Marcantonio Bragadin e l’Assedio di Famagosta (1571): la Fine di Nicosia

Due giorni dopo la caduta di Leucosia, avvenuta, come abbiamo già raccontato, il 9 settembre 1570, arriva a Salamina un contadino cipriota spedito da Mustafà. In una sacca portava la testa mozzata di Nicolò Dandolo, reggente di Leucosia, e lettere di minaccia: se Salamina non si fosse arresa, Mustafà avrebbe fatto trucidare tutti gli abitanti e distruggere ogni cosa.

Le fortificazioni di Nicosia
Nell’agosto del 1567, a Nicosia era giunto Giulio Savorgnano, sovrintendente delle artiglierie e delle fortezze dello stato veneziano. Dopo aver abbattuto la vecchie mura, costruì una nuova fortificazione alla moderna, ristretta alla città e formata da un endecagono regolare a 11 baluardi.
In B. SERENO, Commentari della guerra di Cipro della lega dei principi cristiani contro il turco, 1845 (anno della prima pubblicazione a stampa di un manoscritto trovato presso l’Archivio Cassinese), leggiamo però che le fortificazioni non furono completate:
«A questa fortificazione il Savorgnano lavorò per lo spazio di dieci mesi, cingendola di cortine e baloardi di terra e l’ascine, come si suole, con intenzione di farle di fuori le camicie di muro. Ma essendo mentre ciò faceva richiamato, non fu poi chi curasse di farla unire, né di affondare le fosse tanto che i baloardi avessero potuto fare l’officio loro; il che fu cagione che tutta quella opera inutile riuscisse. Perciocché non potevano i baloardi guardar le cortine; e non reggendo il terreno senza la debita crusta alla tempesta delle artiglierie, più tosto, cadendo, porse nel bisogno commodità a’ nemici di salirvi, che non la città rendesse sicura

Davanti alle minacce, il Bragadin non si spaventò, ma fu anzi pervaso da un odio e un’ira ancora maggiori, esortò tutti perché fossero forti e di animo saldo. Ricordò che combattevano per la fede cristiana, per la libertà e per la vita.

Dopo chiese a tutti di mettere il massimo impegno nell’adempiere i compiti assegnati a ciascuno in vista della difesa della città; di sudare, lavorare, affrontare tutti i pericoli, colpire i nemici, metterli in fuga, distruggere le loro orde, far pagare al nemico le sue crudeltà; non permettere di lasciare impunita la distruzione di una città bella come Leucosia, la morte di tanti cristiani, massacrati come pecore, la decapitazione di un governatore così forte e generoso, l’uso di tanta superbia ed arroganza. Nessuno doveva arrendersi alle minacce di morte e massacro provenienti dai Turchi e finire nella miseria della schiavitù.

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Le fortificazioni di Nicosia. Come ricorda il Riccoboni, se ci fosse stata migliore concordia e strategia fra gli ufficiali preposti alla sua difesa, sarebbe stata quasi inespugnabile.

Le lettere di Mustafà furono di questo tenore:

«A Marcantonio Bragadin, comandante di Salamina.
Prendi la testa della persona di cui, se vorrai imitarne l’ostinazione, imiterai anche la morte, e andrai incontro a un simile e peggiore trattamento. Ti comando un’immediata resa della città se non vuoi che avvenga a Salamina lo stesso massacro avvenuto a Leucosia, se non vuoi che io faccia distruggere le mura dalle fondamenta, e se non vuoi che tutti gli abitanti siano trucidati in modo orribile. Ti auguro del bene invece, se vorrai sottometterti al sacro e augusto potere del mio tremendo signore, piuttosto che resistere invano alla sua invincibile potenza con gran danno tuo e degli altri.»

Bragadin rispose alle lettere in questo modo:

«Conosciamo quanto basta la tua scelleratezza, e speriamo che la vendetta divina ricada su di te. Non temiamo le tue minacce, e proteggendo Dio le nostre armi, se non ci saranno altre cose a difendere la nostra vita e la nostra libertà, lo faremo con le nostre mani. Non ti cediamo la città, perché è un qualcosa che non possiamo e non dobbiamo fare per mantenere l’onore della Repubblica. Faremo quanto possibile per evitare che tu possa esercitare su di noi la tua crudeltà. Ti auguro del bene, se ti dimostrerai degno di quella bontà che proviene dalla mano divina.»

Mustafà spedì lettere dello stesso tenore a Cerina, al castellano Giovanni Maria Mudazzo, e al governatore della milizia Alfonso Palazzo Bresciano, e perché quelli si spaventassero, le spedì al popolo Cerinense con il prefetto Paolo Vastio incatenato al cavallo con due teste mozzate.

Costoro risposero che non potevano prendere alcuna decisione senza prima consultarsi con Salamina, quindi Mustafà concesse loro cinque giorni per risolvere la questione e mandò loro un contadino con una carovana per favorire il tutto. Mudazio spedì il contadino a Salamina (14 settembre) con lettere scritte dallo stesso castellano, dal governatore della milizia e da tutti gli abitanti di Cerina, dove si diceva che avrebbero difeso la rocca sempre, fino alla morte, e che lo avrebbero dimostrato con le parole e con i fatti. E pregavano che, nel caso si fosse deciso in altro modo relativamente alla difesa della città, gli fosse data risposta a breve. Il Bragadin rispose subito che già conosceva la loro somma fede e resistenza, e che da loro non poteva aspettarsi altro che una grande e veemente difesa.

Li istruì poi su come dovessero agire, dimostrandosi molto soddisfatto della loro forza d’animo. I grandi proclami provenienti da Cerina non furono però seguiti dai fatti. Con grande delusione del Bragadin, il 16 settembre i Cerinensi si arresero ancor prima di ricevere la sua risposta!

Una pena esemplare
Con Cerina, Mustafà rispettò i patti, lasciando andare la popolazione e i rettori della città. Da C. CAMPANADelle historie del mondo descritte dal sig. Cesare Campana, 1602 (opera in sedici volumi) veniamo a conoscenza di un particolare interessante. Mentre tentavano di tornare a Venezia, Giovanni Maria Mudazzo e Alfonso Palazzo Bresciano furono depredati dai corsari ottomani. Salvatisi per miracolo, riuscirono finalmente a raggiungere Venezia. Lì però li attendeva una sorte ancora peggiore. Subirono infatti il giusto processo per aver consegnato Cerina e furono entrambi condannati all’ergastolo. Il più sfortunato dei due fu il povero Palazzo, che morì in prigione dopo pochi mesi.

Di conseguenza, l’intero esercito turco arrivò per assediare Salamina il 21 settembre, e allo stesso modo vi giunse tutta la flotta nemica con le spoglie della presa Leucosia. Sappiamo però che il 5 ottobre Fulsidonio Candiotto arrivò a Salamina con una celoce. Era stato spedito dalla flotta veneziana per annunziare che presto sarebbe arrivato il soccorso e che Mustafà, una volta venutone a conoscenza e temendo l’arrivo dell’armata cristiana, si sarebbe ritirato dall’assedio.

La Celoce
In CARRO D., Classica (ovvero “Le cose della Flotta”): Libro XII Tomo I – Fasti Navali, glossario e sommario, Rivista Marittima, Roma, 2003, sono riportate le definizioni di celoce trovate nelle fonti antiche:
1) «è una piccola nave così detta per la velocità» [Non.];
2) celoci sono «veloci biremi o agili triremi adatte a servire la flotta» [Isid.6];
3) «Si dà il nome di celox a un tipo di navicella [navicellae] di dimensioni molto modeste che noi chiamiamo bemplum, onde anche Apuleio, nel suo libro Sull’amministrazione dello stato [de re publica] dice: «chi non sa governare una  piccola navicella [celocem], ne cerca una da trasporto [onerariam].»
Ancora nel XVI secolo si usava questo termine per indicare le imbarcazioni più agili e veloci; quelle, per intenderci, più adatte alle comunicazioni e a piccoli compiti logistici.

Nel mese di novembre un certo turco, di bell’aspetto e capitano di cavalleria, riparò a Salamina, conducendo con sé una nobildonna di Leucosia, a quanto pare figlia di Giovanni Soromani, molto bella, e tale che tutti quelli che la guardavano rimanevano ammaliati dalla sua bellezza.

Il Bragadin venne a sapere che il turco era fuggito dopo avere ucciso un commilitone rivale in amore, poiché voleva farsi cristiano in nome dell’amore che provava per quella donna. Egli spedì il turco nella rocca, diede ad esso un interprete il quale lo istruisse sulla santissima fede cristiana, e fece portare dinnanzi a sé la donna, veramente di una bellezza difficile da superare, che poi impiegò per custodire l’anziano medico Giovanni Battista Salodiense.

Ma poco dopo il feroce turco uccise l’interprete assegnatogli poiché questi non voleva condurlo alla sua prigioniera. Il Bragadin ordinò quindi che fosse condannato a morte, e che quella bella fanciulla, ammirata da tutti, fosse condotta da lui. La fece quindi portare in luogo tranquillo, in modo che potesse vivere onestamente.

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Giannizzeri all’Assedio di Malta, avvenuto nel 1565

Il comportamento del Bragadin pone il dubbio se egli sia stato più giusto nel punire un uomo empio e impuro, o più capace di controllare sé stesso nell’astenersi da una femmina tanto bella e acclamata. Egli seguì l’esempio di Publio Africano maggiore che, dopo aver espugnato Cartagine, grande città della Spagna, lasciò inviolata la vergine bellissima e meravigliosa, figlia di un nobile iberico, che condussero al suo cospetto; e anche il Grande Alessandro che, avendo catturato, dopo gran battaglia, la moglie del re Dario e la sorella di lui, che erano bellissime, non volle vederle, e proibì che gli fossero condotte innanzi, forse perché conosceva la sua mancanza di controllo e intemperanza al punto da non essere sicuro di potersi astenere nel caso le avesse viste. Sono dunque più meritevoli di stima coloro che si astennero anche dal solo vedere quelle donne, ovvero coloro i quali non ebbero alcuno stimolo voluttuoso alla vista di bellezze leggendarie e non solo si astennero, ma rimasero addirittura tranquilli come Scipione e il Bragadin?

Crescendo la necessità di ricevere aiuto, il sempre attento Bragadin decise di spedire a Venezia qualcuno che facesse conoscere lo stato di difficoltà in cui si trovava Famagosta e che riuscisse a ottenere l’invio di rinforzi.

Ad assumersi quest’onere furono Girolamo Ragazzoni, vescovo di Salamina, essendosi presentato in sua vece il vescovo di Amatunta, e Nicolò Donati, uno dei capitani di galea posti a difesa di Cipro. Un uomo di grande acume che, assieme a Francesco Trono, altro comandante di galea, aveva catturato un naviglio turco, ricco di armi e vettovaglie, nei pressi del porto di Tripoli.

Questi avevano rotto il ponte turco, attraverso cui le truppe venivano trasportate dalla Cilicia a Cipro, e avevano portato a termine in modo egregio anche altre imprese.

Il 5 novembre 1570 furono così spediti a implorare l’immediato invio di aiuti a Venezia, portando con loro le lettere del Bragadin, del Baglioni e dei cittadini di Salamina.

I veneziani decretarono che una flotta dovesse raggiungere Salamina al più presto. L’incarico fu affidato a Marcantonio Quirini, che doveva portarsi a Cipro con quattro navi onerarie cariche di armi, viveri e altri aiuti, e Marco Quirini – poiché i turchi avevano dislocato diverse galee per impedire i rifornimenti veneziani – furono date dodici galee per fare da scorta nel caso di un attacco nemico. Si sapeva infatti che diverse galee turche erano state destinate a intercettare gli aiuti per Salamina.

La velocità delle galee
La velocità delle galee e, di conseguenza, i tempi di percorrenza delle varie rotte mediterranee, sono state oggetto di molti studi. Da una comparazione fra le fonti latine, alcuni studiosi hanno ricavato una velocità media di 4-6 nodi in caso di condizioni metereologiche molto favorevoli. In PRYOR J. H., Geography, Technology, and War Studies in the Maritime History of the Mediterranean (649–1571), 1992, si cita il caso della flotta di Belisario (composta da navi a vela e a remi), che navigò alla media di 1.35 nodi per percorrere le 1250 miglia fra Costantinopoli e il luogo d’approdo nel nord Africa vandalica. Sei secoli dopo, nel 1191, la flotta di Riccardo Cuor di Leone viaggiò da Messina a Limassol in 30 giorni, a una media di 1.36 nodi. Filippo Augusto fu più veloce, e navigò da Messina ad Acri in 22 giorni, alla media di 2.3 nodi. Interessante è il caso della galea genovese di Simone Leccavello, che percorse le 1350 miglia fra Chios e Genova in 35 giorni, alla media di 1.85 nodi, ma successivamente riuscì a percorrere 200 miglia in 28 ore alla velocità di 6.25 nodi. Una velocità che coincide con quella delle galee romane in condizioni molto favorevoli. Tornando ai fatti di Salamina, Marcantonio Quirini coprì le 550 miglia fra Candia e Famagosta in otto giorni alla velocità di 2.6 nodi. Poco dopo, Don Giovanni d’Austria portò la flotta spagnola da Barcellona a Lepanto in 35 giorni.

Partirono dunque da Candia con gli aiuti il 16 gennaio 1571. Mentre si avvicinavano a Cipro, si riunirono e decisero che le navi dovevano seguire una rotta diversa, che era necessario nascondere le stesse galee dietro gli scogli durante la notte, e che bisognava assalire immediatamente le navi turche avvistate. Per questo motivo, vedendo uscire dal porto di Costanzo il comandante Rapamato con sette galee per aggredire le navi onerarie che navigavano verso la costa, al’improvviso Marco Quirini le assalì, e sullo stesso litorale affondò tre galee da guerra cariche di armamenti e mise in fuga le altre.

Aveva stabilito il Bragadin, uomo dalle grandi capacità di prevenzione, di preparare dodici galee per opporle ai nemici nelle vicinanze del porto prima che arrivassero gli aiuti. Spedì quindi una celoce al Quirini per chiedere che, tralasciando l’incarico che si era assunto con grande coraggio, facesse attraccare le navi in porto affinché si potessero sbarcare gli aiuti in città prima che il mare si facesse mosso o qualche altra sfortuna lo avesse impedito. Al Quirini questa sembrò un’ottima idea.

Perciò, con grande felicità di tutti, furono trasportati a Salamina armamenti, viveri ed aiuti. Fra le altre cose c’erano milleseicento soldati e tante altre cose necessarie sia alla materiale sopravvivenza che alla guerra. Mentre il Quirini era in porto, il 26 gennaio colse l’occasione per catturare alcune navi turche e alcuni navigli minori, usate per spedire armi e viveri dall’Esercito ottomano, e le convertì all’uso difensivo.

La sfida del turco al guerriero Iona
Durante il periodo di permanenza del Quirini, avvenne un fatto curioso. Un turco di bell’aspetto si trovava infatti davanti alle porte della città, in attesa della risposta del Baglioni relativa a uno scambio di prigionieri. Ricevuta la risposta negativa, chiese di poter vedere Iona da Napoli di Romania, ossia il guerriero greco che aveva massacrato ben ventidue turchi. Per puro caso, Iona era presente.
«Sono io» rispose, e subito il turco lo sfidò a duello. Il Baglioni e gli altri, conoscendo il suo valore, gli impedirono di combattere e Iona, sentendosi distrutto nell’onore, tentò di gettarsi in acqua con tutto il cavallo (e l’armatura) per morire affogato. I suoi commilitoni lo convinsero a desistere e, alla fine, il Baglioni gli concesse di duellare.
I due cavalieri si lanciarono al galoppo uno contro l’altro. Il turco, dicono le fonti, si chinò al lato del cavallo per evitare il colpo, ma Iona abbassò l’asta e lo colpì in mezzo agli occhi, uccidendolo all’istante. Nell’impatto morì anche il cavallo di Iona, colpito dalla lancia del nemico in pieno petto. Di conseguenza, al termine del duello, i suoi commilitoni fecero una raccolta di zecchini e gli donarono tutto il ricavato affinché potesse comprarsi un altro cavallo. Lo stesso Baglioni si tolse il cappotto di velluto, foderato di zibellini, e lo posò attorno alle spalle di Iona per onorarlo.

Ma il 16 febbraio, passato per lo scoglio denominato Gambella, Quirini recuperò alcune munizioni ivi portate dai turchi e se ne tornò a Candia da vincitore. A Venezia poi, dopo l’arrivo del vescovo di Salamina Girolamo Ragazzoni e del comandante di galea Nicolò Donati, dei quali abbiamo parlato, fu decretato l’aiuto di due navi su cui avrebbero trovato posto ottocento soldati, altri apparati bellici e quant’altro necessario.

Gli aiuti del Quirini
In SETTON K.M., The Papacy and the Levant (1204-1571), Vol. IV, 1984 leggiamo che il Quirini portò a Salamina: 6.562 ducati, che furono fondamentali per mantenere i soldati ai loro posti dopo mesi di monetazione ossidionale, 4 colubrine, 6 cannoni, moltissime munizioni per questi ultimi, 46 pezzi di varia artiglieria, 1.400 barilotti di polvere da sparo e 800 barili di vino (che, va detto, in certi momenti potevano essere d’aiuto quanto e più di quelli di polvere da sparo). Viene precisato inoltre che i soldati sbarcati dal Quirini furono 1.270 e non 1.600 come scrive il Riccoboni.

Fu creato comandante di quelle truppe Onorio Scotto, e il compito di condurre le navi a Cipro fu assegnato allo stesso Nicolò Donato, che si candidò per eseguirlo nel modo migliore. Questi però, intralciato da numerose tempeste e a lungo trattenuto a Candia, avendo compreso che i luoghi che doveva attraversare erano occupati dalla flotta nemica, ritenne necessario fare ritorno a Venezia, dove per questo fu processato ed assolto.

Nella notte in cui il Quirini partì da Salamina con le dodici galee e le quattro navi che avevano portato gli aiuti, altre tre navi attendevano nel porto soltanto il momento di partire. Il Bragadin, pienamente d’accordo con il Baglioni (come devono essere tutti quelli preposti alle gestione della cosa pubblica, e infatti se ci fosse stata una simile concordia fra quelli cui era stato demandato il governo di Leucosia, è opinione comune che la città non sarebbe caduta così facilmente), percorse il perimetro delle mura e ordinò che nessuno lavorasse alle mura la mattina seguente, che tutti stessero con la testa bassa, in modo che non si potessero vedere da fuori, e che aspettassero armati, poiché sarebbero stati avvisati all’improvviso sul da farsi.

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La quiete prima della tempesta. Famagosta 1570.

Passò dopo a ricontrollare la fortezza, facendo in modo che le batterie si tenessero pronte.

Mandò ad avvisare tutti che nella mattina nè uomini, nè femmine, nè fanciulli si facessero vedere alle terrazze o alle finestre.

Fece in modo che la fanteria italiana e quella greca aspettassero a testa bassa, e che la cavalleria attendesse in sella il nuovo ordine un’ora prima dell’alba. Quindi ordinò che, al primo colpo di cannone sparato dalla rocca, suonassero all’unisono trombe, tamburi e timpani, e che a quel suono tutti dovevano andare alle mura, per colpire i nemici venuti allo scoperto, e la cavalleria doveva effettuare una sortita contro questi ultimi.

I ricognitori turchi a cavallo, che giravano per tenere sotto controllo la città, arrivarono anche nei pressi delle mura, e si stupirono molto nel non notare alcun movimento causato dalla loro avanzata.

Stabilirono perciò di avvicinarsi e, arrivando fino al fossato senza vedere nessuno nè sentire qualcosa, immaginarono che si fossero tutti imbarcati sulle sette navi e sulle dodici galee che erano salpate il giorno prima, abbandonando la città; e dopo essersi meravigliati per questo avvenimento, alcuni si precipitarono da Mustafà per dirgli che Salamina era stata abbandonata, che in città non era rimasto più nessuno e che tutti erano fuggiti a bordo delle navi e delle galee.

Immediatamente tutto l’esercito turco si mosse per entrare in città.

Così, al momento opportuno, fu dato il segnale convenuto per aggredire i nemici ed effettuare la sortita della cavalleria. La controffensiva causò una terrificante carneficina di turchi.

Ci fu una vera e propria strage degli addetti turchi all’artiglieria e la cavalleria avanzò fino a quando le fu possibile. I cavalli poi, correndo per i campi, mettevano in fuga e inseguivano i turchi, trucidandoli con tale ferocia che non si sa quanti riuscirono a ritirarsi.

Il buon esito dello stratagemma portò negli animi degli assediati una grande felicità, poiché avevano ingannato tanti nemici e il numero di questi ultimi era diminuito.

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6 pensieri riguardo “Marcantonio Bragadin e l’Assedio di Famagosta (1571): la Fine di Nicosia

  1. finalmente dopo qualche settimana ho d nuovo tempo di rimettermi in pari,sono curioso di sapere le cause della fine di Leucosia,cosa diamine hanno combinato?

    1. Sembra che il governatore e i comandanti militari battibeccarono molto sul completamento delle fortificazioni del Savorgnano, tanto che non furono ultimare prima dell’arrivo dei Turchi. In pratica, come dice la fonte di fine cinquecento che ho riportato, i bastioni erano più utili ai turchi per salire sulle mura che non ai ciprioti per difenderle.

  2. .zweilawyer i miei complimenti, un lavoro ECCEZZIONALE, davvero incredibile per precisione, fonti, link, tutto insomma…ripeto complimenti davvero…
    E la terza parte dov’ê ? Sono impedito da non vedere il collegamento ?
    Mi è rimasta l’acquolina in bocca, spero sia al più presto disponibile .

    Complimenti ancora

    Diego

  3. Buongiorno e complimenti per il lavoro che state facendo. Siete estremamente professionali e bravi nello scrivere. Ho letto più volte tutti gli articoli relativi a Famagosta ed ho trovato un documento “Narratione del Capitan Angelo Gatto da Orvieto…” inoltre non ho resistito ed ho preso due vostri lavori “I padroni dell’Acciaio” ed il “Diario di Federman” lavori veramente notevoli che consiglio vivamente. Trattati di storia con uno stile quasi da “romanzo” che rende la lettura molto piacevole…..
    Vi butto lì un idea….se fate un testo sugli assedi/battaglie principali del 500…

    Ps. I disegni sono notevoli ma, troppo “gotici” per i miei gusti.

    Siete grandiosi

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