno all’anno 1000 si era formato un vero e proprio network. Le istituzioni di Vikramaśīla, Nalanda, Somapura, Odantapurā e Jaggadala permettevano agli studenti e ai professori di spostarsi da una all’altra a secondo delle esigenze, e tutto era controllato e coordinato dall’autorità statale.
Nalanda era divisa in otto distretti e al suo interno sorgevano dieci templi, classi per le lezioni, sale per la meditazione, laghi e parchi. Aveva dormitori capaci di ospitare 10.000 studenti e 2.000 professori e una libreria a nove ordini (!) dove veniva custodito tutto il sapere buddista, oltre a testi fondamentali di matematica, astronomia, medicina e scienze.
Tanto per darvi un’idea, una biblioteca del genere poteva ospitare centinaia di migliaia di volumi, forse anche più di un milione. Era conosciuta con il nome di Dharma Gunj “Montagna della Verità” ed era suddivisa in tre edifici: Ratnasagara (Mare dei Gioielli), Ratnodadhi (Oceano dei Gioielli), and Ratnarañjaka (Delizia dei Gioielli).
“All’apice del suo splendore, la biblioteca aveva un numero enorme di volumi su argomenti della tradizione buddista – un po’ come Oxford, tempo dopo, faceva con quella cristiana – sanscrito, medicina, economia e salute pubblica.”
Amartya Sen, premio Nobel per l’Economia.
Ad ogni modo, la vita di professori e studenti scorreva fra meditazioni, passeggiate, lezioni, approfondimenti in biblioteca e momenti di socializzazione. Attratti da questo magnete culturale, arrivavano giovani da ogni parte dell’Asia.
Attorno all’XI-XII secolo Nalanda era già in declino, complice la perdita di terreno del buddismo a vantaggio dell’induismo (nonostante vi fossero stati diversi finanziatori induisti nel corso dei secoli), ma di certo rimaneva un centro importante, non fosse altro per l’impressionante mole di volumi contenuta al suo interno. In particolare, gli induisti iniziarono a considerare Budda come la nona delle dieci incarnazioni di Visnù, trasformando il buddismo dell’India nord-orientale in una specie di setta induista.
Tra il 1197 e il 1206, penetrò nel territorio di Nalanda l’esercito di Muhammad Khilji, generale agli ordini di Qutb-ud-din Aibak (un ex-schiavo al servizio del sovrano ghuride Muhammad di Ghur) che diventerà il primo Sultano di Delhi.
Nalanda fu presa e data alle fiamme, mentre professori e scolari venivano massacrati. Molti monaci si rifugiarono negli attuali Nepal e Tibet. Alcuni studiosi narrano che il generale musulmano fosse adirato perché la biblioteca non conteneva una sola copia del Corano, ma non sono stato in grado di reperire le fonti e potrebbe trattarsi di semplice confusione con quanto detto da Amr ibn al-Asi, nel 642 d.C., prima della distruzione della Biblioteca di Alessandria. In realtà l’azione militare era solo un tassello del piano generale del sultano, volto all’asservimento completo di buddismo ed induismo.
Uno storico musulmano narra che le biblioteche bruciarono per sei mesi, creando una cappa nera sulle colline circostanti. In questa sorta di inverno atomico ante-litteram, alcuni monaci sopravvissuti continuarono ad insegnare, trovando rifugio negli edifici meno danneggiati. Ancora nel 1235, un viaggiatore tibetano trovò ad insegnare un monaco novantenne, Rahula Shribhadra, che aveva radunato una settantina di studenti. Proprio in quel periodo, una nuova sortita di truppe musulmane (della nuova dinasta Mamelucca, nata dalla frammentazione dell’Impero Ghuride) costrinse a fuggire gli ultimi studenti.
Un grande storico e filosofo, Will Durant (premio Pulitzer e autore, con la moglie, de “La Storia della Civiltà” in 11 volumi), ha detto:
La Conquista Maomettana dell’India è probabilmente la più sanguinosa della storia. E’ un racconto scoraggiante, la cui evidente morale è che la civiltà è una cosa precaria, quel delicato complesso di ordine e libertà, cultura e pace può essere in ogni secondo rovesciato da barbari che la invadono o si moltiplicano all’interno di essa
Come ultimo appunto, vorrei sottolineare che il buddismo scomparve completamente da quei luoghi assieme alla cultura, tanto che la regione cadde in rovina. Come sottolineava un articolo in inglese che lessi qualche tempo fa, per ironia della sorte, a 900 anni dalla distruzione di Nalanda, la zona ha oggi un tasso di analfabetismo altissimo.
Bibliografia: |
- J. Barua, Ancient Buddhist Universities in Indian Sub-Continent (2016);
- C. Satish, Volume 1 of Medieval India: From Sultanat to the Mughals (2004);
- E. Sharfe, Education in Ancient India (2002)
- M. Minhaj-ud-Din, A General History of the Muhammadan Dynasties of Asia Including Hindustan (1881);
- S. Dutt, Buddhist Monks And Monasteries of India: Their History And Contribution To Indian Culture (1962);
- A.L. Basham, The Wonder that was India (1954)
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Interessante, come hai scritto non ne sapevo nulla. Contenere 10 000 persone all’epoca mi pare impressionante.
Molto bello.
I numeri citati sono impressionanti… ma come si sfamava un simile assembramento di persone? Il monastero possedeva anche coltivazioni curate da servi o simili (argh, non so se fosse ammissibile per un buddista avere servi, o se andava contro qualche suo principio etico ^^’), o le derrate alimentare provenivano da luoghi limitrofi, o magari sotto forma di donazioni?
Nel primo caso la popolazione del centro dovrebbe aumentare di qualche migliaio di unità, considerando tutto il ‘personale’ aggiuntivo :[
Terra Nova
Secondo me Nalanda veniva rifornita dall’esterno, ma forse poteva anche contare su delle coltivazioni interne. Probabilmente i centri abitati vicini si svilupparono proprio come supporto alle esigenze dell’Università.
Bellissimo articolo su Nalanda, che scopro grazie a te. :8
Io penso che l’ignoranza dell’uomo comune riguardo a tali civiltà perdute, però, non sia dovuta alla volontà di tacere riguardo alle stragi dei turki kattivi che potrebbero vendicarsi. Noi abbiamo una visione dell’India ( e di altri paesi) che replica all’infinito, più o meno inconsciamente, la solita favoletta del povero popolo sottosviluppato che necessita di un aiuto europeo.
Favoletta che si ribalta spesso nell’esaltazione acritica delle mirabili opere del non europeo, del “buon selvaggio” i cui atti sono sempre oggetto d’ammirazione.
A me sembra che una storiografia filoislamica non sia tanto dettata dalla paura quanto dal permanere di una tenzenza post-colonialista ad esaltare le culture extraeuropee.
Obiettivamente, però le meraviglie prodotte dalle differenti culture indiane non giustificano le debolezze e gli orrori ad ognuna di esse congeniti. E nello stesso tempo le oscenità prodotte dai turchi durante la storia mondiale, non devono essere giustificazione per un marchio di barbarie da stampare in faccia all’islamico in quanto “turco maledetto”.
E per amor di verità, nel considerare la storia della povera Ipazia, bisogna ricordarsi di come essa fu massacrata non dai “Cristiani” tout court ma da una folla di fanatici, forse dei Parabolani.
E poi, per chiudere degnamente la rubrica “Lo sapevate che..?” c’è una lingua nella quale i numeri “arabi” si chiamano giustamente hindsah, indiani…
L’arabo.
Bon. Chi le invasioni mongole, chi la riforma gelmini. A ognuno le sue disgrazie.
Molto interessante, ignoravo totalmente questo luogo, mi spiace per loro ma se avessero avuto un esercito in grado di contrastare le minacce esterne oltre che una buona cultura forse sarebbero arrivati fino a noi…
(ma su un milione di testi, un paio di trattati militari no?) 😀
L’Impero di Vijayanagara (induista) riuscì a resistere fino al XVII secolo. Occupava l’intera India meridionale e subì la sconfitta definitiva, ad opera di un’alleanza di sultanati) solo nel 1565 (stesso anno dell’assedio di Malta). La Battaglia di Talikota vide schierati più di 250.000 uomini complessivi e centinaia di pezzi d’artiglieria, elefanti da guerra e cavalieri. Strano davvero come anche questo evento non venga trattato nemmeno nei volumi di storia generale del liceo.
Mi piacerebbe scrivere un articolo sull’argomento, ma temo di dover studiare ancora un bel po’ prima di poterlo fare. :((
Ho visto un film in lingua hindi su quella battaglia, visti gli eserciti schierati, spettacolare con riprese dall’alto mediante droni, forse mezzo milione di comparse, mi sembrava un esagerazione, ma da ciò che hai scritto, probabilmente, il regista si è attenuto a fatti storici.
Grazie infinite per questo articolo.
Gran bell’articolo, i miei complimenti.
Mi piace questo andare a sfogliare pagine di storia che sono completamente ignorate da ogni programma scolastico italiano (forse anche da quelli universitari).
Comunque meglio i Tartari che la Gelmini… almeno loro erano più ruspanti e non avevano quella faccia da *AUTOCENSURA*
Grazie millle, ammetto di non saperne molto sul tema, per fortuna esistono blog come questo che eprmettono di allargare i propri orizzonti (a dispetto di quel che si dice troppo spesso del web). purtroppo è molto triste che sia finita così.
Saluti, Lhaihder.
Non tanto strano. Al liceo praticamente non si studia storia all’infuori di quella prettamente Occidentale. Occidentale, ma che dico? Europea essenzialmente. Europa… ma che dico? Se non si studia nulla della storia della Polonia fino alle Spartizioni del ’700, e solo perché la Polonia diventa di proprietà di Austria e Prussia (perché naturalmente non si studia nemmeno la storia della Russia)? E non sto parlando dell’India, della Cina, del Giappone… sto parlando della POLONIA, che sta proprio in mezzo all’Europa!
Praticamente la Storia Post-Romana che si studia al liceo si potrebbe definire Storia d’Italia, di Francia, di Inghilterra, d’Austria, di Prussia -Germania e di Spagna. Perché essenzialmente non si studia (se non di sbieco, quando proprio tocca) alcun fatto che esuli dalla storia di questi territori.
Comunque bellissimo articolo^^
(ah… avrai notato che ho qualche problema a postare i messaggi sul blog… non so perché, ogni tanto mentre sto scrivendo mi dà l’invio automatico…)
@Uriele
Indian Buddism di Warden potrebbe essere un buon inizio, poi bisogna cercare articoli (in inglese) negli archivi online.
@Angra
Oppure che mancava Ancess…
Esco per la prima volta dalle tenebre del lurkeraggio più vile e prolungato (sono anni che seguo nell’ombra praticamente TUTTO, da Gamberi fantasy passando per il Duca fino ad arrivare al forum di Knight e Princess 🙂 ) per riportare la mia testimonianza sul patetico insegnamento della storia al liceo (frequento la quarta di uno Scientifico). Come già detto da Tapiroulant parlare di insegnamento eurocentrico sarebbe già un ottimismo sfrenato, non solo una qualsiasi realtà che si discosta vagamente dall’Europa occidentale viene glissata (l’impero Bizantino questo sconosciuto sigh…), ma gli stessi insegnanti comunque sono laureati in lettere antiche, filologia e altre materie ben lungi dall’essere incentrate sulla storiografia, meno che mai extra-italiana. Non è raro che capiti la tragicomica situazione in cui io, con la mia cultura storica da Wikipedia e da romanzi di Bernard Cornwell, mi trovi a saperne di più della mia professoressa, e non stiamo parlando delle misure in millimetri dell’arco composito ostrogoto del quarto secolo a.C., ma del fatto che l’impero Moghul fosse in India :(( …
P.S. Ti faccio i soliti complimenti di rito da primo commento al blog, apprezzo particolarmente i tuoi articoli su angoli di storia extraeuropea poco conosciuti, come quello sulla battaglia di Avarayr :8
Visto che ormai si è OT a parlare della scuola italiana… parliamone 😀
Onestamente io non mi sento di criticare troppo gli insegnanti per il fatto di insegnare solo storia europea. Le ore di lezione quelle sono, purtroppo.
Per dire, io non ricordo di aver studiato le guerre tra i regni ellenistici. Tutto veniva presentato così: “allora, Alessandro Magno muore, i suoi generali si dividono l’Impero, nel frattempo Roma diventa più forte di loro. E ora… passiamo a Roma”. E Tolomei e Seleucidi non è che fossero dall’altra parte del mondo.
Però la mia impressione non era (e non è tuttora) che l’insegnante fosse del tutto ignorante fuori dall’orto europeo, quanto che avendo poco tempo, tagliasse gli avvenimenti “lontani” (che a seconda dei casi può significare “fuori dall’europa” come “fuori dall’italia” come “fuori da casa nostra”). Certo, se
Può essere anche che avendo classi che di storia capiscono poco o nulla (dovrebbe essere un controsenso al Classico, ma Angra può immaginare la composizione degli studenti al D’Oria), l’insegnante dica “sticazzi che io mi faccio il culo per spiegargli tutto”.
Piuttosto quello che rimprovero, questo sì, è che non ho visto fornire agli studenti un metodo. Non ho mai sentito dire “per capire la storia dovete guardare questi elementi chiave”. E allora il risultato è che ogni volta che spieghi devi sempre ripetere 4-5 volte ogni concetto.
Bisogna aggiungere che la maggior parte dei nostri professori di storia sono laureati in filosofia, e della storia se ne fottono.
Il mio ex è un prof di italiano e storia, laureato in storia, che si ritrovava a dover spiegare tre volte di fila (in 5 minuti netti) che differenza ci fosse tra pirati e corsari a una classe di potenziali cerebrolesi (la conferma solo aprendone la scatola cranica, ma non è pratica accettata nelle scuole), che dava appunti extra per capire le cose su cui il libro di testo spendeva ben tre righe, che aveva una manciata di persone che lo ascoltavano e il resto che si faceva beatamente i cazzi propri.
Poi nei compiti con domanda a risposta multipla qualcuno aveva il coraggio di segnare, come risposta a “Perché i re di Roma sono sette?”, “Giulio Cesare ha ucciso l’ottavo re di Roma” :[ , o mettevano l’India tra gli stati che compongono il Regno Unito :[ . Oppure leggeva che Renzo e Lucia si mandavano pizzini perché non potevano sposarsi (Provenzano? un plagiatore di Manzoni! 😉 ). Magicamente i due e i tre fioccavano, e i genitori quando andavano a parlare con lui o se ne sbattevano bellamente (“Sì, lo so che Marcolino è una pippa, che ci vuol fare!” oppure “Sì, lo so che Marcolino arriva sempre in ritardo, ma sa, è colpa mia, lo porto io in macchina e non mi ricordo mai di uscire di casa un po’ prima, sa com’è” <– realmente pronunciata da un genitore, con tutta la tranquillità del mondo) o cadevano dal pero ("Ma come, Marcolino studia tutti i giorni per ore e ore! Ma come è possibile?" "Signora, Marcolino non studia, in realtà si fa pippe a nastro guardando porno su internet!")
In due anni di supplenze (DUE, non mille) aveva collezionato già sei o sette pagine di allucinevoli risposte che "Io speriamo che me la cavo", al confronto, è rassicurante!
Poi uno si fa domande… e si chiede da dove venga un Ancess o un Arsalon… O_o
Bell’articolo! Neanche io ne avevo mai sentito parlare, nel mio corso avevano tolto persino Storia Bizantina o Archeologia Etrusca, figuriamoci se ci mettevano qualcosa dell’India. Un vero peccato come è finita Nalanda, è qualcosa che avrebbe capolvolto la storia, se fosse sopravvissuta.
Riguardo Alessandria, tra le fonti è anche indicato l’incendio, allargatosi alla biblioteca forse in modo accidentale, che ebbe origine dal porto nel 48 a.C. Credo il primo danno a quella sfortunata biblioteca.
Sì, purtroppo Cesare fece un bel danno. Si pensa che in quell’incendio andò distrutto circa il 10% dei rotoli.
Cose che non torneranno mai più. Mi chiedo quanta, in tutto, sia stata la saggezza umana sotterrata nel corso della Storia.
Cercherò anch’io esempi del genere.
Chapeau per l’articolo, Zwei. 😉
bell’articolo!
conoscevo Nalanda perchè è stata la meta di Xuanzang (o in qualsiasi altro modo lo si voglia chiamare, il protagonista del Viaggio in Occidente con Goku e company)
http://it.wikipedia.org/wiki/Xu%C3%A1nz%C3%A0ng
ps: è vero che i musulmani hanno incenerito la biblioteca di alessandria ma io sapevo che è grazie agli arabi che sono arrivate fino a noi copie dei testi degli antichi greci, per non parlare della matematica, dell’algebra, dell’ottica ecc…
insomma dai non erano tutti feroci e kattivissimi, per fortuna…
Bellissimo articolo Zwei. Non avevo idea che esistesse, da “appassionata” (le virgolette ormai sono d’obbligo!) di storia me ne vergogno profondamente. Mi piange il cuore a pensare a quella meraviglia distrutta … *autocensura* :p
I testi greci arrivati a noi dagli arabi, per quel che ne sapevo io, erano di Aristotele ma si trattava di una visione/interpretazione di Averroè e non dell’originale. Il sapere greco non ci era arrivato dall’Impero bizantino prima che venisse distrutto? Se così non fosse dovrò incazzarmi un tocco col prof di storia medievale e col mio libro dell’esame. :p
a me però risultava che i cinesi non erano da meno, almeno a partire dalla dinastia Han (se non prima) c’erano “università”.
@Cecilia
Escludendo la mediazione araba, l’arrivo in Italia e Occidente di opere letterarie nonchè di maestri, grammatici, retori bizantini era particolarmente intenso durante l’ultimo secolo di vita dell’ Impero, accentuandosi poi dopo la sua caduta.
Qualche contatto precedente c’era comunque stato, per esempio diverse opere greche arrivarono in Europa anche grazie al sacco di Costantinopoli della Quarta Crociata.
@Null
Grazie mille. Allora era proprio come la sapevo io. Bene, non devo ammazzare nessuno… 🙂
Bellissimo articolo!
Zwei non so più come farti i complimenti per ogni articolo che man mano leggo.
Questo poi tratta di un tema talmente sconosciuto che un profano come me non avrebbe assolutamente modo di affrontare (ne conoscere) se non attraverso il lavoro di persone come te che lo fanno, peraltro, sacrificando gratuitamente il loro tempo libero.