Storia della Medicina: Amputazione del Naso e Rinoplastica

La rinoplastica e le protesi nasali servivano, fin dall’antichità, a ridurre l’effetto di una delle mutilazioni visivamente più violente. Nella storia della medicina, l’amputazione del naso, pratica indubbiamente abominevole, ha contribuito a sviluppare sin dagli albori la chirurgia ricostruttiva del naso. 

Le prime testimonianze di amputazione del naso provengono dalla Cina e risalgono al II millennio avanti Cristo. Re Hammurabi la inserì (assieme ad altre amputazioni delle estremità) nel suo famoso codice del XVIII secolo a.C., e diverse leggi dei Faraoni ne ricalcarono il tenore.

Anche le culture mesoamericane la praticavano senza remore, ma sembra che questa pena ebbe successo maggiore in India e nei paesi orientali, tanto che proprio in India furono ideate alcune tecniche ricostruttive del naso utilizzate (ovviamente sempre più di rado) ancora oggi.

Rinotomia Cinese
Le punizioni corporali previste nell’antica Cina sono descritte da Ban Gu nel famoso Libro di Han. Erano previste Cinque Punizioni per chi commetteva i reati più gravi, fra cui spiccava lo “yi”, ovvero l’amputazione del naso. Fu l’imperatore Wen (dinastia Han) ad abolire l’amputazione del naso nel 167 a.C.

La rinotomia totale ebbe scarso successo presso Greci e Romani, ma conobbe un periodo di fulgido splendore nell’Impero Romano d’Oriente, dove le influenze asiatiche erano più radicate, e un discreto revival nell’Europa romano-barbarica.

Quanto a Costantinopoli, è famoso il caso dell’Imperatore Giustiniano II, cui fu amputato il naso per ordine dell’usurpatore Leonzio, e di Leonzio stesso, il cui naso fu a sua volta asportato su ordine di Tiberio III (!). Fortunatamente, Giustiniano II si riprese il trono dopo 10 anni e, indossata una protesi d’oro, ruppe la tradizione per cui gli Imperatori potevano regnare solo se privi di menomazioni fisiche.

Quando parliamo questa pena (e di altre simili) dobbiamo sempre ricordare che fino un paio di secoli fa il pericolo di infezioni e complicanze legate a ferite profonde era enorme, tanto che si accettava senza problemi la morte del condannato in seguito all’amputazione.

Sul fronte europeo, l‘Editto di Rotari (643) conteneva un numero consistente di lesioni con relativo indennizzo. L’unità di misura era il guidrigildo, ovvero il valore di un uomo in denaro (che, ovviamente, variava in base alle ricchezze dell’assassinato). I capitoli XLIII – LXXVI dell’Editto stabilivano, per esempio, che per la perdita di un orecchio si dovesse pagare un quarto di guidrigildo, mentre per una mano, un occhio o il naso si arrivava a metà guidrigildo.

Anche se non abbiamo statistiche dell’epoca, il fatto che Rotari abbia emanato una normativa così precisa lascia intendere che ci fosse un effettiva diffusione delle lesioni di cui sopra (e di tante altre). Il collegamento fra storia di supplizi e torture e storia della medicina è stato quindi sempre molto stretto.

Rimanendo in Italia, e spostandoci di una decina di secoli in avanti, è rimasta famoso un decreto di Sisto V nel 1500. In quel periodo, le campagne nei dintorni di Roma brulicavano di banditi. Per ovviare alla situazione, il Papa decretò che da quel momento la condanna per il brigantaggio sarebbe stata la rinotomia. Le rapine calarono bruscamente.

Infatti, se già l’amputazione della punta del naso sfigura completamente chi la subisce, l’amputazione completa porta uno sconvolgimento totale nella vita della povera vittima. Le protesi e i primi tentativi di rinoplastica tentavano di ovviare a questo problema.

Le prime protesi nasali sono state ritrovate in Egitto, applicate ad alcune mummie, e in Cina, dove i materiali preferiti erano cera e resina. In Facial and Body Prosthesis: Introduction to one aspect of rehabilitation that has become increasingly important to nurses, pubblicato sull’American Journal of Nursing nel  1948Carl Clarke scrive:

Artificial ears, noses and eyes have been found on Egyptian mummies. The ancient Chinese  used waxes and resins to reconstruct noses and ears.

Ad ogni modo, si può immaginare che furono adottate un po’ ovunque nei secoli successivi. In fondo, per quanto scomoda e ridicola, la protesi nasale non comporta particolari problemi di manifattura. C’è sempre il rischio del “effetto pinocchio”, ma non è difficile pensare che ci fossero alcuni artigiani specializzati.

Artigiani e protesi a parte, le prime tracce scritte relative al trattamento del naso ferito risalgono a un testo egizio del 3000 a. C., mentre la prima codificazione di un metodo di ricostruzione del naso tramite lembi di pelle presi in altre parti del corpo si trova in un testò Hindu del 600 a.C. (Sushruta Samhita), anche se l’elaborazione di tale metodica è ancora più risalente (forse di altri duemila anni!).

In Occidente dobbiamo aspettare l’opera di Aulo Cornelio Celso per trovare qualcosa di simile. Dopo di lui, forse anche per la minore tendenza all’amputazione del naso mostrata dai romani, bisogna fare un balzo di quasi quindici secoli per assistere a un decisivo salto in avanti da parte della chirurgia ricostruttiva del naso.

rinoplastica
Il metodo indiano (sin) e italiano (dx) di ricostruzione del naso.

In Italia, dopo il Rinascimento ma probabilmente già nei secoli precedenti, si sviluppa infatti una chirurgia ricostruttiva del naso la cui complessità mi ha lasciato basito. Il sapere si tramandava di padre in figlio e così arrivò alla fine del XVI secolo, quando il tutto fu codificato da un celebre autore bolognese.

Ma andiamo con ordine.

A raccontarci la storia di questi chirurghi è Leonardo Fioravanti, un medico cinquecentesco dalle eccellenti capacità narrative. Nel libro Il tesoro de la vita humana (1570), egli ci racconta il suo viaggio in Sicilia e Calabria alla ricerca della famiglia Branca (famosa per la tecnica rinoplastica), che però non operava più, e della famiglia Vianeo (i fratelli Pietro e Paolo) di Tropea. Quest’ ultima era molto gelosa del suo sapere e probabilmente non avrebbe accettato di mostrare l’operazione ad un altro medico, ma Fioravanti si presentò come “gentiluomo bolognese” ed ebbe modo, a suo dire, di apprendere tutto il processo. I Vianeo infatti avevano messo in piedi una vera e propria clinica specializzata, tanto che in quel momento c’erano cinque “nasi” in via di ricostruzione.

Il capostipite era stato Vincenzo, che viene nominato anche da Girolamo Marafioti nelle sue Croniche et antichità di Calabria (1601):

“In questo castello fiorì Vincenzo Voiano, chirurgo, il quale ritrovò il vero modo di ristorare i nasi tagliati e farli quasi per l’appunto come natura li genera.”

Branca e Voiano
In realtà non fu Vincenzo Voiano a praticare per primo la c.d. “autoplastica nasale”, ma Gustavo Branca Minuti, morto nel 1449 a Catania. Sembra che quest’ultimo avesse visitato anche la Persia ed è forse li che apprese i segreti della rinoplastica e li migliorò tramite la pratica. Fu però suo figlio Antonio Branca ad ideare il prelievo di pelle dal braccio e non dalla fronte o dalla guancia.

La procedura ricostruttiva era piuttosto complessa, ma è descritta in modo egregio dalla prima immagine dell’articolo.

Il lembo di pelle necessario al processo veniva prelevato dal bicipite e suturato al volto. Al fine di prevenire la morte dei tessuti, la parte distale del lembo veniva lasciata attaccata al braccio. Ovviamente nessun essere umano può rimanere con il braccio sopra la testa per un mese, quindi fu escogitato il marchingegno che vedete (immaginate quale sofferenza dovevano patire i poveri pazienti, visto che non c’era alcun tipo di anestesia). Quando la pelle aveva attecchito al naso, si spellava la parte superiore del labbro per suturarvi sopra la parte inferiore del naso e, tramite un pezzo di metallo appositamente studiato, si dava forma alla piramide nasale. 

Questa tecnica, definita anche “autoplastica”, permetteva al paziente di avere un nuovo naso che, a detta di molti, aveva l’unico difetto di avere una colorazione leggermente differente (più chiara) rispetto alla pelle circostante.

Il naso dello scienziato
Mi chiedo se un tipo come Tycho Brahe, che perse buona parte del naso in un duello nel 1566, avrebbe accettato di sottoporsi al trattamento dei Vianeo. Lui si arrangiò con una protesi metallica (si dice di argento o rame).

I Vianeo ebbero grande fama nel corso del XVI secolo (l’attività di famiglia cessò attorno alla fine del secolo), tanto che Tropea divenne meta di pellegrinaggi. Luigi Monga (deceduto nel 2004), eccezionale studioso italiano di documenti di viaggio rinascimentali (e quindi, incidentalmente, di storia della medicina), scrive:

Attorno alla metà del Cinquecento Tropea diventa meta di pellegrinaggio da parte di medici e di pazienti. Si ricorderà almeno Giulio Cesare Aranzio (1530-1589), professore di chirurgia e di anatomia a Bologna e nipote di Bartolomeo Maggi, archiatra di Giulio II. Aranzio passò la tecnica al medico polacco Wojciech Oczko (1537-1599), che era venuto a Bologna da Cracovia nel 1565 per compiervi studi di medicina. Nel suo volume sulla sifilide Oczko ricorda le tecniche di rinoplastica apprese dall’Aranzio, le quali sono molto simili a quelle usate dai Vianeo.

Alle testimonianze di viaggiatori, medici e curiosi, venuti da tutta l’Europa, vorrei aggiungere la testimonianza, finora ignota, almeno in Italia, di un viaggiatore tedesco, Samuel Kiechel von Kiechelsberg (1513-1619) che si fermò a visitare Tropea tra il 5 e il 6 magio 1587, diretto verso l’Oriente. Ecco la traduzione di quanto scrive Samuel Kiechel, il quale, fermatosi a Parigi per cinque mesi, aveva forse avuto la possibilità di leggere il testo del Paré. In sostanza, non si scosta gran che da quanto avevano scritto pazienti e medici che l’avevano preceduto:

“In una piccola città [Tropea] vive un fabbricatore di nasi. Se ad uno viene tagliato il naso in modo che debba rimanere privo per sempre, lui gliene può fare un altro, nuovo di zecca, preso dalla sua stessa carne e formato secondo la forma dell’originale. Non solo ha tentato questo procedimento, ma ha avuto grande successo. Ho sentito che fa un’incisione nel braccio di colui che non ha più il suo naso, fa sanguinare l’area attorno al naso, poi lega il naso al braccio in modo tale che l’uno si attacchi all’altro, il che avviene in circa venti giorni o poco più. Infine forma il naso. Pensate quanto deve soffrire il paziente durante questa operazione. Che Dio preservi a ciascuno il proprio naso!”

Anche Ambroise Parè, che abbiamo conosciuto in un precedente articolo, parlò dei Vianeo, definendoli “maistre refaiseur de nez perdus“. 

Circa trenta anni dopo la pubblicazione dell’opera di Fioravanti, il “metodo italiano” di ricostruzione (o rigenerazione?) nasale perse il suo carattere locale e la particolarità di essere tramandato solo all’interno della stessa famiglia. Fu infatti codificato da un altro medico bolognese, Gaspare Tagliacozzi, nella famoso trattato De curtorum chirurgia per insitionem (1597).

Rinoplastica Tagliacozzi
Le illustrazioni antiche hanno sempre un certo fascino. Molti medici (o presunti tali) potrebbero aver messo in atto la difficile rinoplastica italiana avendo a disposizione solo questa illustrazione.

Sembra che, nonostante l’opera divulgativa di Tagliacozzi, il “metodo italiano” non ebbe grandissimo successo. Molti chirurghi continuarono a preferire quello indiano o a consigliare una simpatica protesi metallica. 

A testimonianza della scarsa diffusione del metodo si può ricordare che Joseph Constantine Carpue, il medico che effettuò la prima rinoplastica in Inghilterra seguendo il metodo indiano, iniziò ad operare solo attorno al 1815.

Anche in Italia il metodo cadde in disuso. Dopo pochi decenni divenne una curiosità medica, poi, come testimonia Alberto De Schomberg nel libro Sulla restituzione del naso (1820):

si è soltanto nominata questa operazione o come una curiosità, o più sovente colla satira, credendosi impossibile.

Ciononostante ci sono stati casi di utilizzo molto recenti, come quello documentato fotograficamente nel 1944. Purtroppo non sono riuscito a reperire né il nome del soldato, né la nazionalità di appartenenza, ma si riesce a capire che aveva subito ferite estese su tutto il volto.

rinoplastica
Soldato americano sfigurato da una granata nel 1944 e operato con il metodo Tagliacozzi. (www.thechirurgeonsapprentice.com)

A testimoniare l’incredibile apporto dato dalla scuola italiana alla storia della medicina, ancora oggi il “metodo italiano” o “metodo Tagliacozzi” viene utilizzato con risultati eccellenti presso alcune strutture. Sul sito dell’Associazione Gaspare Tagliacozzi sono presenti alcune immagini di pre e post-operatorio assolutamente stupefacenti. 

Bibliografia:
  • The Impact of Indian Methods for Total Nasal Reconstruction by Larry S. Nichter, M.D., Raymond F. Morgan, M.D., and Mark A. Nichter, Ph.D., M.P.H.;
  •  Il tesoro della vita humana (1570) di Leonardo Fioravanti;
  • De curtorum chirurgia per insitionem (1597) di Gaspare Tagliacozzi;
  • Facial and Body Prosthesis: Introduction to one aspect of rehabilitation that has become increasingly important to nurses (1948) di Carl Clarke;
  • A history of limb amputation (2007) di J. Kirkup;
  • Odeporica e medicina: i viaggiatori del Cinquecento e la rinoplastica di Luigi Monga (il migliore in italiano);
  • Sulla restituzione del naso (1820) di Alberto De Schomberg

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17 pensieri riguardo “Storia della Medicina: Amputazione del Naso e Rinoplastica

  1. Devo dirlo: vedere alla seconda riga un orrore di ortografia (efficace con la i) mi fa storcere parecchio il naso 😀

    Fortunatamente, Giustiniano II si riprese il trono dopo 10 anni e, indossata una protesi d’oro, ruppe la tradizione per cui gli Imperatori potevano regnare solo se privi di menomazioni fisiche.

    mah, visto com’è finito il secondo regno, non parlerei poi molto di fortuna 😛

  2. In Kim di Rudyard Kipling il giovane protagonista insulta un altro dicendogli “le tue zie sono senza naso da sette generazioni”. Ci sono vari esempi di insulto rinotomico nel romanzo.

    Un indicazione di quanto in India il taglio del naso dovesse essere pratica comune.

  3. Ho sempre pensato che il XVI sia stato un grande secolo…altro che il XIX tanto coccolato dal Duca!

    *fugge per non doversi beccare una baionetta nel deretano*

  4. Quello che stupisce è la qualità del risultato finale, ancora oggi difficile da ottenere. Pensare che avessero ideato l’intero procedimento senza poter contare su anestesia, antibiotici e ambienti sterili mi fa uscire fuori di testa!

  5. Argomento molto interessante. Gran bell’articolo, di quelli che arrivati alla fine li si vorrebbe lunghi il doppio, con il doppio del materiale. Segnalato a un mio autore con la passione per le mutilazioni a basso livello tecnologico. Bravo!

  6. Diciamo che sto pensando di scrivere un libricino su amputazioni e protesi dell’antichità al xvi secolo. In questo modo potrei inserire tanto materiale lasciato fuori dagli articoli.

    1. Salve. Sono un appassionato di medicina e chirurgia antica, e per professione anche di odontoiatria. Con due gruppi di living history mi occupo, tra le altre cose della ricostruzione del lavoro dei medici della Magna Graecia, del periodo bizantino nell’Xi secolo, XII sec del sud Italia,e Un reparto di sanità del Regio Esercito Italiano durante la seconda guerra mondiale…quindi aspetto con bramosia ulteriori articoli (davvero ben fatto questo) e l’ormai promesso libro di interventi chirurgici.
      Marco

  7. Diciamo che sto pensando di scrivere un libricino su amputazioni e protesi dell’antichità al xvi secolo. In questo modo potrei inserire tanto materiale lasciato fuori dagli articoli.

    THIS.

    Te lo comprerei subito.

  8. aggiungo velocissimamente (che ora mi tocca tornare a produrre :-P) come nota di colore che l’amputazione del naso era la pena (più severa) prevista fra i lakota per la donna fedifraga.

  9. Perchè si continua a mentire. Vincenzo Vianeo nato a Maida utilizzò per primo la rinoplastica, i suoi nipoti da parte del fratello operarono invece a Tropea.

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