arabi in israele

Gli Arabi in Israele: un Documento del 1952 (parte I)

Questa è la prima parte di un documento, The Arabs in Israel (Gli Arabi in Israele) pubblicato dall’Ufficio Israeliano per l’Informazione nel gennaio 1952.

Ne sto curando una traduzione italiana, arricchita di altri link e commenti, che metterò a disposizione in modo gratuito e in un pdf/epub unico appena possibile.

L’iniziativa relativa agli Arabi in Israele penso possa essere molto interessante per chi desidera conoscere un periodo storico di cui molte persone si presumono esperte, ma che presenta tali e tante complessità da risultare particolarmente suscettibile di mistificazioni.

Mi riservo di trattare l’argomento “studi storici” in un prossimo articolo, sottolineando come la storiografia odierna si stia adagiando su una sequela di copia e incolla da libri recenti (un eccesso del famoso adagio “dai libri si fanno altri libri). L’interesse verso le fonti sembra scemare proprio nel momento in cui gli archivi di tutto il mondo stanno digitalizzando testi che per generazioni sono stati accessibili solo a pochi fortunati. Gli storici moderni devono imparare a gestire questi nuovi strumenti e a processare quantità di informazioni che i loro colleghi del passato non potevano immaginare.

Gli Arabi in Israele.

1. Background Storico

Gli Arabi di Palestina censiti alla fine del 1947 erano circa 1.300.000, di cui 1.170.000 Musulmani e 130.000 Cristiani. Di questo totale circa 700.000 vivevano nel territorio che ora costituisce lo Stato di Israele. I cristiani erano suddivisi in numerose comunità – Greco-ortodossi, Cattolici di Rito Greco, Latini, Maroniti e diverse denominazioni Protestanti. C’erano, in aggiunta agli arabi, piccoli gruppi di religiosi e minoranze nazionali, come i Drusi, i Circassi, gli Armeni, ecc.

La massiccia immigrazione ebraica fra fine XIX secolo e primi decenni del XX ebbe il suo apice nel corso degli anni’30. Già nel 1932, gli ebrei costituivano il 20% della popolazione palestinese.

In base al loro status sociale e alla collocazione, circa 850.000 Arabi di Palestina abitavano nei villaggi, 400.000 abitanti nelle città e 50.000 – 60.000 erano nomadi e semi-nomadi (beduini).

Il tenore di vita medio degli Arabi Palestinesi era piuttosto elevato rispetto a quello dei vicini paesi Arabi. I loro villaggi prosperavano. I loro agrumeti e gli altri frutteti crescevano di anno in anno. Anche l’economia del comune fellah aveva raggiunto un certo grado di modernizzazione. Il commercio Arabo era ramificato e ben sviluppato. Era servito da due banche nazionali Arabe e dalle banche internazionali che lavorano nel paese. Anche l’industria stava mostrando progressi significativi. Oltre alle antiche arti e mestieri, erano riconoscibili i primi accenni di un moderno sviluppo industriale, soprattutto nel ramo tessile, in quello del tabacco e dei materiali da costruzione.

Le condizioni di salute stavano migliorando costantemente. La mortalità infantile era scesa dal 186 per mille del 1922 al 90 per mille del 1946. Il tasso di mortalità generale era diminuito in maniera analoga, e l’aspettativa di vita alla nascita era più alta fra gli Arabi palestinesi rispetto a tutte le altre comunità Arabe in Medio Oriente. I Servizi sanitari statali erano più avanzati rispetto agli adiacenti paesi Arabi, sebbene gli Arabi stessi avessero fatto un piccolo sforzo indipendente in questo settore. Il progresso generale si rifletteva anche in ambito educativo. L’analfabetismo era sceso di anno in anno. La percentuale di bambini che frequentavano le scuole elementari era stato stimato dall’ Autorità Mandataria al 48 per cento per entrambi i sessi e al 70 per cento per i maschi – una percentuale sostanzialmente superiore a quella dei paesi Arabi vicini.

israele arabi
Da un sito di propaganda palestinese. Nel periodo in cui Gaza fu governata da Israele, l’aspettativa di vita media degli arabi palestinesi passò da circa 50 a 70 anni

Le scuole secondarie erano relativamente ben frequentate, e anno dopo anno centinaia di giovani Arabi hanno lasciato la Palestina continuare gli studi universitari all’estero.

Questo notevole progresso è dovuto in misura significativa ai grandi progressi compiuti dal paese sotto la spinta dello sforzo Ebraico di ricostruzione. Per più di sei decenni gli Ebrei hanno riversato le loro energie, abilità e risorse nella reclamazione della loro antica terra. L’effetto è stato una trasformazione che non ha paragoni nel Medio Oriente. Il reinsediamento ebraico ha prodotto un crescente mercato interno per i prodotti arabi e ha portato prosperità ai fellahin, che ha rappresentavano la maggioranza della popolazione. L’esempio dato dai coloni Ebrei e dai loro metodi scientifici hanno avuto un effetto stimolante sull’agricoltura araba. Il lavoro degli istituti di ricerca Ebrei nel campo delle malattie del mondo animale e vegetale, la scoperta di usi industriali per eccedenza agricola e l’apertura di nuove fonti idriche grazie agli sforzi Ebraici ha dato un forte impulso al progresso rurale Arabo. Alla stesso tempo la coltivazione di agrumi, l’industria, l’edilizia e le importazioni degli Ebrei avevano dato impieghi ben remunerati al alla forza lavoro Araba nonché alzato gli standard della sua popolazione lavoratrice.

I notevoli risultati del Movimento operaio ebraico agirono anche come un incentivo per il organizzazione sindacale del commercio Arabo. Il grande contributo ebraico alle entrate finanziarie consentì al Governo di concedere un importante sgravio fiscale per la popolazione rurale Araba e di migliorare la salute del paese, l’educazione ed i servizi sociali. Il grande lavoro degli Ebrei in funzione antimalarica e di bonifica ha portato grandi benefici alla popolazione Araba, che è stata anche servita in tutto il paese dalle Istituzioni Ebraiche di salute pubblica e del walfare. Il risultato più sorprendente di questi sviluppi è stata la costante la crescita della popolazione Araba: durante i 30 anni di Mandato è aumentata di oltre il cento per cento.

“Il generale effetto benefico dell’immigrazione Ebraica sul benessere della popolazione Araba“, scriveva la Commissione Reale per la Palestina nel 1937, “è illustrato dal fatto che l’aumento della popolazione Araba è più marcato nelle aree urbane interessate dallo sviluppo ebraico.

Il numero dell’Aprile 1960 di Scientific American riporta alcuni dati di fine anni ’50 che testimoniano l’enorme sforzo fatto da Israele in quella che una volta era una florida provincia romana:

La terra di Israele aveva condiviso il destino di tutte le terre in Medio Oriente. Con il venir meno dell’Impero Bizantino, circa 1.300 anni fa, si era avuto un calo della produttività, della popolazione e della cultura[…] rovine di dighe, acquedotti e colture a terrazza, di città, ponti e pavimentato strade testimoniano quella terra una volta aveva sostenuto una grande civiltà con una popolazione molto più grande e in uno stato di benessere superiore.

Israele ha prosciugato 18.000 ettari di paludi ed ha esteso l’irrigazione a 132.000 ettari; ha incrementato in maniera esponenziale fornitura di acqua sotterranea dai pozzi ed è a buon punto nel lavoro di deviazione e uso delle scarse acque superficiali. […] ha piantato 37 milioni di alberi […]

Il notevole progresso economico e culturale così realizzato dagli Arabi di Palestina durante il Mandato fallì, tuttavia, nel mitigare anche solo in minima parte la loro ostilità verso l’immigrazione Ebraica e le attività sviluppate, cui questi progressi erano dovuti in larga misura. Questa ostilità, che ha trovato espressione in violente agitazioni, in campagne di boicottaggio e ripetuti attacchi omicidi contro la popolazione Ebraica, è diventato la caratteristica dominante della vita politica del paese ed ha monopolizzato le forze pubbliche e sociali nella comunità Araba. Gli Arabi che aspiravano ad un pacifico accordo tra i due popoli erano pochi e mancavano della forza necessaria a rendere i loro sforzi efficaci. Anzi, l’atmosfera generale di ostilità era così intensa che anche quelli ricerca di una soluzione pacifica potevano esprimere le proprie opinioni solo in privato, mentre in pubblico approvavano il programma nazionalista.

Alla fine il controllo politico si concentrò nelle mani del Supremo Comitato Arabo (Arab Higher Commitee), che godeva di indiscussa autorità tra gli Arabi in Palestina ed il sostegno esterno della Lega Araba. La presidenza del Comitato fu riservata all’assente “Leader”, l’ex Mufti di Gerusalemme, Haj Amin al-Husseini. Dopo essere stato uno stretto collaboratore di Hitler durante la Seconda Guerra Mondiale, Haj Amin riuscì, nel 1946, a trovare riparo e stabilire la sua sede al Cairo. I membri più importanti del Supremo Comitato Arabo erano Jamal al-Husseini, il dottor Hussein al-Khaldi, Ahmed Hilmi Pasha e Emil Ghoury. Il Comitato riuscì, durante la fase finale, a unire le due formazioni para-militari, Al-Futuwa e An-Najjada, nella militante “Organizzazione della Gioventù Araba” che costituì la punta di diamante della successiva attacco Arabo agli Ebrei.

Amin al-Husseini saluta a braccio teso le SS bosniache musulmane

Era questa, in breve, la posizione degli Arabi di Palestina quando l’Assemblea Generale della Nazioni Unite, con la risoluzione del 29 Novembre 1947, aveva stabilito la costituzione di due Stati indipendenti, uno Ebraico e uno Arabo, in Palestina. Se gli Arabi avessero accettato e dato seguito alla decisione, si sarebbero assicurati il controllo sovrano su metà del paese, sarebbero potuti rimanere tutti nelle loro case e  avrebbero ottenuto i maggiori benefici materiali derivanti dall’Unione Economica proposta dallo Stato di Israele.

Tutto questo non accadde. Non appena venne annunciata la decisione dell’Assemblea Generale, gli Arabi la rifiutarono e presero le armi contro i loro vicini Ebrei. Il Supremo Comitato Arabo guidò la campagna con il supporto attivo e passivo della maggior parte della popolazione Araba. I membri del Comitato residenti al Cairo e a Damasco si presero in carico il finanziamento, i rifornimenti e l’equipaggiamento, nonché le relazioni con la Lega Araba e diversi Stati Arabi. Quelli che rimasero a Gerusalemme assunsero la direzione tattica e strategica delle operazioni, la distribuzione dell’equipaggiamento e dei fondi ricevuti dai paesi Arabi, lo spiegamento delle forze e l’esecuzione delle direttive ricevute dal Cairo e da Damasco. I comandanti supremi in sul campo erano: Abd al-Kader al-Husseini nel distretto di Gerusalemme e Hassan Salama della regione di Jaffa-Ramle. Al nord, dove non c’erano leader locali, il comando fu preso dal siriano Fawzi al-Qawuqji, che si mise alla testa del cosiddetto “Esercito di Liberazione” costituito da volontari provenienti da Palestina, Siria e Libano.

Map/Still:UN partition plan for Palestine adopted in 1947.
La spartizione rifiutata dagli arabi alla fine del 1947

Prossimo (interessantissimo) capitolo di Arabi in Israele: 2. La Guerra contro Israele.

30 pensieri riguardo “Gli Arabi in Israele: un Documento del 1952 (parte I)

  1. Interessante come al solito, se posso fare un appunto consiglierei di mettere in coda delle fonti o della bibliografia per approfondire.

  2. Sì, i famosi licei in cui i ragazzi vengono istruiti con i testi propagandistici rilasciati dal governo israeliano. Un sogno di tutti noi.

    Francamente non capisco l’utilità di mettersi perfino a tradurre un testo del genere, però ognuno è libero di gestire il suo tempo come vuole. Però magari qualche recensione di fantatrash sarebbe anche più interessante.

  3. Mi sembra che l’unica propaganda sia quella pro-palestina, per non parlare di come viene dipinto l’islam dai testi scolastici: una specie di religione spirituale che ha subito la violenza dei cristiani. Roba ridicola. Chi non sa nulla di storia dovrebbe astenersi dal commentare.

    1. Io forse ho fatto delle scuole speciali, ma i testi di storia non mi hanno certo dipinto questa immagine dell’Islam.. Forse i miei professori erano degli integralisti cattolici che sceglievano i libri di testo meno filo-islamici che riuscivano a trovare? Mah, mistero. Mi sa che con sto commento sul cospirazionismo filoislamico la tua pretesa neutralità sull’argomento va un po’ in vacca. Tanto di cappello per tutti gli altri articoli, in ogni caso.

  4. Il testo che vorresti tradurre è un tale garbage che chi l’ha scritto non ha avuto nemmeno il coraggio di firmarlo. E’ uscito dagli uffici dell’Israelian Office of Information, creatura di un tale Isaiah L. Kenen, che fondò anche l’American Zionist Committee for Public Affairs e svolse per tutta la vita un’attività di lobbyng e propaganda per Israele tanto zelante da venir messo sotto indagine dall’FBI.

  5. Forse è meglio che tu parli solo di fantasy perché di storia non sai proprio nulla e credo ci sia gente che ne sa meno di te pronta a credere alle boiate faziose che stai postando. Forse è il caso che tu legga qualcosa anche su come il protettorato britannico abbia contribuito allo scoppio del conflitto israelo-palestinese, e sull’esodo palestinese dalle loro terre (sei proprio sicuro che tutti i palestinesi abbiano deciso spontaneamente di “andare a studiare all’estero”?, o forse qualcosina la ignori o fai finta di non saperla? Hai idea di cosa sia lo status di rifiugiato?), invece di fare revisionismo dalla tua cameretta.

  6. Non sai neanche quello che di cui stiamo parlando. Quella che hai letto è la situazione pre risoluzione 194, e i palestinesi che studiavano all’estero non hanno alcuna connessione con quelli fuggiti dopo la guerra del 1948! Si vede che hai letto di fretta e hai pensato che io volessi sostenere un esodo palestinese per motivi di studio… è una cosa ridicola, spero tu te ne renda conto.
    Davvero vuoi parlarmi dello status di rifugiato o dell’UNWRA?
    Sei come una bambina di 8 anni che prova a spiegare la doppia elica del DNA a Watson.
    Per favore, astieniti.

    p.s. “…di storia non sai proprio nulla…” è una gemma inestimabile!

  7. continua col tuo revisionismo da cameretta, io mi tengo il mio stato da bambina di 8 anni con una laurea in scienze politiche. Sei tu che hai scritto il post portando come prova un documento del 1952. E con questo la chiudo perché l’unica cosa che mi premeva era renderti palese il fatto che consideri questi tuoi post veramente insulsi, purtroppo ne ho visto uno condiviso da un mio amico e mi è venuto spontaneo scriverti che no, non tutti credono a qualunque cosa basta che ci sia un documento (di qualunque natura) davanti agli occhi. Perché ci vuole ben più di un documento per capire. E con questo a mai più, almeno riguardo i post di natura storica.

  8. Non ho mai scritto che questo documento rappresenta la verità assoluta, ma una “iniziativa interessante”. Mi sembra che sia una tendenza diffusa a rispondere senza leggere bene quello che scrivo. Comunque i post sul medio oriente sono molto pochi, leggine qualcuno sulle armi bianche o sull’alto medioevo, magari così ti incazzi di meno.

  9. forse dovresti abbandonarli del tutto, ho letto alcuni articoli sul fantasy sul tuo blog e non li trovo male, ma sulla storia non ci siamo proprio 😉

  10. io invece mi auguro che continui, e mi permetto di consigliare alla saccente Michela di documentare le sue di affermazioni e magari di leggersi un libro di Edda Fogarollo che forse ha credenziali che vanno al di là di una semplice laurea in scienze politiche, che in Italia non negano a nessuno (specie se politicamente corretto)

  11. Caro Giors per scelta personale non leggo i libri di studiosi in cui la libertà etica e di pensiero è fortemente corrotta dalla religione, qualunque essa sia. Spero che ti sia chiaro che Dio non c’entra nulla con questa questione.

  12. Io non ho lauree da mettere sul piatto, ma spero di non doverne conseguire una per far notare che il documento da cui è tratto l’articolo è privo di qualsivoglia fonte. Spero che alla fine venga fornita una corposa bibliografia con dati, schede, tabelle ecc. perché messe così sono solo “chiacchiere” a essere buoni.

  13. I dati che ho aggiunto io hanno tutti una fonte citata. Quelli del documento, relativi agli anni 1922-1947 sono presi dai censimenti effettuati dall’Autorità Mandataria.

  14. Io vedo solo dei link a wikipedia. Spero che non siano quelle le fonti.
    Okay, provo a essere più preciso.
    Prendiamo qualche frase evidenziata in grassetto:
    “Il tenore di vita medio degli Arabi Palestinesi era piuttosto elevato rispetto a quello dei vicini paesi Arabi.”
    Fonte?
    “La mortalità infantile era scesa dal 186 per mille del 1922 al 90 per mille del 1946. Il tasso di mortalità generale era diminuito in maniera analoga, e l’aspettativa di vita alla nascita era più alta fra gli Arabi palestinesi rispetto a tutte le altre comunità Arabe in Medio Oriente.”
    Fonte?
    “Gli Arabi che aspiravano ad un pacifico accordo tra i due popoli erano pochi e mancavano della forza necessaria a rendere i loro sforzi efficaci. Anzi, l’atmosfera generale di ostilità era così intensa che anche quelli ricerca di una soluzione pacifica potevano esprimere le proprie opinioni solo in privato, mentre in pubblico approvavano il programma nazionalista.”
    Again, fonte? (la seconda parte sembra più una supposizione che un dato di fatto).

    Insomma, l’autore da quali dati ha dedotto che i palestinesi stavano meglio quando coabitavano con gli israeliani? E in base a cosa ha stabilito che i palestinesi non sarebbero stati ugualmente bene anchse SENZA la presenza degli israeliani?
    Non sto dicendo che siano notizie false, ma a mio parere per fare affermazioni simili ci vogliono prove documentate. Su quanto siano poi affidabili le fonti si può discutere a piacere, ma questa è proprio la base per intavolare una discussione.

  15. Ti ho già scritto che il libro utilizza i dati dell’Autorità Mandataria. Le deduzioni sono elaborate dai redattori basandosi sui dati statistici. Se guardi meglio i miei link e le immagini, potrai vedere che le fonti sono indicate.

  16. commento di servizio: dovrebbe esserci un mio commento pregresso nell’antispam. Niente di particolarmente notevole, ma se fosse possibile ripristinarlo non mi dispiacerebbe 😛

  17. Una laurea in scienze politiche è utile solo a comprendere le dinamiche economiche che muovono le alleanze in questo mondo, purtroppo. Tu parli di controinformazione, ma tutte le fonti citate non sono neutrali, per questo pericolose. Non amo i documenti prodotti a tavolino da personaggi che osservano gli eventi come si trattasse di studi statistici di un entomologo. Le persone non sono insetti, anche se nascere nel posto sbagliato ti fa somigliare a un’effimera. Ti consiglio la visione di “The zionist story”, il documentario di Ronen Berelovich.

  18. >>E in base a cosa ha stabilito che i palestinesi non sarebbero stati ugualmente bene anchse SENZA la presenza degli israeliani?

    il posto più evoluto del Medio-Oriente era proprio quello con una nutrita e autonoma comunità ebraica. tu guarda alle volte le coincidenze…

  19. C’è un commento di Michela che mi perplime molto e vorrei chiederle un chiarimento. Non ha a che fare con Israele/Palestina, se è troppo OT mi sposto.

    Ebbene, lei scrive:

    Caro Giors per scelta personale non leggo i libri di studiosi in cui la libertà etica e di pensiero è fortemente corrotta dalla religione, qualunque essa sia.

    Quindi lei reputa che solo gli studiosi atei o agnostici siano affidabili? E non sono forse anche loro influenzabili dal loro essere atei/agnostici? L’avere una religiosità invalida immediatamente anche, magari, 50 anni di studi?
    E uno studioso che partisse da idee atee/non religiose e poi si convertisse a quella o quell’altra religione grazie alle sue ricerche, costui quanto varrebbe?
    Vorrei poi capire perché la religione anziché “influenzare”, direttamente “corrompa”, così, di netto e perché siano solo le religioni a corrompere la libertà etica (addirittura!).
    Fortuna che Regine Pernoud è morta, m’immagino come sarebbe stata felice di sapere che tutta la sua vita dedicata alla ricerca storica valeva una cicca perché “corrotta” dalla religione.

  20. Sì reputo esattamente questo, ma non ho detto che tali libri devono finire al rogo, ho detto semplicemente che non li leggo e non li ritengo formanti. Non capisco perché questo ti lasci perplessa e non capisco quale chiarimento ti serva, se vuoi te lo ripeto: io non li leggo, poi ciascuno faccia ciò che ritiene meglio adatto a soddisfare le proprie curiosità.

  21. Il punto era proprio quello, “non li ritengo formanti perché l’autore è religioso” = “solo uno ateo può essere un valido studioso/degno di ascolto”. Non è questione di roghi, è questione di “neanche ascolto cosa hanno da dire, che fonti e che basi hanno”.
    Magari a scienze politiche questa strategia funziona, non so. A Lettere, filosofia e storia certamente no, il che mi consola.
    La ringrazio di avermi chiarito il punto, in ogni caso.

    OT felicemente chiuso.

  22. Giusto per puntualizzare, ho scritto che non leggo i libri di studiosi il cui percorso è fortemente corrotto dalla religione. Nella fattispecie mi riferivo ai libri di E.Fogarollo. Non ho detto che solo gli atei sono degni di ascolto, ho detto che non m’interessano i libri che impastano il mondo partendo da dogmi. Scusate l’OT!

    1. La povera MICHELA altro non sa fare che intimidire i propri interlocutori evidenziando la sua laurea! Tuttavia basta leggere i suoi interventi per capacitarsi del grado culturale da essa esibito, praticamente ha studiato soltanto una caterva di pregiudizi, uno tra tutti: “Non leggo i libri di studiosi il cui percorso è fortemente corrotto dalla religione”… Eh sì, costei ha stabilito che il proprio orientamento religioso CORROMPE qualsivoglia valutazione storica… Non mi resta che invitarti a continuare a studiare, come si deve però, non per finta…

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